Adesso che l’ondata emotiva, suscitata dal caso Englaro, è passata o almeno si è un po’ attenuata, vorremmo anche noi dare un piccolo contributo alla discussione che è nata sul fine vita, ma vorremmo farlo pacatamente, sottovoce appunto, senza quei toni urlati, esasperati, irrispettosi a volte dei sentimenti più profondi delle persone coinvolte, che l’hanno caratterizzata. Per farlo vogliamo partire dall’articolo 32 della Costituzione, la madre di tutte le leggi, che recita “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
In questo articolo il legislatore ha previsto tutto: diritti dei cittadini riguardo alla tutela della propria salute, doveri e limiti dello Stato; ecco allora il Servizio sanitario pubblico e il consenso informato, si tratta ora di completare i dettami della legge con il testamento biologico, riguardante le modalità del fine vita in situazioni irreversibili. La materia è certamente delicata e va a toccare sensibilità e convinzioni diverse e profonde, tutte ugualmente degne di rispetto, ma diventa tutto più semplice, a nostro avviso, lasciando la libertà di scelta al singolo individuo, perché, come dice Rita Levi Montalcini “morire con dignità è un diritto individuale e il testamento biologico va scritto esclusivamente per noi stessi. Non si può mai decidere per gli altri”. In questa ottica di esercizio dell’autodeterminazione è chiaro che chi crede che la vita sia un dono di Dio, sul quale la persona non ha alcun diritto di disporre, non si avvarrà di questa possibilità di decidere e continuerà ad essere assistito e tenuto in vita comunque.
Inoltre accettando il principio della libertà di scelta si applicherà, finalmente, completamente un altro dettame costituzionale, quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3). Forse la nostra può apparire una semplificazione estrema, un ragionamento da “il re è nudo”, ma può essere a nostro avviso, e lo ripetiamo sottovoce ma fermamente, un punto di partenza su cui poi innestare e sviluppare altre argomentazioni e problematiche, prima fra tutte su chi far decidere sul fine vita per chi ha perso le proprie facoltà mentali, sul ruolo dello Stato in questa materia così delicata, su cosa sia trattamento medico o di sopravvivenza.
Il dibattito è aperto, ma noi diamo il nostro contributo scegliendo di esercitare il diritto di decidere di morire con dignità, senza essere obbligati a rimanere attaccati ad una macchina per un tempo indefinito, senza pensare con questo di imporre ad altri, che la pensano diversamente, la nostra scelta.
Allo stato attuale, la legge in discussione in Parlamento di fatto stabilisce l’indisponibilità, per ogni persona, di decidere sul proprio fine vita, ledendo così il principio sancito esplicitamente dalla Costituzione e correndo il rischio quindi, secondo l’opinione di molti giuristi, di incostituzionalità. Una legge truffa poi questa, secondo Stefano Rodotà, proprio perché per introdurre nel nostro sistema il testamento biologico, in concreto raggiunge l’obiettivo “di cancellare ogni rilevanza della volontà delle persone”.
C’è materia su cui riflettere, facciamolo dunque…
La Redazione
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