Informazioni su: Gigliola Bittolo Bon

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Articoli di Gigliola Bittolo Bon

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“Quelli della puntura”: la strage di Gruaro del 1933

aggiornamento di jetto del 17/12/2013: di seguito altri articoli sull’argomento:


aggiornamento di jetto del 4/12/2013: di seguito gli articoli sull’argomento usciti su “Il Gazzettino”:


Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera del signor Gasparotto Adamo che chiede la nostra collaborazione per approfondire e ricordare un episodio doloroso accaduto nel 1933 che lo ha visto, suo malgrado protagonista, e che ha segnato la vita di tante famiglie della nostra comunità (per le informazioni ulteriori rinviamo agli allegati prodotti dal signor Adamo).

Spett/Ass. La Ruota di Gruaro, sono Adamo Gasparotto, nato il 5 marzo 1928 a Pradipozzo di Portogruaro, (…) mio padre Pietro, essendo il più giovane di non so quanti fratelli, ebbe tutta una storia di emigrazione, e di conseguenza i suoi figli (…) sono sparsi da Monfalcone a Vicenza. Noi abbiamo abitato alla Mondina (Gruaro) dal 1929 al 1938, anno in cui siamo andati in Libia, a Homs, nella concessione agricola “Valdagno” del conte Gaetano Marzotto. Poi le vicissitudini della guerra ci hanno portati ad essere profughi nella sua tenuta a Villanova di Fossalta di Portogruaro. Poi i lavori e i mestieri imparati hanno fatto il resto. Ogni tanto, ora che sono pensionato, quando un argomento mi stuzzica, scrivo ai giornali.(…)

Il mio cruccio, attualmente, (…) è quello di sapere qualcosa in più, essendo io forse l’ultimo superstite, su “quelli della puntura” (vaccinazione obbligatoria antidifterica somministrata, in via sperimentale (?), ai bambini del Comune di Gruaro con esiti tragici per molti di loro, n.d.r.) … mi interesserebbe rintracciare altri superstiti. Voi mi potete aiutare? Quando nel 2008 è uscita la mia testimonianza, che vi invio, una signora di S. Stefano di Cadore mi ha scritto che sua madre classe 1911, che era di Bagnara, aveva avuto 2 fratelli morti per quel tragico fatto e una sorella era rimasta invalida. Vi mando la lettera inviata al Sindaco perché desidero che di quella storia, chiamiamola pure vigliaccata, venga informata più gente possibile. Come si fa a destinare i bambini di due poveri paesi a fare da cavie umane? Forse solo i tedeschi riuscirono a fare di più! Vi mando anche la ricerca di Gianni Strasiotto … che mi ha dato la possibilità di conoscere la verità sulla strage di Gruaro (…). Spero che vogliate darmi una mano a chiedere giustizia per quelle povere creature.

Distinti saluti
Adamo Gasparotto

  Lettera aperta al Sindaco di Gruaro (281,3 KiB, 3.861 download)

  La strage di Gruaro del 1933, Il Gazzettino (198,3 KiB, 1.357 download)

  estratto da 'Gruaro, venti secoli di storia': la strage del 1933 (489,3 KiB, 2.753 download)

-articolo di Gianni Strasiotto-

postilla di jetto: di seguito l’elenco delle vittime.

Gruaro:
1. Barbui Erminio – n.23-12-1929 m.13-5-1933
2. Basso Maria – n.22-2-1932 – m.29-4-1933
3. Biason Placida – n.19-3-1931 – m.4-5-1933
4. Bonan Luigi – n.26-6-1927 – m.3-5-1933
5. Bravo Giovanni – n.11-1-1932 – m.28-4-1933
6. Colautti Giuseppe – n.28-12-1929 – m.28-4-1933
7. Falcomer Evelina – n.23-8-1931 – m.25-4-1933
8. Innocente Celso – n.21-10-1931 – m.2-5-1933
9. Moro Antonietta – n.17-1-1929 – m.6-5-1933
10. Nosella Iole – n.16-9-1931 – m.4-5-1933
11. Peresson Plinio – n.12-5-1931 – m.24-4-1933
12. Toffoli Iole – n.4-12-1930 – m.9-5-1933
13. Stefanuto Luciano – n.8-1-1932 – m.28-4-1933
14. Stefanuto Imelda – n.19-5-1929 – m.11-5-1933
15. Toneatti Florida – n.11-7-1927 – m.8-5-1933
16. Toneatti Sira – n.14-2-1931 – m.1-5-1933
17. Zambon Caterina – n.12-12-1930 – m.15-5-1933
18. Zanon Celia – n.23-3-1927 – m.16-5-1933

Bagnara:
19. Paschetto Bruno – n.20-2-1928 – m.6-5-1933
20. Paschetto Plinio – n.11-7-1931 – m.26-4-1933
21. Romanin Edda – n.27-6-1931 – m.27-4-1933
22. Romanin Sante – n.31-3-1930 – m.9-5-1933
23. Orlando Maria – n.10-3-1929 – m.9-5-1933
24. Dreon Giovanni Battista – n.25-6-1929 – m.8-5-1933
25. Zanin Mario Secondo – n.24-3-1931 – m.30-4-1933
26. Biasio Renato – n.3-4-1931 – m.26-4-1933

postilla di jetto del 18/10/2013: raffronto dell’elenco con il libro di Ariego Rizzetto “Gruaro – venti secoli di storia”.

Sepoltura ignota:
27. Bortolussi Mirella (7 anni)
28. Marson Maria (2 anni)
29. Zanin Maria (2 anni) ?

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“Calli e campielli di Venezia”, a cura di Lucia Crovato

Una veneziana racconta Venezia!

Attraverso le foto di Lucia Crovato, scopriremo angoli e scorci poco conosciuti del capoluogo veneto.

La serata si terrà venerdì 15 febbraio 2013 alle ore 20.45 presso la Villa Ronzani di Giai di Gruaro.

Allego la locandina dell’evento ed invito tutti a segnalare la serata.

  'Calli e campielli di Venezia', di Lucia Crovato (590,4 KiB, 21 download)
Non hai il permesso di scaricare il file.

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Quando un hobby diventa un lavoro

Non capita molto spesso di parlare di qualcuno che è riuscito a fare di un suo hobby un lavoro, ma questo è il caso di Daniela Zerbini, nostra concittadina, che ha dato vita, più di trent’anni fa, a Portogruaro, ad una attività commerciale ed artigianale insieme, “Tricot filati”, sfruttando una sua passione, quella del lavoro a maglia, che ha coltivato fin da bambina.

Questa suo interesse viene da lontano, si delinea e sviluppa all’interno della famiglia, dove la madre, valente sarta, incoraggia Daniela e Patrizia, l’altra figlia, a fare, a creare con le proprie mani. E’ naturale che le due sorelle, forti dell’esempio materno, si indirizzino dapprima verso il cucito e realizzino, come del resto molte loro coetanee, i vestitini per le bambole, anche se a differenza di quest’ultime, non si limitano a singoli pezzi, ma creano intere collezioni che poi mostrano, o meglio “presentano” alle loro amiche in estemporanee sfilate, lasciandole a bocca aperta.
Anche il padre, ricorda Daniela, pur svolgendo un lavoro impiegatizio, coltivava una vera e propria passione per il disegno e la pittura ed era, a suo dire, molto creativo e costituiva un modello di riferimento.

Daniela rievoca con particolare piacere questi momenti della sua infanzia e della sua educazione, affidata, dopo la scomparsa prematura del padre, completamente alla madre che incoraggiava il fare delle figlie e che adottava un metodo, a suo avviso molto efficace per sollecitare la loro curiosità e far emergere nuovi interessi che partivano sì dal cucito, ma spaziavano in molti campi, dalla maglia, all’uncinetto in primis, alla realizzazione di piccoli oggetti per la casa: lei si limitava a dare i primi rudimenti, poi diceva che il resto veniva da sé, che bisognava un po’arrangiarsi, “rubare con gli occhi”, provare insomma, incoraggiando così l’intraprendenza.
E questo è l’insegnamento che Daniela non ha più dimenticato e che ha applicato quando, conseguita la maturità all’Istituto tecnico commerciale, quasi casualmente una cliente della madre, vedendola alle prese con una liseuse ed ammirandone la perizia esecutiva e l’originalità, le commissiona una giacca; Daniela accetta con entusiasmo, si mette all’opera e realizza, lo ricorda ancora nitidamente, un golf bianco lavorato a onde. Da quel momento non si è più fermata: in seguito, assieme alla sorella, ha acquistato una macchina da maglieria ed ha aperto il negozio di filati, già citato, a Portogruaro.

Era l’84; la collaborazione con la sorella è durata 8 anni, poi Daniela ha continuato da sola. Ancora oggi lei si dice contenta della sua scelta e proprio la convinzione di aver fatto la cosa giusta, più adatta per lei, le ha fatto superare le difficoltà che si sono inevitabilmente presentate, ed affrontare con entusiasmo un ritmo di lavoro a volte massacrante. Le motivazioni che trova poi nella sua attività sono profonde per cui ci tiene a ribadire che il lavorare a maglia non è solo legato al fattore moda, ma rientra e si ricollega ad una cultura del fare, che si è evoluta nel tempo di pari passo con la storia dell’uomo ed è passata dalla realizzazione di capi di semplice fattura, con la funzione primaria di coprire, ad altri più elaborati, basati su punti sempre più preziosi, per approdare recentemente ad una ricerca e sperimentazione su materiali nuovi o sulla rielaborazione e riscoperta di quelli antichi.
E’ proprio questa convinzione che il suo lavoro attenga ad un fatto culturale e rientri in un certo modo di vedere, pensare il mondo ed agire, che spinge Daniela a trasmettere questo suo sapere a quante più persone possibile, organizzando corsi personalizzati, dove ciascuno può trovare le risposte a sue necessità, o in maniera più informale e gratuita, aiutando le clienti ad eseguire i vari capi e a superare le difficoltà tecniche.
Rimanendo in questo ambito, Daniela ha un suo sogno o progetto: organizzare dei corsi di maglia all’interno delle scuole, in modo che un patrimonio di abilità e sapienza antiche non vada disperso e dimenticato.

Ciò che colpisce poi, guardando i capi realizzati, tutti capi unici peraltro, oltre che l’abilità e la precisione tecniche messe in campo è anche e soprattutto la creatività, a tratti stupefacente, e che fa pensare ad un prodotto artistico oltre che artigianale.
Questo gusto per la decorazione, il colore, l’accostamento di materiali diversi, le soluzioni originali, lei li esprime anche nell’allestimento delle vetrine per le quali ha ricevuto vari riconoscimenti: in particolare 2 premi a Portogruaro e 2 a Pordenone, tra cui un I° premio sul tema dell’estate. Concludendo il nostro incontro, Daniela ricorda che il criterio che la guida nel suo lavoro, e nel suo rapporto con le clienti, oltre all’immancabile entusiasmo, non è tanto l’adesione acritica e pedissequa alla moda del momento, quanto lo sforzo  di avvicinarsi il più possibile alla personalità del soggetto che ha davanti, di rispondere alle sue esigenze profonde, il che la porta il più delle volte a rielaborare in chiave personale quanto dettato dagli stilisti. A questo punto non resta che visitare di persona il negozio – atelier “Tricot filati”, situato in via Garibaldi n.31 a Portogruaro, allo scopo di verificare “de visu” quanto letto; penso che non resterete delusi.
Buona fortuna, Daniela.

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Elogio della normalità

Scorrendo gli articoli del giornale, mi sono imbattuta per ben due volte nell’aggettivo “epocale”, anche se usato con accezioni e sfumature diverse: una volta in senso letterale, come sinonimo di “periodico”, un’altra in quello di “eccezionale” anche se con un’intensa connotazione ironica, ma tant’è il vocabolo, nella sua pregnanza e nella sua frequenza mi ha spinto ad alcune riflessioni.

Mi sono resa conto innanzitutto che il termine è molto di moda ed è usato frequentemente nel linguaggio giornalistico e nel politichese per indicare avvenimenti, provvedimenti e riforme presentate come capaci di segnare un’epoca appunto, naturalmente migliorandola.
Ed è proprio questo esclusivo significato positivo, attribuito al succitato aggettivo che suscita un moto di diffidenza e sollecita la mia analisi; continuando quindi nel mio esame della parola da un punto di vista lessicale e connotativo, osservo, ripetendomi che esso può essere correttamente sostituito da “eccezionale”, “straordinario” ed allora la sottolineatura enfatica, celebrativa appare ancora più evidente.

Ad “epocale” poi io associo istintivamente il sostantivo “evento” che mi porta, dritto dritto, al mondo dello spettacolo, di cui è diventato, nel linguaggio comune, sinonimo, ed allora il cerchio è chiuso.
Considerando che il linguaggio è lo specchio di una determinata società in un determinato momento storico, non riesco a sottrarmi al pensiero di una spettacolarizzazione della vita pubblica, sociale e politica con tutte le implicazioni negative o discutibili che questo comporta ed allora ho l’impressione di trovarmi immersa in una comunità separata, in cui ci sono da una parte cittadini-spettatori e dall’altra politici-attori.

A questo punto penso che mi piacerebbe tanto che l’aggettivo in questione venisse usato con meno enfasi compiacente, o venisse sottaciuto, o meglio sostituito, anche implicitamente, da “normale”, termine meno ridondante certo, dal significato forse non del tutto univoco, ma più aperto a valutazioni ed interpretazioni e che fa pensare ad una società in cui leggi e riforme rispondono a bisogni reali dei cittadini che non sentono la necessità di essere stupiti con “effetti speciali”.

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Io non ci sto

Qualche tempo fa il comune di Adro (BS) è salito alla ribalta della cronaca per un provvedimento che ha fatto molto discutere: ha privato della mensa scolastica i bambini delle famiglie che non pagavano la retta. Tra tante reazioni riportiamo quella di un cittadino dello stesso comune che con la sua presa di posizione ha fatto pensare molti.

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film L’albero degli zoccoli. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.

È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica. A scanso di equivoci, premetto che: non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona. So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina. Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male. I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, rna potrei portare molti altri casi.

Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino…). Ma dove sono i miei sacerdoti? Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.

Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”. Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro mese (regolari).

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Un poeta: Giancarlo Pauletto

(Portogruaro, 1941)

Batti quietamente
sillabe nel giorno
mite al suo tramonto
e forse lieto della tua impotenza
agiti parole
(ma grida la sua fame
la primigenia cellula
che ingloba e sputa, ingloba e sputa
atrocemente).

Questa luce che si sgrana da altra
luce, riverbera negli occhi una bellezza
che la mente contraddice,
la mente che recide le parole
e in serti le compone
(eppure
è fragile la mente, cede al vino
e al sonno, è una grazia
intermittente, che da sé
muore e risorge).

Si rompono talvolta le parole
come vetri, non la loro
musica ci manca, sì una stella
che le guidi.

Di questo sempre sono in traccia
esse, le sonanti: di una fede
provvisoria che mai stanca
al nulla le contesti.

A cosa si oppone la nostra
parola, veccia, voce di canna:
alle grida di guerra?
alla tortura?
alla morte che latra?

È una dura impotenza, un cruore.

Ma parla, parliamo.

da “Una dura impotenza”, Edizioni Concordia Sette

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Un poeta: Romano Pascutto

(San Stino di Livenza, 1909 – Treviso, 1982)

INSOGNO AZURO

Ancùo son contento, vorìa far ‘na poesia
liziera come l’è ‘sto primo sol de istà
che’l s’ha levà bonora e de bona voia
come ‘na massera che spalanca i veri
a l’aria pura. Ma la pena resta ferma,
el folio bianco, la volontà se nina
fra el far e no far,pian,pianpianìn,
in un insogno azuro. Anca mi ancùo
me sinte drento come ‘na massera
che slarga i brassi e la se senta
dopo che l’ha netà tuta la casa.

CO POCHE PAROE

Co poche paroe far poesia granda
come’l sass co s’cioca su l’acqua
e po’ conta le onde che’l manda.
No far ciasso e gnanca pianzere
come l’è le robe de ‘ sto mondo
che manco le ziga pi’ le è vere.

TEMPO DE BRUMESTEGHE

Me alze co’l scrinzèt.
Come lu me sinte picinin,
ma manco de lu contento
in ‘sto mondo cussì grando.
Lu sora ‘na rama el canta,
mi tase rampegà co fadiga
su ‘sto scaràzz de la vita
che sbrega braghe e cuor.
L’è tempo de brumesteghe,
de costioe roste de porçel
e de vin novo che speta
el Nadal par farse ciaro,
de caivi fissi che sconde
i monti e lustra i copi.
El sol riva a tera tamisà
sul formento morto de fredo.
L’è ora de pensar al caivo
Grando, co i oci se sera
Par sempre e la brumestega
Se ferma là sora ‘na piera.

I DISE

I dise che son un omo tranquilo
e ghe someie al most che boie
ne le brente, a la scorza de vida
che se spaca sora l’ocio primariol,
a la zopa de tera rosa de butoe
taiade a metà, che fùmega al sol.
Son mi busier o’st’ altri mone?
Cossa conta? L’importante l’è viver
Senza tradir el zorno che se nasse,
come vermeti che i metarà le ae.

SERA DE ISTÁ

I pra’ no basta a tegner tute l sol
che’l se ingruma al de qua de i monti
e fraca le palade, impignisse i fossi,
pica recini de oro su le foie de vida.
Un tochèt de specio roto fa ‘ na casera
E po’, vanti che vegna scuro patòch,
l’è un momento che’l mondo se slarga
e el cuor se strenze parchè ghe stemo
drento orbi e senza ae come i notoi.

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Acqua… che fare?

Dal 16 al 22 marzo, si è tenuto ad Istanbul il quinto Forum mondiale dell’acqua, un summit importante, anche se da più parti criticato, al quale è approdata anche la battaglia dei gruppi che combattono per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano universale e contro la privatizzazione della gestione idrica. I lavori del Forum si sono conclusi però con un nulla di fatto e con il riconoscimento generico, senza alcun peso legale, che l’acqua è un “bisogno” di tutti, non un diritto.

È stata bocciata anche la proposta di Sarah Ahmad, presidente della Gender and Water Alliance, secondo la quale “il ruolo dei governi è proteggere la propria gente, proteggere i più deboli, i più vulnerabili, i poveri e chi non riesce a pagarsi i servizi minimi per avere acqua potabile, ad es. fornendo gratuitamente una quantità minima garantita cadauno”. È stato quindi disatteso il principio che “l’acqua -come dice Emilio Molinari presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua- è di tutti e va con tutti condivisa e gestita e non si può agire solo a livello nazionale”. Del resto lo stesso ONU, ha rinviato il riconoscimento del diritto all’acqua al 2011, ricorda sempre Molinari “lanciando un brutto segnale proprio nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.

Partecipando, a fine novembre, ad un convegno su questi temi a Milano Molinari ha ricordato come “in Italia una legge obbligherà le amministrazioni locali a privatizzare i servizi idrici” mentre nel mondo le cose vanno diversamente. In America Latina, per esempio, le lotte contro la privatizzazione e per il diritto all’accesso dell’acqua sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali (Uruguay, Bolivia, Venezuela, Ecuador hanno rescisso i contratti con le grandi multinazioni e inserito nelle proprie costituzioni l’acqua come principio umano universale e la gestione partecipativa e comunitaria al servizio servizio idrico); in Francia, il Comune di Parigi ha deciso che entro il 2010 solo il pubblico garantirà tutto il ciclo dell’acqua, dalla produzione alla distribuzione, togliendola a Suez e Veolia, i due più importanti operatori mondiali privati del settore.

Nel nostro Paese è stato messo sotto accusa l’articolo 23 bis della legge 133 che rende sempre più difficile per i Comuni evitare la privatizzazione delle loro reti entro il 2010. Una legge duramente contestata dalle decine di comitati per l’acqua nati in tutta Italia e che hanno raccolto 440mila firme, depositate nel luglio 2007, per presentare una proposta di legge che favorisca “la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale” (Art.1, comma 2).

E mentre gli esperti discutono delle soluzioni da trovare per una gestione intelligente delle acque a livello locale, si moltiplicano le proteste: in Lombardia, per esempio, 144 Comuni hanno chiesto un referendum per cancellare una legge della giunta Formigoni del 2006 che anticipava il 23 bis e separava l’erogazione e gestione del servizio; ad Aprilia 7000 famiglie continuano a pagare le bollette al Comune, mantenendo la tariffa pubblica e respingendo quella di Acqualatina (la S.p.A. mista controllata dalla multinazionale Veolia) che comporta aumenti del 300%.

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Marcello e i “The Professionals”

Anche la storia di Marcello C., come quelle ospitate precedentemente in questa pagina, è la storia di una passione, iniziata lontano nel tempo, quando il nostro protagonista aveva 8 anni, a Catania, e condivisa con il fratello e poi con altre persone, (la nostra sarà sempre infatti una storia al plurale) che ha avuto ed ha tuttora come oggetto la musica, non tanto e solo ascoltata, ma praticata, suonata assieme ad altri.

Marcello racconta che a 8 anni appunto, di nascosto, lui e suo fratello si erano comperati una chitarra, mettendo insieme faticosamente le 6000£ necessarie; tutto all’insaputa dei genitori e in particolare della mamma che, da buona insegnante, considerava la musica una possibile fonte di distrazione. Il segreto rimane tale solo per 2 giorni, e quando la chitarra viene scoperta, viene loro intimato di riportarla indietro, ma per fortuna il negoziante non ne vuole sapere di riprendersela, per cui è giocoforza per la madre accettare la situazione. Incomincia così lo studio, suo e di suo fratello, da autodidatti, dello strumento, mentre all’educazione del loro gusto musicale contribuiscono i fratelli più grandi, che ascoltavano i Platters e poi i Beatles, per citarne solo due.

A 11 anni Marcello e Roberto, il fratello, danno vita, con alcuni coetanei, al loro primo complessino e passano i pomeriggi a provare nel garage di un amico, in un condominio in quel di Catania. Finalmente, per il loro tredicesimo compleanno, il debutto davanti a tutta la famiglia e da quel momento non hanno più smesso, anche se ci sono state delle pause involontarie nell’attività del gruppo, dovute ai trasferimenti della famiglia e a motivi di studio, ma la passione è rimasta, sempre alimentata, coccolata e si è andata definendo meglio finchè nel 1991 è nata la band “The Professionals”, attiva ancora oggi, sostanzialmente sempre con gli stessi componenti, o quasi.

“Profondamente legati alla musica nera degli anni ‘50 e ‘60, e in particolare al blues e al Rhythm’n’Blues, The Professionals riescono ad accattivarsi il pubblico grazie alla riproposta di questo genere musicale trascinante e coinvolgente…” così è scritto nella home page del loro sito ed io sottoscrivo in pieno questo giudizio, perché ho avuto l’opportunità di ascoltarli e li ho trovati capaci e divertenti, ma proporrei all’estensore della presentazione di sostituire accattivare con conquistare che rende maggior giustizia al loro talento esecutivo.

Di Marcello poi, Drum, sempre nel sito ufficiale della band si legge questo breve ritratto “(è) il personaggio più misterioso del gruppo. Grande cultura musicale unita ad una tonica destrezza gli permettono di cimentarsi contemporaneamente alla batteria e alle tastiere. Semplicemente incredibile”. (Dettaglio singolare e simpatico: lo stesso ritratto è utilizzato specularmente anche per il fratello gemello, quasi a sottolineare la loro intercambiabilità). Misterioso Marcello un po’ lo è: lui, normalmemte cordiale ed estroverso nella vita di relazione, diventa più riservato, quasi restio a raccontarsi come musicista, non so se per modestia, o per gelosa custodia di questa sua passione che ritiene più giusto vivere e condividere fattivamente con amici e fans piuttosto che affidarla alle parole. Parla invece con piacere, sottolineandone le qualità professionali, di quanti suonano con lui nella band, come il suo sosia e gli “amici fraterni” Umberto Baggiani, Neck Collini e “Al” Caicco, e di quanti hanno hanno suonato e cantato nel gruppo, come Gigi Todesca, Davide Drusian, Ice Casaro, Monica Roncolato e Valentina Roman, l’ultima cantante in ordine di tempo. In passato ricorda, rispondendo ad una mia domanda, di aver accompagnato, in occasione di “feste di piazza” vari interpreti e suonato con strumentisti noti in Italia e fuori: tra gli altri Juni Russo (quando si chiamava ancora Giusi Romeo), Ninni Rosso, Donatella Moretti, Mino Reitano e Mario Merola.

Il repertorio di The Professionals comprende canzoni quali Midnight hour, Knock on vood, 6345-789, Shot gun blues, Proud Mary, Sweet Chicago, Soul man, tutti brani resi immortali dai grandi del R&B, da Wilson Pickett a Otis Reding, a Sam & Dave e via elencando, eseguiti, dicono gli intenditori “con ottima tecnica strumentale e la più totale padronanza del repertorio”.

La band ha suonato in numerosi locali di tutto il Triveneto, e Marcello cita con particolare piacere, e in questo caso sì con una punta d’orgoglio, il locale “Al vapore” di Mestre, location  prestigiosa dal punto di vista musicale; e qui la loro esibizione è stata accompagnata, ancora una volta, da giudizi positivi e lusinghieri, per i quali vi rimando al sito (www.theprofessionals-band.it).
Nel loro curriculum figurano anche 2 cd ed un dvd.

Le notizie raccolte hanno solleticato ulteriormente la mia e, anche spero, la curiosità dei lettori, per cui non ci resta che auspicare di poter assistere al più presto ad una esibizione de’ “The Professionals” a Gruaro per apprezzare dal vivo quanto letto.

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