Informazioni su: Gigliola Bittolo Bon

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Articoli di Gigliola Bittolo Bon

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ottobre 2005

Abbiamo esordito in modo accattivante e giocoso, per tentare di fugare il pregiudizio di pedanteria che accompagna spesso la cultura, con una serata di poesia, “Pensieri DIvini”, curata dalla prof.ssa Mariella Collovini e animata dagli attori della compagni “Altre voci “, che ha voluto essere un brindisi metaforico, di buon augurio per l’attività della neo-nata associazione.

Abbiamo poi proseguito con un seminario dal titolo “Comunicare in modo costruttivo”, tenuto dal dott. Ezio Ciancibello.

Non abbiamo trascurato neanche il campo tecnico scientifico, ecco allora la serata sull’energia sul tema “Utilizzo dell’energia solare in edilizia civile”, che ha avuto come relatori il p.i. Vittorio Bearzi e il dott. Paolo Ziliotto. C’è stato in seguito un approccio alla medicina, con l’incontro su “Medicina e sport”, animato da una équipe di medici.

Abbiamo iniziato poi la collaborazione, che continua e che ci vede presenti ad “Eticamente”, con la “Pro loco” di Teglio Veneto in occasione dell’incontro del 25-02-05 con la Banca etica, ed abbiamo preparato per l’occasione, un numero speciale del nostro bollettino, tutto imperniato sull’economia equo solidale.

Siamo tornati poi a proporre la poesia, coniugando dialetto e messaggio poetico attingendo al ricco patrimonio letterario della nostra zona, con una serata, curata dalla prof.ssa Mariella Collovini, dal titolo “Le voci della terra, le parole dell’uomo- amore e nostalgia nella lingua dei poeti tra Isonzo e Piave”.

Abbiamo affrontato anche il problema della gestione e della salvaguardia dell’ambiente, calandolo concretamente nel nostro territorio, organizzando un incontro, tenuto dal socio Claude Andreini, in collaborazione con l’Associazione “Un parco per Boldara”, dedicato al progetto “Un percorso naturalistico sulla riva sinistra del Lemene a Boldara di Gruaro”, a cui ha fatto seguito una escursione conoscitiva in loco.

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Ce l’esi poesiis?

Ce scrivitu nona ?
Scrif poesiis
E ce l’esi poesiis?
Zin, zin, sot la lobia
a vede li sisilis ch’i
scrif poesiis…
(Rosanna Paroni Bertoia)

Una serata dedicata alla poesia e, in particolare, a quella dialettale ha bisogno di alcune precisazioni. Essa, innanzitutto non è fine a se stessa, ma nasce nell’ambito di quel percorso di valorizzazione del territorio che “La Ruota” si è proposta di realizzare anche se, apparentemente, ne rovescia la prospettiva. Infatti una scelta di questo genere può apparire, ad una analisi affrettata, azzardata, elitaria, difficile, punto d’arrivo non di partenza, ma noi siamo convinti che il linguaggio poetico, con la sua libertà, allusività e capacità di suscitare, in ognuno di noi, echi, sia pur diversi, può aiutarci a stabilire un sentire insieme, una sintonia,da cui prendere avvio per il nostro viaggio, che non vuole essere solo  emozionale, ma percorso di conoscenza e di consapevolezza. Non è poi estranea a questa nostra iniziativa, la riflessione sulla centralità che il fenomeno lingua riveste all’interno di una comunità, anche se, realisticamente, non ci sono in noi intenti di restaurazione linguistica, o di un anacronistico ritorno al passato, o di pseudo rivendicazioni culturali, in quanto pensiamo che la lingua sia qualcosa di vivo, dinamico e funzionale, che cambia nel tempo e si adegua alle necessità dei parlanti; siamo però convinti anche che, perché ognuno di noi viva completamente il suo presente, debba conoscere anche il suo passato, la sua storia, che si intreccia con quella degli altri e diventa quindi comunicazione, linguaggio.
Da qui è nato il repertorio di testi poetici e autori dialettali, curati dalla prof.ssa Mariella Collovini, dal titolo “Le voci della terra, le parole dell’uomo – amore e nostalgia nella lingua dei poeti tra Isonzo e Piave” che si strutturerà come lettura scenica, fatta da tre attori, Filippo Facca, Angela Perissinotto, Daniela Turchetto, accompagnata dalle musiche eseguite dal maestro Gianni Fassetta.
Il nostro sarà quindi un itinerario che avrà tra le sue tappe “amore e nostalgia”, ma come meta la presa d’atto, assieme al desiderio di condividerla  con altri, dell’esistenza di un patrimonio poetico – letterario sconosciuto al gran pubblico e che affronta, usando il dialetto veneto e friulano o alcune sue varietà, tematiche universali (il dolore, la malinconia, l’allegria, l’amore, la nostalgia, il rimpianto…) che superano i limiti territoriali imposti dallo strumento linguistico usato.
Numerosi e stilisticamente diversi tra loro sono anche gli autori utilizzati (per citarne solo alcuni): si va da Andrea Zanzotto a Pier Paolo Pasolini, a Giacomo Noventa, a Biagio Marin, a Ernesto Calzavara, a Giacomo Villalta, a Novella Cantarutti a Romano Pascutto; ma non sono stati trascurati neanche i poeti locali, come Giovan Battista Donato, poeta del’500, nato a Venezia e vissuto a Gruaro, Giacomo Vit, Lionello Fioretti ed altri ancora che rivelano talora, nel loro consapevole bilinguismo (lingua, dialetto) la complessità delle relazioni esistenti tra strumento poetico e materia trattata.
La serata è dedicata al poeta Lionello Fioretti, Natale per noi, “appartatosi”, come dicono, con una struggente e felice immagine i suoi amici del Menocchio, quasi un anno fa, lasciandoci soli in compagnia della sua poesia “…fresca eppure permeata di cultura, trasparente per immediati sapori, abitata da una robusta densità meditativa…” (Gianfranco Scialino) e, soprattutto, mai “complice”.

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Lionello Fioretti

Di sé ha scritto:

“In un giorno di vento, Lionello Fioretti nacque a Bagnarola,
benedicendo la primavera del ’45.
Per rendere lieti i genitori dimorò nelle galere della scuola italiana,
laureandosi in lettere a Padova,
dove capì suo padre che esclamava ”mus padovan”,
quando da piccolo impuntava i piedi.
Non volendo trasmettere ignoranza a ignoranti,
evitò a muso duro e berretta rincalcata, la carriera scolastica.
Non potendo vivere di pittura (ebbe un maestro misericordioso
e pieno di significativi silenzi: Tramontin),
diventò medico di dipinti antichi,
condannandosi a un eterno precariato:
non conosceva l’uso della “sportula”
e in più diceva quello che pensava: insomma un discreto imbecille.
Ebbe (chi è il maestro, chi è l’allievo?) esperienza di insegnamento
Di tecniche pittoriche, maschere e altro, in corsi liberi con terze età,
portatori di handicap e fuori di testa.
Particolarmente con questi ultimi si trovò bene, fu accolto con
Larghezza, si riconobbe e fu riconosciuto,
proprio come Pinocchio, quando nel teatrino di Mangiafuoco
fu festeggiato dalle altre marionette.
Ahimè dipinse, scrisse, ma cucinò per sé e per gli amici.
Ai fornelli cuoco raffinato (anche gli invidiosi davano il placet)
Capì di aver sbagliato carriera e che nel calderone universale,
instancabili collaboratori,
veniamo tutti cotti a puntino, anche i furbi. Amen”.

(da I’sielc’ peravali’)

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Non solo profitti

L’economia solidale è un fenomeno complesso, che investe non solo il modo di produrre, ma anche di consumare e di impostare relazioni.
Parlarne significa accennare, almeno per stabilire un confronto, anche all’economia tradizionale, neoliberista, che ha nella legge di mercato e nel profitto le sue regole fondamentali.
In questa teoria economica, semplificando, altre considerazioni, come i riflessi sociali o gli impatti ambientali della faccenda, sono considerati solo fastidi da scacciare come un pensiero cattivo o da valutare proprio quando non se ne può fare a meno per evitare danni peggiori.
Tuttavia questi problemi esistono, si manifestano, condizionano il vivere sociale e allora, se non si può eliminare del tutto la legge del profitto e del mercato perché sarebbe controproducente e dannoso anche per la collettività, come afferma Amartya Sen, economista, premio Nobel nel 1998, ci si chiede se non se ne possano limitare gli effetti, affiancando a quello tradizionale, un modello di creazione e di acquisizione di beni e servizi che preveda anche lo sviluppo delle persone, che ne rispetti la dignità, che abbia di mira uno sviluppo sostenibile, che non distrugga l’ambiente, che abbia attenzione ai Paesi poveri.
La risposta è affermativa ed è l’economia solidale, o economia civile, o di comunione che può, sempre secondo l’opinione di Amartya Sen, diventare complementare alla prima.
Questa teoria economica non è un’utopia come dimostrano efficacemente innumerevoli iniziative messe in atto, ispirate alle sue idee base che si possono così riassumere:

  • l’economia della solidarietà non è carità, ma un modo serio e, in molti casi, produttivo e creativo di intendere l’intraprendenza economica;
  • essa coniuga, accanto all’efficacia ed all’efficienza, il rispetto del giusto salario del lavoratore, un coinvolgimento diretto di questi nei processi decisionali della struttura, il rispetto delle risorse ambientali, l’attenzione, anche umana, al cliente-utente, la democrazia interna nelle aziende;
  • si fonda inoltre sul criterio della reciprocità  per strutturare rapporti interni ed esterni.

Appare chiaro, da quanto detto, che aderire a questo modello economico implica anche un modo diverso di concepire il proprio modo di essere consumatori. Significa cioè pensare, come diceva un grande capo indiano, che la terra non ci è stata data in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli, e che a loro dovremo rendere conto delle condizioni nelle quali gliela restituiamo.
Bisogna, in una parola, ricalibrare le scelte del consumo quotidiano, modificarne la struttura secondo giustizia, chiedendosi perciò da dove viene un certo prodotto, quali materie prime sono state impiegate, come sono state pagate, chi ci ha lavorato, che conseguenze ha subito l’ambiente, etc…
Un altro aspetto interessante di questa nuova progettualità economico-finanziaria è il fiorire di tante esperienze collettive radicate sul territorio, che offrono diverse opportunità e strumenti  concreti di sbocco.
Ecco nascere, a partire dagli anni ’80, Cooperative sociali, Mutue di autogestione, Banca popolare etica, Bilanci di giustizia, Fondazioni  di prevenzione dell’usura, Gruppi di acquisto solidale, Conti etici, etc..
Alla base di tutte queste iniziative c’è lo strumento innovativo, direi anzi rivoluzionario del microcredito che, nato nel Terzo Mondo ad opera dell’economista e banchiere Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank, ha trovato applicazione e forte presa anche nell’Occidente e che si basa su un concetto molto semplice: anche un povero, senza garanzie reali o patrimoniali, quando ha una buona idea, deve poter accedere al credito per provare a realizzarla. Aumenta così la dinamicità economica, sociale ed anche politica.
Inoltre, come osserva ancora Amartya Sen, “il microcredito è un movimento creativo: è contro la tradizionale economia di mercato che non presta denaro senza garanzie, ma non è contro l’utilizzo del mercato”.
Progetto economico quindi, non carità. Le prime a servirsi dello strumento del microcredito in Italia sono state le Mag (Mutue di autogestione), prima fra tutte quella di Verona nel 1978, che rifacendosi ad esperienze ottocentesche di autofinanziamento messo in atto nelle classi povere, si misero a raccogliere denaro per usi alternativi, per sostenere imprese autogestite no-profit, che tentavano di conciliare esigenze produttive con quelle sociali ed ambientali.
Le Mag supportavano l’azione di prestito con interventi di promozione, consulenza, formazione, accompagnamento.
Il successo dell’iniziativa, il suo dilatarsi hanno poi convinto le Mag che serviva un grosso soggetto finanziatore, forte, significativo ed autorevole, ed è nata così, con il concorso di altre forze, nel 1995, la Banca popolare etica, “una splendida fionda di Davide” come l’ha definita padre Alex Zanotelli, una banca che finanzia i soggetti del terzo settore (MAG, Cooperative sociali, ONG, Gruppi di volontariato, etc.) che hanno un progetto serio di sviluppo di solidarietà anche in termini imprenditoriali e non solo umani e sociali. Ma questo strumento dell’economia solidale e le sue peculiarità vi saranno ampiamente illustrati dalle relazioni di questa sera, alle quali io passo il testimone.

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“Comunicare in modo costruttivo”, dr. Ezio Ciancibello

Venerdì 3 – 10 – 17 Dicembre 2004
Sala delle associazioni, Borgo Medievale, Gruaro

Il corso ha come obiettivo quello di fornire una conoscenza di base, e le relative tecniche, sulla comunicazione, in modo da acquisire una buona capacità di interagire efficacemente con le persone.

Il percorso formativo si articola su tre incontri della durata di due ore ciascuno.
Nel 1° e 2° incontro si cercherà di individuare e sviluppare le capacità di base, indispensabili per favorire e fissare un rapporto costruttivo con l’altro.
Nel 3° incontro si cercherà di individuare e sviluppare le abilità necessarie per rispondere in modo efficace.

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Comunicare per capire: contributo per un dibattito

Beslan
“Madri impazzite guardano
vecchi recitare orazioni
su libri rigonfi di pianto”

T.B.

Come parlarne ai bambini.

La breve ma intensa poesia, oltre che riproporre l’assurda atrocità di quanto accaduto in Ossezia, ci aiuta a focalizzare, nell’ambito della galassia comunicazione, un aspetto delicato e problematico: se e come parlare con i bambini di tragedie ed atrocità che accadono attorno a loro.
Ho trovato particolarmente stimolante, su questo argomento, un articolo di Fulvio Scaparro, pubblicato su “Il Messaggero di Sant’Antonio” di Novembre.
Scaparro, sollecitato, come lui dice, da numerose lettere e richieste di chiarimento e consiglio da parte di genitori, insegnanti, lettori, adulti in genere, ha elaborato, riprendendo una riflessione maturata sulle pagine del “Corriere della Sera” all’indomani dell’ 11 settembre, una specie di vademecum, che può costituire una valida base per un confronto ed un dibattito. Di fronte a tragedie, o a fatti cruenti in genere, che hanno per protagonisti i bambini, egli sottolinea il ruolo di mediatore che è necessario assuma l’adulto, il quale deve:

  1. Controllare la propria emotività, la propria angoscia.
  2. Non forzare i tempi e saper scegliere il momento più opportuno per intervenire, in quanto sono in ballo sentimenti ed emozioni.
  3. Non anticipare quindi le domande dei bambini, ma essere sempre disponibile a rispondere ai loro interrogativi.
  4. Non evitare  però di affrontare il problema perché il non detto, l’appena percepito, l’intravisto in TV, è peggio del sapere ciò che è accaduto realmente. La verità, per quanto dura, è comunque una sorta di certezza che non riduce la paura, ma tiene sotto controllo l’angoscia.
  5. Lasciare spazio alla speranza e al cambiamento.
  6. Aiutare a capire cosa succede, quindi via libera a domande, ad interpretazioni, che permettano ai bambini di dare spazio alle loro emozioni.
  7. Non impedire loro di esprimersi, anche se non siamo d’accordo con le loro interpretazioni, in questo caso diciamo il nostro parere con pacatezza senza sovrapporre d’autorità le nostre opinioni.
  8. Cercare quindi insieme risposte convincenti.

Solo così, conclude Scaparro, “l’emergenza può rinforzare legami di solidarietà e non essere un’occasione di divisione e di litigi”.

Riduzione a cura di Gigliola Bittolo Bon