Informazioni su: Gigliola Bittolo Bon

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Articoli di Gigliola Bittolo Bon

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Luca Bidoli

Luca Bidoli è nato a Gorizia nel 1967, ma risiede a Gruaro da alcuni anni, anche se sono pochi quelli che lo conoscono; anche la mia conoscenza è recente e so poco della sua storia personale, ma ci sono i suoi quadri a parlare di lui, del suo mondo che ruota attorno a persone, animali e cose a lui vicini e cari: la moglie Jacqueline, i suoi cani, la sua casa, gli amici.

Il suo percorso come pittore è molto personale, lontano da scuole ed accademie, imperniato essenzialmente sulla ricerca e scoperta; inizialmente, lui dice di non aver avuto dei riferimenti culturali precisi, dei modelli; non era supportato neanche dal tipo di studi fatti, essenzialmente tecnici; gli piaceva dipingere, stop; poi di pari passo con l’estrinsecarsi della passione è venuta la sua voglia di informarsi, di conoscere, e tra i pittori che ha scoperto ed ama in modo particolare ci sono Burri ed Afro, quest’ultimo soprattutto per la potenza del segno. Egli aggiunge inoltre di non aver mai provato grande interesse per la tecnica, “anche se -dice Luca- certamente c’è stata una evoluzione nel mio modo di dipingere; inizialmente stilizzavo tutto, adesso invece amo di più il realismo, pur usando colori acidi, non reali”. Ecco, il colore, è questo uno dei segni peculiari e più originali della pittura di Luca Bidoli.

Guardando i suoi quadri si è colpiti appunto da essi, i colori, che sono quelli primari (blu, rosso, giallo), usati puri, senza sfumature, contornati spesso di nero, considerati a volte contrastanti; ma dice Luca “per me non è così, in questo modo si ha una comunicazione immediata, diretta e diventa intrigante, coinvolgente trovare un equilibrio; è un po’ la metafora della vita”.
A far da contraltare a tanta “temerarietà” coloristica ci sono però i temi rappresentati, che egli attinge dalla sua vita quotidiana e familiare e che rappresenta  in modo realistico e figurativo.
Ecco allora i suoi amati levrieri, coprotagonisti, con la moglie Jacqueline, di tanti quadri, a cui sono accostati, soprattutto nelle ultime opere, elementi vegetali a sottolineare che “l’uomo è inserito nella natura, anche se le si contrappone… nelle mie opere -ribadisce- pongo semplicemente in relazione l’uomo con la natura, evitando qualsiasi giudizio ed interpretazione”.

Egli inizia a dipingere, soprattutto per sé, nel 1988, ma lo fa sporadicamente; la voglia gli viene, a suo dire, con il trasferimento nella nuova casa, a Bagnara, in via Bosco, proprio perché gli offre un contatto continuo ed immediato con quella natura, che lui sente tanto, e che abbraccia uomini, animali e vegetali, che nei suoi quadri, a volte, si fondono assieme in una nuova creatura ibrida.

Le prime collettive risalgono al 2005, poi l’incontro nel 2006 con il gallerista Gianni Boato che ha per lui parole lusinghiere: “mi colpirono soprattutto i colori, così forti e primitivi, con tagli netti nelle suddivisioni delle immagini. C’era qualcosa che mi attraeva in questi lavori…” e gli organizza la prima personale, alla quale sono seguite molte altre a Jesolo e a San Donà. Le più recenti sono quelle realizzate a Portogruaro, presso lo studio d’architettura “Arkema”, poi al bar “La Lanterna”, e l’ultima alla galleria Degani, inaugurata il 31 marzo e rimasta aperta fino al 30 aprile.

Certo, per concludere, la sua non è una pittura accattivante, facile, ma superato lo stupore e la sorpresa iniziali, ne subisci la fascinazione e ti incanti dinanzi a tanta intensità comunicativa perché “Luca ha la capacità di tradurre in poche e semplici pennellate, un perfetto ritratto psicologico di ciò che ritrae, ed è sorprendente come riesca a dare un’anima ai suoi cani”. (Gianni Boato).

Sito ufficiale

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Ernesto Calzavara

Te si dentro

Te si dentro e no te trovo
te si fora e no te trovo
te si da par tuto
fra tute le robe del mondo
le pigne le piaghe le stringhe le ongie
le franze che sponze
le pignate de marenghi remenghi
le patate sgionfe de sono
e me poro nono

e no te trovo.

Ti che te si
fra mi e mi
no te vedo no te trovo
no te trovo.

La scelta

Tra quel che xe fora e quel che xe drento
tra quel che xe nudo e quel che xe vestìo
tra quel che par e quel che xe
tra la màscara e el viso
tra el dir e el far
tra mi e no-mi
tra note e dì
te si ti
mente che trema
‘desso a decìdar

e se sbagli te mori.

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D’un tratto…

In genere in queste poche righe, cerco di riflettere su qualche tema o di carattere generale o di vita interna dell’Associazione, questa volta invece voglio occupare questo spazio per condividere con voi un’emozione profonda e intensa che ho provato incontrando, in occasioni diverse due persone, lo scrittore israeliano Amos Oz ed un prete, Pierluigi Di Piazza, fondatore ed anima del Centro d’accoglienza e promozione culturale “E. Balducci” di Zugliano (Udine).

Due persone distanti geograficamente tra loro – uno, ebreo d’Israele, l’altro friulano -culturalmente e per formazione; uno laico, non religioso, l’altro prete (che rifiuta peraltro l’etichetta di “funzionario del sacro”) ed operatore sociale, ma uniti da un convinto e sentito “I care” (mi riguarda). Entrambi sono impegnati a dare il loro contributo per una soluzione concreta, realistica e possibile ai “drammi delle persone e dei popoli” siano essi ebrei e palestinesi per il primo, o tutti i diseredati del mondo per il secondo.

Un compito impegnativo, vissuto e partecipato da tutti e due, in modo diretto, semplice, credibile, senza nascondersi e nasconderci difficoltà e perseguito con modalità a tratti simili; essenzialmente la parola per l’uno e l’altro, la parola e l’accoglienza per il secondo, e a volte diverse: accettazione del “compromesso”, inteso in senso alto come capacità di adeguarsi al reale, alla vita (il contrario di compromesso è per lui fanatismo, morte), per risolvere la questione israelo-palestinese, per Oz; intransigenza ferma, non nei confronti delle persone, ma sui principi, sulla scelta delle soluzioni per Di Piazza, perché una sola può essere la strada da percorrere se ci si vuol mettere dalla parte dei diseredati.

Mi fermo qui, con queste brevi annotazioni perché non vorrei togliervi il piacere della scoperta, e che scoperta!

Aggiungo solo due suggerimenti di letture per facilitarvi nella vostra ricerca:

  • AMOS OZ – “Contro il fanatismo” – Feltrinelli;
  • GIANLUIGI DI PIAZZA – “Nel cuore dell’umanità – storia di un percorso” – Centro di accoglienza e di promozione culturale “E. Balducci” – Editrice
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Lucia Pellegrin

Anche quella di Lucia Pellegrin, come molte di quelle che abbiamo testimoniato in queste pagine, è la storia di una passione che, nata inconsapevolmente sui banchi di scuola, è esplosa irrefrenabile circa 20 anni fa (nel ’88 per la precisione) ed ha costretto la nostra protagonista a fare i conti con essa.

Lucia ama il teatro, quello dialettale in particolare, non si limita a recitare, ma scrive anche  i testi dei suoi spettacoli, ne cura la regia ed idea e progetta scenografia e costumi. La fase che mi incuriosisce e mi affascina di più di questo suo teatro amatoriale, e glielo dico, è quella ideativa, in particolare quella della stesura del testo, che, una volta pronto, lei propone poi con la sua compagnia, “La Lanterna”, ad un pubblico affezionato ed attento, che la segue da parecchi anni, riempiendo numeroso le sale (mi ha parlato, in alcuni casi, anche di 700 persone). Lucia soddisfa la mia curiosità e dice che lei, autodidatta, prende ispirazione per le sue storie, rivelando peraltro buone doti di affabulatrice, dalla vita paesana, soprattutto quella del passato, dal mondo contadino e, per fare questo, attinge ai suoi ricordi, a quelli dei suoi familiari e delle persone anziane in genere che lei contatta con grande affabilità e tatto. Il suo quindi oltre che di scrittura  è anche un meritorio lavoro di ricerca e salvaguardia che raggiunge l’obiettivo di salvare dall’oblio e di rivitalizzare momenti e figure della nostra vita quotidiana passata.

Per mantenere vivacità ed immediatezza sulla scena a ciò che ha raccolto, Lucia utilizza, come già ricordato, il dialetto gruarese, (affine ad alcune varietà di friulano della Bassa), rinnovandone così l’ascolto se non l’uso. A questo punto del nostro incontro le chiedo come mai, fino a questo momento, viste le sue capacità e risorse interpretative, non abbia mai pensato di fare il salto di qualità, come forse un po’ impropriamente  l’ho chiamato, recitando sì testi dialettali ma d’autore.

Lei, con grande semplicità ma anche determinazione, mi ha confessato che non ama recitare testi altrui, ma soprattutto che in uno dei primi corsi di teatro da lei frequentati, c’è stato un regista, di cui non ricorda il nome, che ha suggerito a loro allievi, come prima regola per ottenere un buon prodotto, di cimentarsi solo in quello in cui erano preparati e “questo- aggiunge Lucia- mi è sembrato un saggio consiglio che non ho mai abbandonato e che mi ha sempre aiutato ad ottenere risultati apprezzabili; perché -aggiunge Lucia- raccontare la vita paesana è ciò che mi riesce meglio, ciò in cui mi sento più a mio agio, perchè è una materia che padroneggio, di cui conosco molte sfaccettature; inoltre -continua- rimanendo legata al territorio, rispondo concretamente alle richieste della gente, che sembra aver bisogno di un collante, dato dal ricordare insieme”.
Soffermandoci ancora sul suo teatro e sulla funzione che esso riveste all’interno di una comunità, Lucia sottolinea ancora una volta la valenza socializzante della sua esperienza e ribadisce che “è importante radunare la gente e farla lavorare assieme”; ricorda, a questo proposito, alcune rievocazioni storiche e Via Crucis, realizzate a Gruaro e a Pramaggiore, che hanno visto coinvolto un buon numero di abitanti dei due paesi e “quando questo accade, provo -dice Lucia- una grande soddisfazione che mi ricompensa di tante fatiche”.

A riprova poi di quanto la gente ami questo tipo di teatro legato al territorio e come a questo lei si senta legata, Lucia aggiunge che le arrivano richieste per i suoi spettacoli da tante località del Friuli e del Veneto, richieste che non può al momento soddisfare completamente per tutta una serie di problemi organizzativi, ma poterlo fare sarebbe per lei il “salto di qualità”.

Mi rimane ancora un’ultima curiosità e le chiedo come mai, nel rappresentare il passato abbia privilegiato la dimensione comica, ma lei mi risponde che non si tratta di un effetto cercato, ma che questa comicità nasce spontaneamente dalle situazioni che rappresenta: lei si limita a pensare ai personaggi e poi i dialoghi vengono di conseguenza.

Per concludere le chiedo di ricordare alcuni titoli delle sue pièces teatrali che riporto qui di seguito:

“Cà comandi mi”
“El figar stà a vardani”
“La vedova blancia”
“Li feri d’agost”
“Quatru fiis in età di morous”
“Giulieta e Romeo”
“La ciasa del nonu”
“Barbablù”.

e allora noto che Lucia si è cimentata anche con Shakespeare, di cui ha ridotto e tradotto in dialetto “Romeo e Giulietta” così anch’io, anima un po’ snob, sono soddisfatta e ricordo che ha fatto lo stesso anche Luigi Meneghello in “Trapianti”, quindi… brava, Lucia.

Sito ufficiale: (pagina facebook)

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Voci dal pianeta immigrazione – Storia di Silvana V., collaboratrice domestica

La storia di Silvana è una storia di immigrazione “normale”, meno “disperata” di quelle, ad effetto, che ci propongono i mezzi di informazione. Manca in essa l’aspetto drammatico della clandestinità, ma come ogni storia di emigrazione ha in sé il risvolto del distacco, di scelte a volte dolorose, di precarietà.

Silvana è argentina ed arriva in Italia con il marito, italo -argentino, nel 2004, spinta dalla grave crisi economica che ha colpito il suo paese, portandolo sull’orlo della bancarotta.
Silvana, in Argentina, lavorava in banca: trattava con i clienti e il suo posto di lavoro era un osservatorio privilegiato e sensibile di quanto stava accadendo attorno. Lei ricorda ancora come particolarmente difficile e doloroso quel periodo in cui doveva affrontare le persone allo sportello e riferire loro che le condizioni generali erano cambiate e che la banca non poteva aiutarli e venire incontro alle loro necessità e, davanti a quelle facce deluse a volte disperate, vedeva infrangersi quel rapporto di fiducia  e cordialità che si era andato instaurando nel corso degli anni, 11 per la precisione.

Queste difficoltà, unitamente al fatto che la banca riduceva il personale e raddoppiava la buonuscita per chi lasciava volontariamente e al fatto che il marito, italo-argentino con passaporto italiano, aveva saputo da alcuni parenti residenti in Italia che potevano esserci per loro possibilità d’impiego, la inducono ad emigrare.

Ottenuto un visto dal Consolato italiano ed un permesso di soggiorno, si trasferisce nel nostro paese. Le difficoltà non mancano: non conosce la lingua, la gente,  pur disponibile e cordiale, le si rivolge in dialetto, il che accresce il suo disorientamento, ha difficoltà a trovare un lavoro qualificato, fisso e adeguato al suo titolo di studio, ma si adatta e diventa collaboratrice domestica; anche il marito, nel frattempo ha trovato impiego come autista.

Il problema del lavoro è così risolto, rimane quello dell’inserimento nella nuova realtà sociale, che avviene con più lentezza e che è condizionato da tutta una serie di fattori di tipo lavorativo, culturale e di non condivisione di esperienze. Silvana non dispera che questo possa accadere al più presto anche se considera, quella italiana, una parentesi della sua vita, parentesi  tutto sommato positiva ma a termine, spera infatti di ritornare, appena le cose si saranno sistemate, in Argentina.

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Sandra Torresani

Nuvole disordinate

Nuvole disordinate
sono i pensieri
sillabe spezzate
il vento mette in fila
nuvole di canto
se sei il cielo
disteso nell’azzurro
completamente
bianco.

da “Con respiro lieve”

per Alda Merini

Crescono da sole
le figlie della notte
devo metterle al mondo

Ogni poeta lava
il suo pensiero, Mia Signora
e la mia acqua
è ancora così colorata….

da “Con respiro lieve”

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Di muri e viaggi

Avevo deciso, già da un po’ di tempo, che in questo spazio avrei parlato di muri, metaforici naturalmente, da abbattere per cercare di leggere ed interpretare, fuori da schematismi, in modo più aperto e libero tutto ciò che  ci accade attorno. A questo punto, il pensiero va immediatamente, per analogia, al muro di Berlino la cui caduta, nel 1989, ha inaugurato una stagione di speranze di rinnovamento che non sono però durate molto, perché dinanzi alla complessità della nuova realtà che si è andata delineando, non più divisibile nettamente in due, molti hanno trovato più comodo erigere nuove barriere, mentali questa volta, piuttosto che tentare di adottare nuovi metri di giudizio. Mentre riflettevo su questo aspetto e cercavo di elaborarlo in modo più compiuto, mi sono imbattuta in un’altra parola, altamente evocativa, viaggio, ed ho pensato che i due termini, apparentemente antitetici, potevano servire ottimamente a sviluppare un ragionamento, che poteva diventare programmatico per la nostra associazione e per tutte le altre consimili, che si definiscono culturali. Una volta abbattuti i muri, bisogna, ho pensato, intraprendere un viaggio, metaforico anche questo naturalmente, dentro di sé e fuori di sé, alla ricerca di motivazioni e significati autentici e nuovi che ci aiutino a comprendere una realtà che cambia velocissimamente e che pone problemi ed interrogativi mai incontrati prima. In questa prospettiva muro-viaggio non esistono più argomenti tabù, che non possono essere affrontati e discussi e, se non ci sono più comode e facili certezze, c’è una ricchezza di opinioni e punti di vista stimolanti e vitali.
Certamente questo, che ho delineato, è un percorso faticoso ma necessario, da tener presente se si vuole uscire dall’impasse in cui spesso ci si imbatte nell’analizzare i fenomeni contradditori e complessi di questa nostra epoca. Per concludere, questa nostra riflessione vuole diventare, in questo momento dell’anno aperto ai programmi e ai propositi, un augurio e un pungolo per tutti, noi compresi.

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Arianna Giuseppin

Ho esitato a lungo su come articolare il mio incontro – intervista con Arianna: da un lato avrei voluto cominciare da lontano, quando l’ho conosciuta sui banchi di scuola, ed aveva già la sua bella personalità, ma poi ho pensato che era più giusto e consono al nostro scopo concentrarsi sul presente, sull’Arianna restauratrice entusiasta e competente che afferma con convinzione che questa è la sua prima passione (anche se ricorda che ama anche dipingere e creare ceramiche), quella per cui ha dato e dà “corpo e anima, perchè quando le cose piacciono, non ci sono mezze misure….”.

Il suo interesse per questa branca dell’arte è iniziata già sui banchi del Liceo artistico, dove aveva scelto questo indirizzo, e si è poi consolidato, finiti gli studi, con la frequenza di un corso specialistico, a numero chiuso, organizzato dal FAI. Dopo questa formazione è entrata a far parte della DIEMMECI, società specializzata nel restauro, (da quello degli intonaci antichi a quello lapideo, a quello ligneo, a quello degli affreschi ecc.) con la quale ha preso parte a parecchi cantieri, interessandosi sempre prevalentemente di affreschi, ricoprendo anche ruoli di responsabilità, come ad Oderzo, A Cà Contarini, dove é stata capocantiere, o a Portogruaro (restauro facciata di Casa Gaiatto), gestito con una sua collega, esperienza quest’ultima che ricorda con particolare piacere. “Alla mia formazione -dice Arianna- ha senz’altro contribuito l’Umbria, terra d’origine di mia madre, e che io considero la mia patria artistica; qui ho trascorso, fin da piccola, lunghi periodi e qui, dove tutto ti parla d’arte, torno sempre quando ho bisogno di ricaricarmi. A Deruta poi ho seguito dei corsi di ceramica, dove ho appreso le tecniche antiche, ma la mia produzione si discosta da quella tradizionale, ha un taglio moderno e punta soprattutto sulla ricerca delle forme”.

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Lettera aperta al Sindaco di Gruaro (o della concessione degli spazi pubblici)

Egregio signor Sindaco,

siamo l’Associazione culturale “La Ruota” di Gruaro, che lei già conosce, e con la presente vogliamo segnalare una situazione incresciosa, che si è verificata più volte, quando ci siamo rivolti a lei, o all’assessore competente, per richiedere uno spazio, nella fattispecie la sala consiliare o villa Ronzani, per le nostre manifestazioni più significative. Forse abbiamo sbagliato nel redigere la domanda: sarebbe stato più giusto chiamare la prima, sala polifunzionale, perchè così è denominata nella targa apposta all’ingresso; forse se così avessimo fatto, ribadendo questa natura, sarebbe stato più facile averla?

A volte, a giustificazione della non concessione, ci è stato detto che la suddetta sala non può essere data in uso ad una associazione più di una volta all’anno, ma questa non ci sembra una risposta convincente, perchè, senza togliere niente a nessuno e riconoscendo la valenza di ogni forma di associazionismo, le finalità sono diverse e se una associazione culturale come la nostra, si presenta al pubblico ogni 365 giorni, può chiudere. A sostegno di quanto detto e per non correre il rischio di apparire dei millantatori, vogliamo ricordare qui di seguito, sinteticamente, le nostre attività, quelle messe in atto in questo secondo anno di vita dell’associazione, che sono state molteplici e che sono andate dagli incontri con esperti su temi di largo interesse, come alimentazione, questione medio-orientale, riforme istituzionali; alla presentazione, con la partecipazione degli autori, di libri; alla lettura scenica di testi letterari; a laboratori di scrittura creativa e di decodifica del linguaggio fotografico.

Per quanto riguarda Villa Ronzani poi, non ci è mai stata data una spiegazione della risposta negativa e allora viene spontaneo porsi delle domande:

  • Il veto è automaticamente esteso all’una e all’altra sede?
  • Non é staticamente sicura?
  • E’ stata già concessa in esclusiva ad altre associazioni?

Tanti interrogativi…e le risposte? Riconosciamo che ci è stata data più volte la possibilità di usufruire della Sala della associazioni, ma essa, vista la sua ridotta capienza, non è sempre adatta allo scopo che ci prefiggiamo con le nostre iniziative: raggiungere il maggior numero possibile di persone.

Cercando di tirare le fila, signor Sindaco, ricordato che, quelle di cui si parla, sono strutture pubbliche, destinate per loro natura ad accoglier i cittadini, nella duplice veste di spettatori e di protagonisti, e che all’amministrazione compete il ruolo di custodire il bene in oggetto e di regolamentarne l’accesso, non chiediamo trattamenti di favore, privilegi, ma semplicemente la certezza della regola; secondo noi, sarebbe tutto più facile se ci fosse un regolamento scritto, con norme fissate e valide per tutti (perchè siamo convinti, come Socrate, che sia preferibile una legge anche imperfetta a nessuna legge) ed è questo, in definitiva, che le chiediamo di fare: redigere ed attivare un regolamento.

Inoltre, signor Sindaco, ci piacerebbe che le nostre richieste avessero una risposta scritta, perchè così non si corre il rischio di equivocare. Concludendo, le facciamo una proposta: perchè non incominciare subito, rispondendo a queste nostre domande?

In attesa che ciò avvenga, le porgiamo i nostri saluti.

Associazione culturale “La Ruota”

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Mirco Stefanon

Le Baruffe Chiozzotte

Prima di salire
Sull’altare
Le dissi:
Sei così bella
Così carina
Che ti mangerei viva

Oggi
Mi pento
Di non averlo fatto

Quando lei
mi lasciò
Non la buttai sul patetico
La buttai
Dalla finestra

da “La posta in gioco” – Nuova Dimensione

Un Tecnico

Non avrei mai immaginato
Di ritrovarmi da solo con lei
Al buio
E nel silenzio più assoluto
A rubarci la stessa aria.
All’improvviso
Lei mi getta le braccia al collo
E mi sussurra piano
Di restare così
Per l’eternità.
Stavo per risponderle di sì
Quando mi salvò
un tecnico
Riparando il guasto
All’ascensore.

da “Chiuso per restauro” – Biblioteca Cominiana

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