Archivio di: Aprile 2008

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Bagnara

  • Piazza Aldo Moro: (Maglie, Lecce, 23/09/1916 – Roma, 09/05/1978)
    Politico. Deputato democristiano dal 1948, più volte ministro, segretario della DC (1959/65), presidente del Consiglio (1963/68), formò un governo di centro-sinistra con la partecipazione del PSI. Ministro degli Esteri (1969/74) e di nuovo presidente del Consiglio (1974/76). Dal 1976 presidente della Democrazia cristiana, venne rapito dalle Brigate Rosse il16/03/1979, mentre preparava l’allargamento della maggioranza al PCI. Dopo 55 giorni di sequestro, fu ritrovato ucciso in una vettura parcheggiata nel centro di Roma.
  • Via Volpi di Misurata: (Venezia, 19/11/1877 – Roma, 16/11/1947)
    Volpi Giuseppe. Imprenditore e politico. Fondatore della S.A.D.E. (Società Adriatica Di Elettricità, 1905), tristemente famosa per aver costruito la diga del VAJONT. A lui si deve anche la C.I.G.A. (Compagnia Italiana Grandi Alberghi).
    Nel 1919 ideò e avviò la costruzione del complesso industriale e portuale di Marghera stabilendo una proficua collaborazione con le strutture del regime fascista. Governatore della Tripolitania, regione della Libia, nel 1921/25, fu in seguito ministro delle Finanze (1925/28). Durante il ventennio fu insignito del titolo nobiliare di Conte della Misurata Abbandonati gli incarichi di governo, estese le sue attività imprenditoriali a diversi settori: fu inoltre presidente della Biennale di Venezia e tra i promotori del festival cinematografico. Dal 1934 presiedette la Confederazione fascista degli industriali. Arrestato dai Tedeschi dopo la caduta del regime fascista (1943), venne rilasciato dopo alcuni mesi di detenzione e si rifugiò in Svizzera dove svolse una certa attività antifascista che gli valse la simpatia degli U.S.A. e la conseguente riabilitazione politica. Il nome dell’industriale veneziano entrò a far parte dell’onomastica stradale del comune quando questa fu rinnovata nell’agosto del 1968 (Delibera del 28 agosto 1968), portando la motivazione di rendere la numerazione civica “più rispondente alle esigenze di oggigiorno”!
  • Via Vincenzo Monti: (Alfonsine, Ravenna 1754 – Milano 1828)
    Poeta e letterato. Frequentò l’università di Ferrara, ma fu a Roma, dove era segretario di Luigi Braschi, che la sua cultura assimilò le varie tendenze letterarie dell’epoca. Le capacità di verseggiatore appaiono già in luce nel poemetto “La bellezza dell’universo” nelle odi “La prosopopea di Pericle” e “Al signor di Mongolfier”.
    Alla discesa di Napoleone si trasferì a Bologna e poi a Milano, capitale della Repubblica Cisalpina. Fuggito a Parigi, divenne aperto sostenitore di Napoleone per cui scrisse numerose opere cortigiane: “Il bardo della Selva Nera”, “La Mascheroniana”, “Il Prometeo”.
    Caduto in disgrazia al ritorno degli Austriaci, nonostante alcune opere di carattere encomiastico, come “Mistico omaggio”, vide ridimensionata la sua fama. La facilità con cui Monti passò da uno all’altro genere da un tema all’altro e la superficialità con cui si offrì alle forze, di volta in volta dominanti in Italia, caratterizzano la sua fisionomia umana e letteraria. Poeta di ispirazione neoclassica, compose versi di armoniosa musicalità e limpidezza cristallina, ma raggiunse i suoi esiti migliori come traduttore dell’Iliade.
  • Via Ugo Foscolo: (Zante, isola greca, 1778 – Turnham Green, Londra, 1827)
    Poeta. Compiuti i primi studi a Spalato, dopo la morte del padre medico, si trasferì a Venezia (1792). Entrato in contatto con la parte culturalmente più progressista della società veneziana, maturò ideali libertari e giacobini; per la sua opposizione al governo cittadino dovette fuggire a Bologna dove pubblicò l’ode “A Bonaparte liberatore”. Tornato a Venezia alla caduta della Serenissima, con l’incarico di segretario del nuovo governo, rimase profondamente deluso dalla firma del trattato di Campoformido, che consegnava la città agli Austriaci.
    Costretto a fuggire a Milano dove conobbe V. Monti e G. Parini, cominciò a collaborare con giornali e riviste. Passato a Bologna continuò l’attività di pubblicista e scrisse il romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, romanzo largamente autobiografico, espressione di una profonda crisi esistenziale e filosofica. Successivamente ritornò a Milano dove pubblicò le odi “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata” e 12 sonetti, tra i quali “Alla musa”, “Alla sera”, “A Zacinto”, “In morte del fratello Giovanni”; in essi le inquietudini della sua personalità si fondono in un rigoroso equilibrio formale e poetico. A Milano compose (1804-06) anche il carme “Dei sepolcri” in seguito all’editto napoleonico che proibiva la sepoltura nei centri abitati. Il poeta presenta una serie di considerazioni sul tema della morte e soprattutto su quello dell’immortalità legata al ricordo nei posteri del valore e della virtù, come testimoniano le tombe dei grandi Italiani sepolti a S. Croce a Firenze. Persa completamente la fiducia in Napoleone e cresciuti i dissidi con l’ambiente letterario milanese, si trasferì a Firenze dove avviò la stesura del poemetto “Alle Grazie”.
    Dopo la definitiva caduta di Napoleone, rifiutò l’offerta del governo austriaco di dirigere la rivista letteraria “Biblioteca italiana” e se ne andò esule volontario a Londra. Qui si dedicò soprattutto agli studi di critica letteraria che ne fanno uno dei maggiori critici ottocenteschi.

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Giovanni Daneluzzi

Anche in un paese piccolo come il nostro, si possono fare, inaspettatamente, incontri interessanti ed emozionanti, che lasciano sbalorditi, piacevolmente sorpresi; è quanto è accaduto con Giovanni Daneluzzi, classe 1904, nato a Giai, dove visse fino al 1978, noto a tutti con il soprannome di “Stucchi”, in chiaro riferimento alla sua attività di decoratore.

Naturalmente la mia, visto l’anno di nascita del nostro, non è stata una conoscenza diretta, ma mediata dal ricordo delle figlie, dal loro tributo d’affetto che le ha spinte a conservare, nella restaurata casa paterna, le testimonianze tangibili della sua passione di pittore autodidatta e di freschista ancora visibile in alcune stanze. La sua realizzazione più notevole, sotto questo punto di vista, è lo studio che è stato completamente affrescato, pareti e soffitto, con un effetto particolarmente suggestivo e straniante, perché inserito in una struttura peraltro moderna. Le pareti sono suddivise da cornici e da finte paraste in riquadri, decorati con effetto marmo; il soffitto poi ha un grande rosone centrale che racchiude in una struttura architettonica classicheggiante, la figura mitologica di Aracne, tutto intorno elementi decorativi vegetali che terminano in 4 medaglioni, uno dei quali contiene l’autoritratto del pittore, mentre i rimanenti, destinati ai ritratti degli altri componenti della famiglia, sono rimasti vuoti. L’opera risale al 1969, anno dello sbarco dell’uomo sulla luna.

Altri affreschi sono visibili sul soffitto di un bagno (qui la visione, non senza una punta d’ironia, a mio avviso, è celestiale) e di una stanza da letto.
Due suoi affreschi, rappresentanti Santa Dorotea e Agnese, si trovano poi nella cappella di Villa Ronzani a Giai. Alle pareti inoltre, moltissimi quadri dipinti nel corso della sua vita, tra cui spicca un autoritratto del 1930.
La pittura e la lettura furono le sue grandi passioni, coltivate sempre, ma con maggiore assiduità quando, con l’età, il suo lavoro di decoratore prima e di imbianchino poi (i tempi ed i gusti erano cambiati dopo la guerra!) non lo impegnava più; ma anche quando era ancora attivo, approfittava dei periodi di riposo forzato, dovuto all’inclemenza del tempo, per dipingere.

Iniziò a lavorare molto giovane in quel di Trieste e Venezia e fu impegnato nel restauro di palazzi, in cui venne a contatto con modelli decorativi e pittorici che poi riprodusse nella sua abitazione.
Coltivava le amicizie e spesso invitava a casa i compagni delle partite a carte domenicali ai quali mostrava orgogliosamente i suoi quadri, che amava a tal punto da non volerne vendere alcuno; al massimo li prestava.

Amico del  pittore Gigi Duz, da cui è stato ritratto (il quadro è ancora alla parete), era perfezionista e metodico nel disegno e traeva ispirazione soprattutto dalla realtà, ma anche dalle opere dei grandi pittori, come attestano i suoi affrschi e dalle numerose e varie letture a cui si dedicava. A questo proposito, soleva ripetere alle figlie “Con la fantasia e la lettura si va dovunque!”.

I tanti libri che riempiono gli scaffali dello studio sono ancora quelli che egli abitualmente comprava al mercato di Portogruaro ed attestano la sua curiosità e il suo  desiderio di conoscere; giocava agli scacchi e si impegnava con tenacia a risolverne i rebus. Le figlie completano il suo ritratto con una simpatica nota di colore, sottolineando la cura quasi maniacale che il padre riservava al suo abbigliamento che risultava così elegante e ricercato e che comprendeva sempre gilè, ghette e gemelli ai polsi, ribadendo in tal modo l’originalità e unicità del personaggio nell’ambito paesano.

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Il colpo della strega!

Da straniero, non conoscevo questa espressione ma mi è bastato ben poco per capirla: era sufficiente guardare la faccia del colpito e la sua posizione “sbilenca”.

In parole povere questa patologia si chiama “lombalgia”, ossia dolore nella zona lombare. Una definizione  molto generica che  comprende una notevole varietà di casi e gravità secondo le strutture responsabili di quel dolore e di quella posizione “storta”, che non è che una attitudine di difesa adottata dalla persona per  evitare di  soffrire, per quanto sia possibile.

Spesso il paziente non solo soffre, ma è anche molto inquieto perché ha sentito parlare, e sparlare, di ernie al disco e di intervento chirurgico. Questo articolo tenterà di chiarire le idee spesso sbagliate non solo della gente, ma purtroppo anche di molti medici che di conseguenza non riescono ad indirizzare verso la cura corretta.

Per prima cosa, il dolore: da cosa è causato? Semplice: da un malfunzionamento delle strutture della colonna. Il malfunzionamento può essere il risultato di una struttura alterata dall’artrosi  oppure da uno spostamento anomalo del disco che si trova fra le vertebre. Anche uno spazio ridotto fra due vertebre può ugualmente provocare il dolore. Perciò ci sono delle cause sia strutturali sia biomeccaniche che, come conseguenza, irritano le strutture nervose che fuoriescono dalla colonna.

Se l’irritazione è relativamente leggera, il dolore rimane localizzato alla schiena. Se invece un nervo viene colpito e s’infiamma, il dolore si propagherà nella zona di cui esso è responsabile. La più famosa infiammazione è quella del nervo sciatico che provoca dolore dietro la coscia e si propaga sulla fascia laterale esterna della gamba. Non è raro che un movimento della schiena provochi uno spostamento anomalo del disco e non è nemmeno raro che questo disco, dopo aver urtato il nervo corrispondente, torni al suo posto fisiologico. Di conseguenza, la persona presenta una sciatica, senza alcun blocco vertebrale, settimane dopo aver sentito certo un dolore acuto ma senza essere mai stato impedito nei movimenti. In generale però, le persone che soffrono di mal di schiena adottano una postura assai storta. La cura medica è praticamente sempre la stessa: una buona dose di antinfiammatori associati ad un rilassante muscolare senza alcuna visita clinica per scoprire il livello in crisi. Se non funziona, si passa al cortisone e se non passa ancora, alla visita ortopedica, alle radiografie di vario tipo.

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Delle maestre di una volta…

In questo periodo dell’anno mi vengono in mente un sacco di proverbi e modi di dire.
Sarà perché è primavera e, si sa, non esistono più le mezze stagioni oppure è piovuto per un mese, sia sulle palme che sulle uova; forse perché siamo in campagna elettorale e qui i luoghi comuni si sprecano o semplicemente perché, disillusa e di mezza età, non trovo grandi cose da dire che non siano frasi fatte.
Una cosa che ho sentito dire in questi ultimi tempi è che “non ci sono più le maestre di una volta”. Pare che vada forte. Soprattuttotra le madri, padri, nonne e nonni di bambini in età scolare, che non posso esimermi dal frequentare visto che ne ho due anch’io. Sarà proprio così? Allora mi abbandono a qualche ricordo.
Io rammento bene la mia maestra; ovviamente parlo di un esemplare risalente a più di una trentina di anni fa, quindi sicuramente rientra nella succitata categoria.

La mia Maestra (con la maiuscola, allora era così) era una vera signora.
Di mezza età (mi sembrava a quel tempo, ora facendo i calcoli doveva essere più giovane di me adesso) era bella, elegante anche sotto il suo grembiule, scarpe col tacco e calze fine anche nei giorni della merla, unghie smaltate di rosso, pettinata, truccata e soprattutto profumata. Ricordo a malapena il suo nome ma il suo profumo sì. Quando giocavo alla scuola mi impiastricciavo di cera di cupra della mamma per imitarne l’odore.
Lei era una dea, un essere soprannaturale, onnisciente ed onnipotente.
Lei non camminava, fluttuava. Lei non parlava, cantava. Lei non piantava la classe per bere il caffè con le colleghe, evanesceva. Lei non ti dava potenti scapaccioni e umilianti punizioni, sapeva mantenere la disciplina. Lei non lavorava a maglia durante le lezioni, creava. Lei non stava tre mesi in vacanza, si godeva un meritato riposo.

Tuttavia, a ben pensarci, a scuola si faceva Q.B cioè quanto basta, come nelle ricette di cucina.
Due quadernetti mignon, cartelle che non ti facevano certo venire la scoliosi, stilografica, carta assorbente, sei pastelli e, per i più fortunati i pennarelli, bene di lusso che potevano durare tutto l’anno iniziando ad “allungarli” con alcool dopo natale.
Le attività scolastiche erano come i farmaci, da banco, nel senso che si stava seduti e zitti; sono arrivata troppo tardi per le aste ma in tempo per i dettatini a sfondo ortografico-aneddotico-stagionale. Le ore di religione si esaurivano con le poesie per i defunti, natale e pasqua, la storia stile “leggi-ripeti” e la geografia coi nomi a memoria. Gli asinelli in ultimo banco. Fine della storia.
E così siamo cresciuti; un’intera generazione che ha colmato lacune in età matura, senza grosse pretese ma neppure grossi traumi e con l’idea che non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice; cioè con la giusta dose di sane frustrazioni e il senso dei limiti.
Oggi non ci sono proprio più le maestre di una volta; assistiamo alla caduta delle dee.