Ambiente Archivi

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Il Lemene o il Kwai!?

Dopo anni di difficoltà di passaggio per i pedoni, è stata costruita una passerella parallela al ponte di Boldara.
Avevo proposto di farla progettare e costruire gratuitamente da generosi sponsor, ma L’Amministrazione locale ha pensato fosse meglio  realizzarla con i nostri soldi.
Ormai è stata costruita. Ormai è praticamente distrutta come quella sul famoso fiume Kwai…. L’assenza di rallentatori, i dossi che chiedo invano da 25anni, favorisce una velocità eccessiva da parte dei veicoli in transito.

Molti hanno cozzato contro le paratie ed il tubo in uscita alla curva.
Come si può evincere dalla foto 1, il tubo è piegato in più parti e le ringhiere su tutti i lati del ponte sono storte, a causa delle centinaia di scontri con camion, vetture, furgoni,
trebbie, trattori e scavatori.

Osservando bene si può altresì notare che la stessa lamiera del ponte, di spessore un centimetro, è sollevata e crepata.

I tanti coperchi dei pilastri di legno sono scomparsi (erano sigillati solo con un po’ di silicone).

Si può inoltre osservare come la deviazione sotto il ponte sia spesso ingombra di materiale galleggiante, quali: tronchi, cadaveri di animali, vegetazione acquatica, e finanche sacchi di pattumiera, lattine, borse, polistirolo, bottiglie di plastica e vetro.
Mi chiedo  perché si trovino lì: perché non si pulisce o perché la gente è fondamentalmente sporca e incivile?

Perché quando si visitano i paesi a noi limitrofi, come Austria, Slovenia o  Croazia, non si trova quanto devo sopportare (e pulire) ogni giorno a Boldara?
Ossia la vergognosa consuetudine, almeno da 25 anni a questa parte, di usare il proprio fiume come pattumiera? (vedi foto 2)

Ovviamente, per pulire il fiume, è necessario l’uso di una macchina operatrice che deve lavorare sul fianco sinistro del fiume.
Mi ero reso disponibile presso il progettista (Arch. Daneluzzi) per l’ancoraggio di una sponda  mobile su un mio robusto palo di confine (foto 3): una sponda unica che, una volta aperta, avrebbe enormemente facilitato l’accesso al fiume.

Invece il progettista ha preferito elaborare una sponda mobile in tre tronconi (foto 4) con 4 lucchetti (ormai arrugginiti come quelli del Titanic), articolati su tre pali di cui uno fisso nel bel mezzo della sponda!

Senza contare il posizionamento assurdo dell’illuminazione pubblica proprio in quel posto, per complicare ulteriormente le manovre della macchina operatrice.
Un progetto di certo fatto più a tavolino che su conoscenza del posto.
Ormai la struttura esiste, ma mi chiedo: che sia stata collaudata ufficialmente (a me non risulta)?

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Caccia, in Italia e nel Veneto

Caccia, magico termine generalmente applicato a uomini che “cacciano” altri uomini (cacciatori di criminali, cacciatori di terroristi, cacciatori di evasori fiscali – questi ultimi assai più rari e meno di moda). Non esiste o non dovrebbe più esistere la “caccia agli animali”: per una ragione molto semplice, ovvero perché non abbiamo più bisogno di uccidere animali selvatici per nutrirci.
Eppure la caccia continua ad esistere; anzi, è una realtà “viva e vitale”, almeno in Italia e soprattutto politicamente.

Cosa c’entri poi la caccia con la politica dovrebbero spiegarcelo i nostri parlamentari (nazionali e regionali) di ambedue gli schieramenti. In fin dei conti i cacciatori sono in via d’estinzione e, a livello nazionale stanno scendendo (fortunatamente) di numero anno dopo anno. Al punto che, tra non molto, dovranno essere proprio i protezionisti ad occuparsi di loro.

Nonostante tutto questo (e dunque, nonostante la loro condizione di esigua minoranza) accade tuttavia che una commissione parlamentare ha licenziato, proprio in questi giorni, una proposta di legge che prevede l’allungamento della stagione venatoria fino a 10 giorni oltre il termine previsto del 31 gennaio. E inoltre che, nella Regione Veneto, in concomitanza con l’annuale pubblicazione del calendario venatorio, vengono regolarmente inserite specie che non sono cacciabili a livello europeo. Piccoli uccelli, che non pesano il piombo della cartuccia impiegata per abbatterli; insettivori come la pispola o granivori come il fringuello, colpevoli soltanto di avere lo stesso sapore nel fatidico piatto dell’identità veneta, noto con il nome di “Poenta e osei”.

Tutto questo per dire che il calendario epocale del mondo venatorio (ma anche della società e della cultura popolare italiana) sta marciando all’indietro: verso gli anni ’50-’60 del Novecento.
E non mi si dica che i cacciatori ci stanno salvando dalle volpi e dalle gazze o dalle nutrie, dai cormorani o dagli altri fantasmi che la loro stessa cultura distorta ha creato e agitato.
A salvarci dagli invasori alieni basterebbe una politica dell’ambiente seria, che si avvalesse degli strumenti tecnici di cui dovrebbero essere dotate le pubbliche amministrazioni.

Peccato che i guardia-caccia provinciali di Venezia siano poi impegnati nella “caccia al venditore extracomunitario” sulle spiagge del Veneto Orientale.

Ancora una volta “uomini che cacciano altri uomini”.

Michele Zanetti, naturalista

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Acqua… che fare?

Dal 16 al 22 marzo, si è tenuto ad Istanbul il quinto Forum mondiale dell’acqua, un summit importante, anche se da più parti criticato, al quale è approdata anche la battaglia dei gruppi che combattono per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano universale e contro la privatizzazione della gestione idrica. I lavori del Forum si sono conclusi però con un nulla di fatto e con il riconoscimento generico, senza alcun peso legale, che l’acqua è un “bisogno” di tutti, non un diritto.

È stata bocciata anche la proposta di Sarah Ahmad, presidente della Gender and Water Alliance, secondo la quale “il ruolo dei governi è proteggere la propria gente, proteggere i più deboli, i più vulnerabili, i poveri e chi non riesce a pagarsi i servizi minimi per avere acqua potabile, ad es. fornendo gratuitamente una quantità minima garantita cadauno”. È stato quindi disatteso il principio che “l’acqua -come dice Emilio Molinari presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua- è di tutti e va con tutti condivisa e gestita e non si può agire solo a livello nazionale”. Del resto lo stesso ONU, ha rinviato il riconoscimento del diritto all’acqua al 2011, ricorda sempre Molinari “lanciando un brutto segnale proprio nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.

Partecipando, a fine novembre, ad un convegno su questi temi a Milano Molinari ha ricordato come “in Italia una legge obbligherà le amministrazioni locali a privatizzare i servizi idrici” mentre nel mondo le cose vanno diversamente. In America Latina, per esempio, le lotte contro la privatizzazione e per il diritto all’accesso dell’acqua sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali (Uruguay, Bolivia, Venezuela, Ecuador hanno rescisso i contratti con le grandi multinazioni e inserito nelle proprie costituzioni l’acqua come principio umano universale e la gestione partecipativa e comunitaria al servizio servizio idrico); in Francia, il Comune di Parigi ha deciso che entro il 2010 solo il pubblico garantirà tutto il ciclo dell’acqua, dalla produzione alla distribuzione, togliendola a Suez e Veolia, i due più importanti operatori mondiali privati del settore.

Nel nostro Paese è stato messo sotto accusa l’articolo 23 bis della legge 133 che rende sempre più difficile per i Comuni evitare la privatizzazione delle loro reti entro il 2010. Una legge duramente contestata dalle decine di comitati per l’acqua nati in tutta Italia e che hanno raccolto 440mila firme, depositate nel luglio 2007, per presentare una proposta di legge che favorisca “la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale” (Art.1, comma 2).

E mentre gli esperti discutono delle soluzioni da trovare per una gestione intelligente delle acque a livello locale, si moltiplicano le proteste: in Lombardia, per esempio, 144 Comuni hanno chiesto un referendum per cancellare una legge della giunta Formigoni del 2006 che anticipava il 23 bis e separava l’erogazione e gestione del servizio; ad Aprilia 7000 famiglie continuano a pagare le bollette al Comune, mantenendo la tariffa pubblica e respingendo quella di Acqualatina (la S.p.A. mista controllata dalla multinazionale Veolia) che comporta aumenti del 300%.

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Nucleare? Un costosissimo vicolo cieco…

articolo di Michele Boato

presidente de L’Ecoistituto del Veneto “Alex Langer” e direttore della rivista “Gaia”

Chiunque lo proponga, da destra o da sinistra, finge di ignorare che:

1. Il nucleare non è sicuro, è a rischio di incidenti catastrofici

Nel 1979 ad Harrisburg (Usa) si è sfiorata la “fusione del nocciolo”, che c’è stata a Cernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, con decine di migliaia di tumori e leucemie nei 20 anni successivi e più di 1000 morti per tumore tra i soldati intervenuti; ha contaminato l’acqua di 30 milioni di ucraini; irradiato 9 milioni di persone. Oggi, nelle regioni confinanti, 2/3 degli adulti e metà dei bambini sono ammalati alla tiroide, c’è il raddoppio delle malformazioni.

Nel 2002 nell’Ohio (Usa) si è sfiorato lo stesso disastro; nel 2004 a Sellafield (GB) c’è stata una fuga 160 kg di velenosissimo plutonio rivelata solo dopo 8 mesi.

Dal 1995 al 2005 c’è stata una serie di incidenti gravi (con 7 morti e centinaia di contaminati gravi) nelle centrali del Giappone: tra cui uno gravissimo a TokaiMura nel 1999 (2 lavoratori morti, 3 gravemente contaminati e 119 esposti a forti dosi di radiazioni) e il più grande impianto nucleare al mondo chiuso il 16.7.2007 per i danni da terremoto.

Avere il nucleare vicino casa non è assolutamente la stesso che a centinaia di km.

2. Dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive

Ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250.000 altamente radioattive) senza smaltimento definitivo. Gli Usa hanno speso 8 miliardi di dollari in 20 anni senza trovare una soluzione. In Italia il governo ha dato 674 milioni di euro alla Sogin che, dopo il ridicolo tentativo di Scanzano J. (sismico, come gran parte d’Italia), non sa dove mettere le “ecoballe” radioattive: il plutonio resta altamente radioattivo per 200mila anni! L’uranio238 per milioni di anni.

3. Non esiste il nucleare “sicuro e pulito” di Quarta generazione

Le centrali di “terza generazione”, che Berlusconi vuole costruire, dovrebbero durare più di quelle in funzione (II generazione), senza aver risolto il problema delle scorie né della “sicurezza intrinseca” (spegnimento automatico se c’è un incidente grave). Le chiama “ponte” verso una quarta generazione” che promette sarà “assolutamente sicura, non proliferante, con poche scorie e meno pericolose”, ecc. Ma i reattori di IV generazione NON esistono! Sono previsti “dopo il 2030”, come se fosse domani; e quanto “dopo”?

Intanto il governo propone un colossale rilancio del nucleare, con reattori che, almeno fino al 2040, aggraverebbero tutti i problemi creati dal nucleare! Infatti l’Enel ha investito quasi 2 miliardi di euro per completare, in Slovacchia, due reattori di vecchia tecnologia sovietica, addirittura privi di involucro esterno, giustificandosi: “la probabilità di un impatto aereo è trascurabile”. In che mani siamo!

4. E’ favola “solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale”

Per avere una riduzione di gas serra bisognerebbe costruire una centrale nucleare ogni 10 giorni (35 all’anno) per i prossimi 60 anni. Così, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell’energia totale.

C’è qualcuno, sano di mente, che pensa si potrebbe procedere a questo ritmo?

Nessuno dei top manager dell’energia crede che le centrali esaurite nei prossimi anni saranno rimpiazzate per più della metà: il trend mondiale del nucleare è verso il basso: solo per mantenere il numero e la potenza delle 435 centrali attuali (ne sono già state chiuse 117) ce ne vorrebbero 70 di nuove entro il 2015 (una ogni mese e mezzo!) e altre 192 entro il 2025: una ogni 18 giorni! Tutto per continuare a produrre non il 20%, ma solo il 6,5% dell’energia totale

2.000 scienziati dell’IPCC (ONU) lo hanno certificato nel 2007: “Il nucleare non potrà fermare la febbre del pianeta”.

Inoltre il ciclo completo (estrazione ed “arricchimento” dell’uranio, smaltimento scorie, costruzione e smantellamento centrale) emette gas serra quanto il ciclo a combustibile fossile.

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Cronaca di un disastro meritato

Come al mio solito, tento di portare all’attenzione della comunità locale -Gruaro- argomenti trattati genericamente dai media.

Quando nel 1977 approdai in questa zona del Veneto, a Boldara in particolare, paesaggisticamente mi era sembrato tornare agli albori dell’800. Era uno splendido susseguirsi di prati, di appezzamenti di terra -i “campi”- ben protetti dalla bora da siepi e separati da profondi fossati adibiti al drenaggio, le “scoline”. Cosa rimane adesso di questa “gestione intelligente e responsabile del territorio”?

I Francesi, negli anni settanta, si sono resi conto dell’importanza fondamentale delle siepi e dei fossati. Erano le fondamenta dell’agricoltura biologica e della difesa del territori per impedirne l’erosione e l’aridità. Il Governo francese ha legiferato e imposto l’immediata protezione ed il ripristino  di queste strutture agricole. Negli anni novanta hanno festeggiato il ventimillesimo chilometro di siepi restaurato (20.000Km)!
Non posso esprimere un giudizio che si riferisca alla vasta superficie italiana ma è certo che a Gruaro siamo lontani dall’aver capito quanto scritto sopra.

Nella nostra zona si continua ad eliminare, far scomparire, a “tombare” (lugubremente più adatto) siepi e fossati. Ormai non resta che il ricordo dei centinaia di chilometri di fossati che fino a poco tempo fa ricevevano e convogliavano le piogge. Milioni di metri cubi d’acqua rimangono in superficie e si accumulano prima di finire direttamente nei fiumi i cui letti non possono che allargarsi a dismisura e inondare campi e zone abitative. Dopo oltre 50 modifiche al piano regolatore firmate dalla Giunta attuale e precedente (senza variazioni nella gestione del problema) per permettere una lottizzazione sfrenata, spesso inutile, il territorio è stato impermeabilizzato su centinaia e centinaia di ettari  grazie a catramazioni, cementizzazioni e costruzione di abitazioni, condomini e capannoni.

Contemporaneamente, non solo i fossati sono quasi completamente scomparsi ma quei pochi rimasti sono stati lasciati all’abbandono o sono divenuti oggetto di “strani” interventi. In effetti, ogni anno, lungo le nostre strade, si può osservare un mezzo meccanico che, accuratamente, ricrea l’alveolo del fossato colmo di vegetazione e sedimentato e, a pochi centinaia di metri a monte, un altro mezzo meccanico, quello dell’agricoltore, che con impietosa incuranza per il lavoro d’altri appena svolto, menefreghismo totale e ovvia inciviltà a favore di un guadagno del tutto personale, ara talmente vicino al fossato appena ripristinato da provocare la caduta di zolle di terra al suo interno. Zolle che, in primo luogo impediranno il deflusso delle acque ed in seguito la sedimentazione che farà diminuire la profondità dello scavo. Il tutto a nostre spese e pericolo.

Ma c’è di meglio: qualche giorno fa, curando l’impiegato di un Comune limitrofo a Gruaro mi sono lasciato scappare che a me non servono gli avvisi elettorali per conoscere la data delle elezioni: basta osservare la frequenza delle catramazioni delle strade: entro pochi giorni ci saranno le elezioni!

-“Ha ragione”- mi ha risposto molto seriamente l’impiegato – “… e lo facciamo troppo spesso laddove non serve proprio a nulla.”-
Solo propaganda populista.

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La politica ambientale… a Gruaro

Questa politica è come l’ultima proposta del Ministro Amato, o come alcuni aeroplani da combattimento: a geometria variabile. In volo di crociera, fra due elezioni, con le ali ripiegate, e quasi non se ne percepisce il passaggio, tanto va veloce.

Invece, durante la campagna elettorale, alettoni dispiegati al massimo, essa plana sulla cittadinanza, trasformando gli “ecologisti” più brillanti, di cui, ultimamente, tenta di recuperare i meriti, in pallide verdastre evanescenze. In quel periodo, i progetti ambientali si sovrappongono, si combattono, si offrono agli elettori a colpi di depuratori di ultima generazioni, di riforestazioni, di riqualificazioni, di acque cristalline, di disinquinamenti, di protezione al massimo livello, di impietosa repressione e ritorni alla natura di una volta.

Questo vale per tutti gli schieramenti.

Personalmente, io che di ambiente non vivo, ma soffro da 17 anni a Boldara, non ne voglio parlare, ma schiettamente descriverne la realtà attraverso  sia il mio impegno personale che quello della mia associazione “Un parco per Boldara”, tanto  vituperata quanto ignorata.

Nel 1980, ho trovato a Boldara, ambientalmente parlando, uno scorcio di ‘700 con dei prati stabili separati da splendidi filari di  “vencheri”; un Lemene dalle acque trasparenti, ancora ricche di una grande varietà di pesci e con le rive popolate di uccelli acquatici. Le strade erano bordate di alberi maestosi, “talponi”, platani, frassini, con quelle poche luci che bastavano alla circolazione ridotta di questa zona campagnola.

Nel 2007, qual è la situazione?
Grazie a circa 50 variazioni al piano regolatore, una superficie enorme di terreni agricoli è stata trasformata in zone edificabili. Certo è difficile resistere a non vendere un terreno agricolo, che dai 30 milioni all’ettaro passa ai 250, quando diventa edificabile. Ma di questo cambiamento d’uso, ne approfitta solo il venditore?

Esistono anche i prodigi: come fa una zona ad essere considerata di “completamento” (quando inclusa fra due case), quando essa è compresa solo fra una casa e il fiume? A Boldara si può osservare il miracolo.

Questa speculazione ha trasformato Gruaro in un complesso di  lottizzazioni, dove non sempre quanto costruito è abitato, ma diventa, a parer mio, una “fascia dormitorio”, molto comoda per la zona industriale vicina, ma scarsa di  attività culturali, ricreative o economiche. In sostanza, cosa può fare la gente fuori casa e fuori lavoro? Andare in piscina? Andare al cinema? Andare al teatro? Passeggiare facendo shopping? Ritrovarsi in una piazza alberata, accogliente, dove ci si può sedere e scambiare due parole? Andare in circoli ricreativi per imparare qualcosa, dalla musica alla ceramica? Prendere una navetta per recarsi in città? Fare una passeggiata  su una pista ciclabile  lungo le strade che incrociano le nostre campagne ancora intatte?

C’è una piazza, certo.
Con alcune panchine, senza appoggio dorsale, posizionate in modo perfetto per non godere dell’ombra del solo albero presente, assolutamente non autoctono (un leccio toscanosardo), una fontanella molto erotica, lo concedo, al limite di una superficie cementata, che arriva ai 54 gradi al primo raggio di sole estivo. Il tutto separato dal paese da una strada ad alta velocità, sprovvista di dossi di rallentamento.

Però, c’è una passeggiata, a destra e a sinistra del fiume Lemene, a Boldara.
Quella di destra è stata realizzata con l’ausilio di un cingolato che, in un paio di ore, ha azzerato un bosco di zona umida con avvallamenti naturali contenenti specie autoctone, ormai rare. Queste geologiche e naturali ondulazioni sono state “rettificate”  con terre di riporto di origine sconosciuta e arricchite, non solo di piante estranee, ma anche “orticole”. La passerella è stata, chissà per quale motivo, costruita nella zona golenale, di esondazione, quando bastava appoggiarla sul terreno vicino, rialzato. “La ciliegina sulla torta” è stata la creazione di una pozzanghera (che necessità una regolare e costosa disinfestazione contro le zanzare) addobbata con “Tifa”, giunco infestante che non lascia  spazio ad altre specie. In sostanza, un concentrato di non rispetto delle direttive del Genio Civile e della Forestale di Treviso, di cui abbiamo  la documentazione.

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Per tutti gli alberi sacrificati per “sicurezza”…

L’olmo caduto

Chiunque avesse abbattuto l’olmo
Non lo aveva tagliato netto,
E sanguinò finché la neve dal cielo
Non sanò la ferita con una placenta d’argento

Il tronco, lucente di smalto di ghiaccio
Bianco venato come teca di cristallo,
Rigido giacque contro la nuova voce
Sibilata tra i denti invernali del vento.

Qualunque mai cosa scaldasse
L’olmo fino alle radici entro il suolo
Pietosa come la primavera
Scaldò il cuore del fusto

Legato al suo ceppo da un lembo
Di legno, quasi cordone d’ombelico,
Simile a madre che nutra il figliolo
Nel suo mondo d’embrione

Finché poté far breccia nel muro,
E s’aprì il varco, quando ogni irto ramo,
Germogli di foglie esplose, in verzura
Dalla coppa dell’olmo caduto.

da L. SALOMON, in “Poesia americana del’900”, Guanda

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A N I M A – LI

Da molti anni studio il comportamento dei lupi, dei cani e dei gatti, questi ultimi due in relazione all’uomo. Trovo sia necessario comprendere ed approfondire la comunicazione con gli animali con i quali condividiamo la nostra quotidianità. Ristabilire armonia tra due specie è assai difficile, quando siamo sbilanciati verso un rapporto utilitaristico (cani da lavoro, etc.), o verso una relazione non rispettosa delle caratteristiche specifiche del cane, ad esempio cani considerati come bambini o peggio, una relazione basata sul “io comando, tu obbedisci”.

Purtroppo le relazioni su cui intervengo sono spesso ricche di luoghi comuni come: “il cane deve essere trattato da cane”.
Mi chiedo cosa significhi una affermazione di questo tipo, visto che non si sa il perchè di certe risposte da parte del cane, e non si sa come rendere giustizia alla  mente di un grande predatore (il cui progenitore è il lupo). Forse non è chiaro che il cane è un animale che vive il branco come noi la famiglia, ha bisogno degli altri componenti per cooperare e quindi per sopravvivere.

Vivere fuori in un giardino, magari da soli, non è ciò che si aspetta da noi, non è ciò che desidera da una relazione basata sulla fiducia. Quando decidiamo di vivere 10-15 anni della nostra vita con un cane è necessario essere responsabili del suo benessere, non solo nel fornirgli un ottimo e caldo riparo, una adeguata alimentazione non fatta di avanzi, ma bilanciata nei suoi ingredienti, assicurargli una profilassi sanitaria, anche per la salute pubblica (vaccini, sverminazione, disinfestazione contro pulci e zecche), ma soprattutto comprendere, come faremmo con chi consideriamo amico, il suo punto di vista. Non ha alcuna giustificazione l’uso di tecniche violente per farlo smettere di abbaiare e  farci obbedire per situazioni che in natura non esistono (uso del collare a strangolo, collare elettrico), quando in natura, sicurezza e protezione sono alla base della crescita di una cucciolata di lupi fino al raggiungimento dell’anno di età. Il potere in una relazione non risolve nulla, spesso acuisce i problemi.

Conoscere la mente del cane significa non solo costruire un rapporto fatto di fiducia, ma affinare anche la sintonia per prevenire comportamenti indesiderabili, significa evitare l’istigazione all’aggressività (con inutili giochi di lotta o manovre dolorose), conoscere le caratteristiche ed essere responsabili per la sua e altrui incolumità.
Essere competenti vuol dire conoscere, non in modo grossolano e superficiale, quella miriade di segnali che il cane ci manda, risolvere i conflitti e soprattutto evitare l’uso della punizione (spesso alla base di vecchi e inutili sistemi di addestramento)
La punizione fa perdere fiducia, “congela” la personalità e spesso promuove comportamenti aggressivi.

Ricordiamoci che la maggior parte di reazioni violente da parte del cane, compresi i morsi, avviene nei confronti della famiglia che vive con lui.

Per approfondimenti, informazioni e corsi: http://www.puca.eu

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Una buona notizia per l’associazione “UN PARCO PER BOLDARA”

Dopo 17 anni di lotta impari contro migliaia di pescasportivi appoggiati da Istituzioni locali e provinciali, il sottoscritto, nelle vesti di Presidente dell’UPPB, è riuscito a fare applicare le nuove direttive europee da parte di chi, per primo, avrebbe dovuto divulgarle.

Ormai, Boldara e la zona circostante, in base ad una legge europea, è stata inserita nelle zone ZPS e SIC, gradino appena sotto la qualifica di PARCO NATURALE, e questo in gran parte grazie alla nostra azione e di pregiato restauro  e di  segnalazione della valenza ambientale del territorio.

Nonostante la nuova legge, alcuni responsabili pensavano di poter fare l’orecchio da mercante e continuare ad autorizzare le dannose gare di pesca. Atteggiamento al limite dell’irresponsabile visto che la non ottemperanza alle leggi della CEE comporta l’eliminazione di tutte le sovvenzioni di cui la zona coinvolta potrebbe beneficiare. Abbiamo dovuto intervenire molto in alto con la preziosa collaborazione del WWF Italia per riuscire a farlo capire. Finalmente, il calendario delle gare è stato  cancellato, a conferma della giustezza della nostra posizione, purtroppo valutata per settimane senza esito negli uffici della “Rampa Cavalcavia”. “Sarebbe una rivoluzione eliminare le gare di pesca a Boldara”  è stato detto da un responsabile provinciale, convinto che applicare le leggi sia in Italia una cosa  eccezionale.

A questo punto cosa cambia? Nelle zone SIC e ZPS si possono ancora programmare delle attività ma a condizioni molto precise, previa la presentazione di un documento di valutazione di incidenza. Tale documento viene rilasciato da una esiguo gruppo di specialisti ad un costo  piuttosto elevato (2000-5000€). Esso valuta se l’attività richiesta è compatibile con l’ambiente in cui si svolgerebbe. Perciò non c’è alcun automatismo fra presentazione del documento (ed il suo pagamento) ed una autorizzazione a procedere come succedeva in precedenza negli uffici provinciali.

Ormai è appurata la delicatezza dell’ecosistema delle rive del Lemene, già parecchio alterato dal pestaggio ventennale di migliaia di stivali e da  costosissimi e sciagurati pubblici interventi, ipocritamente nascosti sotto la dicitura di “riqualificazione ambientale”. C’è da sperare che non sarò l’unico a chiedermi perché, sotto la guida della Murer (Ass. Caccia pesca provinciale) e dell’ex sindaco Gasparotto, questa zona, oggi doverosamente protetta in quanto di estrema valenza ecologica, per colpa loro sia sempre stata  lasciata ad uso e consumo  esasperati di masse distruttive. C’è anche da chiedersi perché debba essere uno straniero ad urlare questo da anni, da solo, e nell’indifferenza generale e perché debba essere la Comunità Europea a fare aprire gli occhi alle Istituzioni nazionali per obbligarle a proteggere i propri beni ambientali.

Purtroppo è una consuetudine da queste parti dover aspettare le benedizioni “foreste” per rendersi conto di chi è santo nel Bel Paese, ricordando con ciò i nostri  Rubbia e Dario Fo.

Claude Andreini – Presidente della associazione “UN PARCO PER BOLDARA”

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Il “parco” di Boldara – Scheda tecnica

  • Classificazione: oasi naturale, cioè zona che gode di un certo livello di protezione: sono vietate alcune attività come la caccia. Questo livello non è sufficiente per impedire lo sfruttamento edilizio ed alcune attività anche di peso antropico importante.
  • Posizione geografica: geologicamente la zona è inclusa nel bacino del Tagliamento e si estende da Portovecchio a Cintello, lungo il fiume Lemene, su una larghezza di circa 1 km.
  • Estensione: complessivamente sono circa 140 ettari di superficie.
  • Tipologia: zona di pianura con porzioni umide, lungo il fiume Lemene.
  • Origine: a tutt’oggi il parco in quanto tale non è stato ancora istituito ufficialmente, ma è stato ideato dopo accordi verbali con i proprietari dei fondi. Esso però esiste, dal 1995, con un nome diverso: “Oasi di protezione” ed è riconosciuto dalla LIPU, dal WWF, da Soroptimist e dal Lion’s Club.
  • Flora: la flora caratteristica spazia dal carice alla felce, dall’arbusto all’albero e si annida ormai laddove può, ossia nelle ristrette nicchie di territorio non sfruttato dalle coltivazioni intensive o dall’edilizia.
  • Fauna: essa è caratterizzata, dove il peso antropico non è eccessivo, da uccelli acquatici e di pianura. Attualmente, per molteplici motivi, sta cambiando, con l’arrivo o la stabilizzazione di specie più consone al litorale adriatico. La fauna ittica si limita quasi esclusivamente alla trota, spesso nemmeno indigena.
  • Aspetti significativi: è un caso pressoché unico di gestione di un territorio da parte di un gruppo di privati, senza alcun sostegno politico locale. La Provincia però ha riconosciuto l’assoluta valenza ambientale del lavoro svolto e agisce per proteggerlo.