(Portogruaro, 1941)
Batti quietamente
sillabe nel giorno
mite al suo tramonto
e forse lieto della tua impotenza
agiti parole
(ma grida la sua fame
la primigenia cellula
che ingloba e sputa, ingloba e sputa
atrocemente).
Questa luce che si sgrana da altra
luce, riverbera negli occhi una bellezza
che la mente contraddice,
la mente che recide le parole
e in serti le compone
(eppure
è fragile la mente, cede al vino
e al sonno, è una grazia
intermittente, che da sé
muore e risorge).
Si rompono talvolta le parole
come vetri, non la loro
musica ci manca, sì una stella
che le guidi.
Di questo sempre sono in traccia
esse, le sonanti: di una fede
provvisoria che mai stanca
al nulla le contesti.
A cosa si oppone la nostra
parola, veccia, voce di canna:
alle grida di guerra?
alla tortura?
alla morte che latra?
È una dura impotenza, un cruore.
Ma parla, parliamo.
da “Una dura impotenza”, Edizioni Concordia Sette
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