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“Dal post-impressionismo alle avanguardie”, tre serate sull’arte contemporanea, a cura di Gioia Artico

Siete tutti invitati al seminario in tre serate dal titolo: “Dal post-impressionismo alle avanguardie. Viaggio nell’arte contemporanea”, condotto e curato da Gioia Artico.

In tre incontri cercheremo di far comprendere, attraverso l’analisi delle opere di vari artisti, il clima culturale in cui nascono le avanguardie.

Verrano analizzate le caratteristiche dei movimenti per percepire le varie concezioni dell’arte di Cubismo, Metafisica, Surrealismo, Futurismo e tanti altri, ma verrà anche fatto notare come tutti questi movimenti abbiano in comune la volontà di cambiamento che porta ad una visione dell’arte completamente nuova.

Gli incontri si terranno a cadenza settimanale: venerdì 20 aprile 2012 (), venerdì 27 aprile 2012 () e venerdì 4 maggio 2012 (), alle ore 20:45, presso la Sala delle Associazioni, in Borgo del Castello Medievale, a Gruaro.

L’ingresso è libero.

Alleghiamo la locandina e Vi aspettiamo numerosi!

  'Dal post-impressionismo alle avanguardie', a cura di Gioia Artico (466,4 KiB, 33 download)
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Cena sociale de La Ruota, venerdì 16 marzo 2012

Salve a tutti.

Informiamo quanto interessati che venerdì 16 marzo 2012 alle ore 20:00 si terrà l’annuale cena sociale della nostra associazione, presso l’ormai abituale agriturismo “Ca’ dei Molini” di Boldara.

Coloro che volessero partecipare, sostenerci o tesserarsi, o semplicemente incontrarci, possono dare la propria adesione, possibilmente entro il 10 marzo 2012, con le seguenti modalità:

    • commentare di seguito il presente articolo;
    • inviare un’e-mail a mavi2219[at]libero.it o a joyofliving[at]libero.it;
    • telefonare a Luisella al 368 3599006 o a Gioia al 347 8832885.

Il prezzo è di € 25,00.

Vi attendiamo numerosi!

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Visita guidata alla “Ca’ d’Oro” ed al Ghetto ebraico di Venezia – RINVIATA al 4 marzo!

Rettifica urgente del 31/01/2012 di jetto:

Come già aggiornato sulla nostra pagina facebook, avvisiamo con urgenza quanti interessati, che la visita guidata alla Ca’ d’Oro ed al Ghetto ebraico di Venezia, originariamente prevista per domenica 12 febbraio 2012, è stata rinviata a domenica 4 marzo 2012.

Il rinvio è dovuto alla concomitanza con il Carnevale di Venezia (volo della Colombina) e conseguenti difficoltà logistiche.

Attendiamo conferma dell’adesione già data (o da darsi) entro e non oltre il 16 febbraio 2012, inviando un’e-mail a mavi2219[at]libero.it o a joyofliving[at]libero.it o telefonando a Luisella al 368 3599006 o a Gioia al 347 8832885.


Come già pubblicato sulla nostra pagina facebook, segnalo a tutti i potenziali interessati che stiamo organizzando per domenica 12 febbraio 2012 una visita guidata alla Ca’ d’Oro ed al Ghetto ebraico di Venezia.

Dal sito della Ca’ d’Oro:

La Ca’ d’Oro, antica dimora patrizia del Quattrocento, raccoglie la collezione d’arte donata allo Stato dal Barone Giorgio Franchetti che acquistò l’edificio nel 1894.

In questa casa di stile gotico veneziano, attraverso suggestivi scorci architettonici, è possibile ammirare dipinti di scuola veneta tra i quali il celebre San Sebastiano di Andrea Mantegna, opere di scuola toscana e fiamminga, splendidi bronzetti e sculture rinascimentali.

Dal sito del Ghetto ebraico:

A seguito delle leggi emanate dal Governo della Serenissima Repubblica, il 29 marzo 1516 nasceva a Venezia il primo Ghetto d’Europa, una zona cioè dove gli Ebrei dovevano abitare e dalla quale non potevano uscire dal tramonto all’alba. Quest’area era chiusa da cancelli controllati da guardie e tutt’oggi si possono vedere i segni dei cardini di quei portoni. In quel tempo gli Ebrei avevano il permesso di esercitare solo alcune professioni e quindi erano medici, in quanto erano i più preparati e abili essendo in grado di studiare testi scritti in arabo, prestatori di denaro, perchè ai cattolici era vietato dalla loro religione, mercanti e “strazzarioli”, cioè venditori di stracci. Il Ghetto continuò poi ad esistere come tale per oltre due secoli e mezzo, fino a quando cioè nel 1797 Napoleone ed i francesi conquistarono Venezia e finalmente lo aprirono eliminando definitivamente ogni cancello: gli Ebrei furono così liberi di andare a vivere in altre zone della città.

Il prezzo è veramente contenuto (comprende viaggio in treno e visite guidate, partenza ore 9:00 dalla stazione ferroviaria di Portogruaro-Caorle; pranzo autonomo).

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Visita guidata alla mostra “Gli anni folli”, Ferrara

N.B. update del 4 dicembre 2011: la comitiva è al completo, le iscrizioni sono terminate.

Come già pubblicato sulla nostra pagina facebook, segnalo a tutti i potenziali interessati che stiamo organizzando per domenica 18 dicembre 2011 una visita guidata alla mostra “Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalì, 1918-1933”, al Palazzo dei Diamanti, Ferrara.

Dal sito della mostra:

All’indomani della Grande Guerra e fino primi anni Trenta, Parigi è in pieno fermento: la sua atmosfera cosmopolita, mondana e liberale, l’esplosione del jazz, i teatri, i caffè e le gallerie attraggono da ogni angolo d’Europa e d’America le più grandi personalità dell’arte, della cultura, della musica e dello spettacolo, in un clima di rinascita che fa della città il laboratorio internazionale della creatività. Monet, Matisse, Mondrian, Picasso, Braque, Modigliani, Chagall, Duchamp, De Chirico, Miró, Magritte e Dalí, sono i protagonisti di una grande mostra di Ferrara Arte che, racconta per la prima volta in Italia quel periodo aureo della ville lumière.

Ci sono ancora pochi posti disponibili ed il prezzo è veramente contenuto (comprende autobus e visita guidata alla mostra, partenza ore 8:00 da Piazza San Giusto a Gruaro; pranzo autonomo), quindi se siete interessati AFFRETTATEVI !!

Per ulteriori informazioni o per aderire, potete commentare di seguito, contattarci, aderire su facebook, inviare un’e-mail a joyofliving[at]libero.it o telefonare a Luisella al 368 3599006.

Il sito della mostra:

http://www.palazzodiamanti.it/

  Visita guidata alla mostra 'Gli anni folli', Ferrara (470,9 KiB, 42 download)
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Melozzo da Forlì. Il maestro dell’arte del sotto in su

Si è aperta il 29 gennaio a Forli, ai Musei domenicani, una mostra, che si protrarrà fino al 12 giugno 2011, dedicata a Melozzo da Forlì, che ritengo valga la pena essere visitata, per la sua ricchezza ed articolazione.
Con questa esposizione la città intende celebrare il suo artista più famoso, raccogliendo, per la prima volta, gran parte delle sue opere mobili.

Già in passato egli è stato oggetto di importanti manifestazioni, ma non era mai stata fatta una riflessione sul ruolo centrale da lui svolto nella vicenda del Rinascimento italiano, e questo è certamente uno dei principali obiettivi che si prefigge questa mostra; ma andiamo con ordine e chiediamoci  chi fosse questo pittore: Melozzo di Guliano degli Ambrosi, detto Melozzo da Forlì (Forlì, 1438-1494) è stato il massimo esponente della scuola forlivese di pittura nel XV secolo. Fu inoltre architetto.

Egli si era ben presto allontanato dalla sua città natale per approdare ai centri più vitali del Rinascimento, nei quali attingere ispirazione, quali Padova, Urbino, Roma, dove sarebbe diventato l’artista di punta negli anni del pontificati di Pio II e di Sisto IV, fino a meritarsi il titolo di Pictor papalis.
La conoscenza di Mantegna e soprattutto di Piero della Francesca lo aveva portato  ad aderire alle nuove certezze della prospettiva matematica, salvo poi intraprendere, a partire dall’affresco nell’abside della chiesa dei Santi Apostoli a Roma, una personale ricerca sulla bellezza  della figura umana. Unì l’uso illusionistico della prospettiva, tipico di Andrea Mantegna, a figure monumentali, rese con colori limpidi, vicine ai modi di Piero della Francesca, umanizzandone l’astrazione, e alla bellezza ideale di Raffaello, cercando una lingua comune tra le scuole artistiche italiane. Fu anche un innovatore: fu infatti il primo ad usare lo scorcio dal basso, “l’arte del sotto in su”, la più difficile. Osservando le sue opere ci si rende conto come Melozzo sia un pittore che riesce a racchiudere in esse una molteplicità di aspetti: sono piene di colore e di figure dal volto roseo, quasi etereo, e dallo sguardo molto espressivo,(c’è insomma una grande attenzione all’aspetto umano dei soggetti rappresentati); ma è curato anche l’aspetto architettonico, la prospettiva è infatti precisa e rigorosa. La luce poi è chiara, le ombre schiarite e i volumi delle architetture solenni. Si deve notare anche la bellezza delle decorazioni e dei panneggi delle vesti.

Tornando alla mostra, per far comprendere meglio il contesto in cui si è sviluppata l’attività di questo artista, essa colloca, accanto alle opere di Melozzo, alcuni capolavori degli artisti con cui il nostro venne a contatto nel corso della sua formazione, da Andrea Mantegna a Piero della Francesca, a Bramante.
Viene poi presentata ed analizzata la  sua  attività a Roma, dapprima ai Santi Apostoli, e poi nella Biblioteca Vaticana, mettendola a confronto diretto con le opere degli artisti che conobbe nella città dei papi, come ad es. il Beato Angelico, da cui prende la luce tersa.

A Roma Melozzo si trovò impegnato nella riproduzione di immagini sacre, il cui studio si riflette nel Salvatore della Galleria nazionale di Urbino e nel San Marco dell’omonima chiesa romana.
Nello stesso tempo, forte dell’appoggio della famiglia Riario, seppe dar voce alle ambizioni culturali della corte pontificia, che richiamava in quegli anni artisti da tutta Italia, tra i quali Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino, Alessandro Botticelli, di cui sono presentate in mostra importanti testimonianze. Viene così sicuramente documentato, anche attraverso arredi, paramenti liturgici e codici miniati, il lusso dell’arte papale.

Il sito della mostra: http://www.mostramelozzo.it/

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Cima da Conegliano: un pittore da riscoprire attraverso i suoi paesaggi e i suoi colori

La mostra: “CIMA DA CONEGLIANO: PITTORE DI PAESAGGIO” si è tenuta nella cittadina veneta a palazzo Sarcinelli dal 26 febbraio al 2 giugno 2010.
Pittore di paesaggio perché possiamo vedere, osservando i suoi dipinti, come in essi ci siano delle copie fedeli del territorio natale così come  appariva al tempo di Cima tanto che possiamo riconoscerlo e confrontarlo con quello odierno.

Questa mostra è stata molto importante perché è stata la prima su Cima nella sua città d’origine ed è stata la seconda in assoluto sul pittore, infatti l’altra è stata ospitata nel 1962 nel Palazzo dei Trecento  a Treviso.
È stata anche la prima volta che le opere esposte sono state riunite tutte insieme, perché alcune di queste facevano parte di collezioni private e altre uscivano per la prima volta dal museo dove erano conservate.

Ma chi era Cima da Conegliano? Il suo vero nome era Giovanni Battista da Conegliano, detto Cima perché i suoi genitori erano cimatori, cioè lavoravano nella preparazione dei tessuti in particolare nella finitura dei panni di lana.
Solo scarsi documenti permettono di ricostruirne la vita.
Egli è nato dunque a Conegliano e la sua casa esiste tuttora dietro il duomo.
La data di nascita (1459 o 1460) non è accertata. Si dice sia stato allievo di Giovanni Bellini, Bartolomeo Montagna o Alvise Vivarini.
Cima aveva una bottega a Venezia, abitava a palazzo Loredan, in campo San Luca; pagava un affitto caro, ma lui se lo poteva permettere perché era ricco, infatti possedeva terreni proprio a Conegliano.
Il fatto che fosse ricco gli consentiva di usare nei suoi dipinti anche materiali preziosi come ad esempio il blu oltremare, che veniva fatto con i lapislazzuli.
Cima è sempre stato molto legato al luogo dov’era nato, si dice infatti che rappresentasse Conegliano nei suoi dipinti perché ne aveva nostalgia; inoltre si sa che, pur vivendo a Venezia, tornava ogni estate a Conegliano. Infatti qui  muore nel 1516/7.
La mostra si pone l’obiettivo di ridare a Cima da Conegliano la giusta collocazione nella pittura veneziana, infatti egli è sempre stato poco considerato, forse anche per la sua vita non segnata da episodi significativi come può essere stata quella di un Giorgione, il genio morto giovane.
Spesso è stato ritenuto rustico, un artista poco capace di inventare cose nuove ma solo di copiare ciò che facevano gli altri pittori del periodo. Questo non è vero, basti pensare che se Bellini era impegnato a Palazzo Ducale e quindi era “il pittore del doge”, a Venezia in quel periodo ci si rivolgeva a Cima per commissionare le pale d’altare.
Esaminiamo ora in dettaglio com’è organizzata la mostra: le opere si trovano al piano nobile di palazzo Sarcinelli sono 38, distribuite in 7 sale; l’esposizione segue un ordine cronologico. Tutte le sale sono organizzate in modo da far risaltare l’opera principale di quel periodo. In successione troviamo il polittico di Olera, ancora legato alla tradizione tardo gotica, la pala di Vicenza, dove Cima inizia ad ambientare in esterno le sue opere, la pala di Parma, in cui è rappresentata l’incredulità di San Tommaso, il trittico di Navolè, Raffaele e Tobiolo.
Interessante era la tecnica che egli usava.
Egli dipingeva soprattutto su tavola, che approntava stendendo due strati: uno di preparazione, fatto di gesso e colla, e uno chiamato imprimitura che serviva a rendere più liscia e omogenea la superficie dove poi Cima andava a disegnare. Seguendo poi la traccia del disegno veniva steso il colore. Dato non per strati ma per velature molto sottili che facevano intravedere ciò che stava sotto. Spesso poi nell’ultima fase Cima interveniva con i polpastrelli per ottenere particolari sfumature.
Una tecnica sopraffina quindi la sua, che trova espressione non solo nelle figure ma anche nei cieli e nel paesaggio “…declinato poeticamente in valli e rocche definite dall’intensità di albe e tramonti, che saldano uomini e natura in indissolubile unità” (Giovanni C. Villa).

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L’età di Courbet e Monet

A Villa Manin si sta svolgendo una mostra, a mio parere, molto interessante.
Essa ha un preciso obiettivo: mettere a confronto dipinti francesi con quelli di vari paesi dell’Europa, soprattutto dell’Est, evidenziandone legami ed influenze.
Per sviluppare meglio quest’intento la mostra non è stata divisa per nazionalità degli artisti ma per tematiche: 1) boschi e campagne, 2) città e villaggi, 3) acque, 4) nevi, 5) ritratti e figure.
Realismo e Naturalismo prima e l’Impressionismo poi, sono il punto di partenza dell’esposizione, che sottolinea gli spunti che questi movimenti artistici portarono nelle grandi capitali europee come Amsterdam, Berlino, Bruxelles, Monaco, Zurigo, Vienna, Mosca, San Pietroburgo, Varsavia, Praga, Budapest e Bucarest. Queste suggestioni arrivavano in Europa centrale e orientale attraverso viaggi di pittori a Parigi, mostre che portavano nelle città le opere degli artisti francesi, o quadri che venivano realizzati come testimonianza da chi a Parigi c’era stato e voleva trasmettere ciò che aveva visto.
Questo però non significa assolutamente che i pittori francesi siano stati  semplicemente copiati, ci fu invece un vero e proprio dialogo che permise anche alle particolari e affascinanti caratteristiche nazionali di emergere.
L’esposizione, ha, a mio parere, il pregio di rendere affascinante questo viaggio nella pittura europea della seconda metà dell’Ottocento, poiché rende un percorso abbastanza noto, come può essere quello che parte dal Realismo e dal Naturalismo e arriva all’Impressionismo, originale e non scontato. E lo fa esponendo opere di artisti sicuramente poco conosciuti alla maggior parte dei visitatori, che però hanno dato un grande contributo alla pittura, come nel caso di Ensor.
La mostra in sostanza indica quali furono le basi che servirono allo sviluppo dell’Impressionismo.
Esaminiamo le tappe di questo percorso.
Il Realismo parte dal fatto che, a metà dell’800, l’incontrollato processo d’espansione industriale appunta l’attenzione verso nuove tematiche come la natura e la vita quotidiana. Courbet, Daumier e Millet, i maggiori esponenti del Realismo, fanno diventare protagonisti dei loro quadri le classi più umili, cercano di far riflettere sulle conseguenze dello sviluppo industriale e sottolineano che esso non aveva solo aspetti positivi, come si voleva far credere, richiamando l’attenzione ad esempio sulle campagne, che in quel periodo si stavano spopolando.
Il Naturalismo invece parte dal presupposto che il paesaggio elaborato in studio non bastava più. I pittori a poco a poco presero a volere un contatto diretto con la natura, rinnovando la tecnica pittorica per catturare impressioni sempre più passeggere. La scuola di Barbizon ne è l’esempio per eccellenza. Questa iniziò nel 1830 quando in un villaggio, Barbizon appunto, poco fuori da Parigi, vicino alla foresta di Fointainbleau, alcuni artisti cominciarono a dipingere dal vero la natura incontaminata di quei luoghi, seppur ovviamente continuando a perfezionare le loro opere in studio.
Presto la scuola di Barbizon divenne sinonimo di idillio con la natura, dove l’uomo e gli animali vivevano insieme e le persone non erano  contaminate dalla vita della città moderna. Corot, Daubigny, Troyon, Dupré e Rousseau, i maggiori esponenti di questa scuola esprimono nei loro quadri l’intensità delle emozioni che si possono provare davanti a un paesaggio.
Lo sviluppo naturale di questi due movimenti fu l’Impressionismo. Questo movimento continua le ricerche e le sperimentazioni dei primi due arrivando a una pittura completamente nuova, immediata e veloce. Dipingendo “en plein air”, cioè all’aria aperta, i pittori impressionisti capiscono che l’occhio percepisce un insieme di colori che varia con il mutare della luce. Questo portò alla comprensione delle infinite possibilità di dipingere lo stesso soggetto, in base alla diversità di luce e di impressione. La pittura di questi artisti infatti proprio per rendere la complessità di visione che si presentava davanti ai loro occhi, avevano bisogno di alcune tecniche particolari, come l’uso dei colori complementari, l’abolizione dei toni grigi, del disegno e del chiaroscuro. Per questo  motivo i dipinti di Manet, Monet, Degas, Rousseau e di tutti gli esponenti dell’Impressionismo non furono mai accettati dagli esponenti della pittura tradizionale rappresentata dal Salon, ma anzi essi furono derisi quando gli impressionisti organizzarono la loro prima mostra nel 1886 nello studio di Nadar; ed è proprio da un articolo di un critico che nasce il termine “Impressionismo” usato con connotazione dispregiativa.
Qui si conclude il nostro viaggio di introduzione alla mostra, che consiglio caldamente di visitare.

Per ulteriori informazioni: www.villamanin-eventi.it

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Canova, l’ideale classico tra scultura e pittura

Dal 25 gennaio al 21 giugno si svolge a Forlì nei musei di San Domenico una mostra dal titolo “Canova, l’ideale classico tra pittura e scultura”. Questa mostra è sicuramente importante perché è la più completa esposizione sino ad oggi dedicata al maestro veneto. Attraverso una serie di capolavori esemplari, l’esposizione ripercorre l’intera carriera del Canova, ponendo per la prima volta a confronto le sue opere (marmi, gessi, bassorilievi, bozzetti, dipinti e disegni), oltre che con i modelli antichi cui si è ispirato, anche con i dipinti di artisti a lui contemporanei con i quali si è confrontato. La scultura è una costante della vita di quest’artista; infatti egli nacque a Possagno (TV) il 1° novembre 1757 in una famiglia in cui da generazioni  si lavorava e si scolpiva la pietra.

Dopo la morte del padre e il secondo matrimonio della madre viene affidato al nonno che gli insegna il mestiere di scalpellino. Fin da giovanissimo, egli dimostrò una naturale inclinazione alla scultura: eseguiva piccole opere con l’argilla. Si racconta che, all’età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale bravura che tutti gli invitati ne rimasero meravigliati; il padrone di casa, il Senatore Giovanni Falier, intuì la capacità artistica di Antonio Canova e lo volle avviare allo studio e alla formazione professionale. Grazie a Falier infatti ottiene a Venezia le prime commissioni che gli permettono poi di compiere nel 1779 il decisivo viaggio a Roma, città in cui si stabilì definitivamente nel 1793.

A Venezia e Roma cresce la passione di Canova per l’arte antica a cui si ispirerà nelle sue opere, in piena conformità con il pensiero del Neoclassicismo diffuso in quel periodo. Altra cosa importante da sottolineare è il luogo dove si svolge la mostra: non in molti sanno che Forlì è stato uno dei luoghi fondamentali per Canova e, in generale, per il neoclassico in pittura e scultura, e per la città l’artista creò tre capolavori.

Tra questi in mostra c’è una versione di Ebe, realizzata tra il 1816 e il 1817, per la contessa Veronica Guarini, che sarà messa a confronto con l’altra versione appartenuta all’imperatrice Giuseppina moglie di Napoleone, dove Ebe è rappresentata su una nuvola.

In questa scultura, come era solito fare, Canova adopera il marmo bianco che riesce a rendere armonioso, modellandolo con plasticità e grazia, finezza e leggerezza. La figura sembra quasi avere un proprio movimento, vivere nella sua  immobilità. Fondamentale è il tocco “dell’ultima mano”, dove l’artista apporta le decisive modifiche. Una caratteristica particolare del suo talento è la levigatura delle opere, sempre raffinata al massimo, grazie alla quale i suoi lavori hanno uno speciale effetto di lucentezza che ne accentua la naturale e splendida bellezza; inoltre aveva l’abitudine di spalmare sull’intera superficie epidermica una speciale patina. Il composto doveva essere formato da una mistura di pietra pomice, da una tintura giallognola o, fuliggine o “pura cera e acqua elaborata dallo speziale” o “acqua di rota” (cioè acqua sporca dall’arrotamento di strumenti metallici). Lo scopo era quello di anticipare gli effetti del tempo “il quale sovente dà alle opere quell’accordo e quell’armonia che l’arte può difficilmente imitare”. Osservando le opere di questo artista non possiamo che ripetere che incarna perfettamente l’ideale che Winckelmann riconosceva alla scultura greca: “la nobile semplicità e la serena grandezza”.

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Canaletto, il pittore dei tesori di Venezia

A Treviso a Ca’ dei Carraresi dal 23 ottobre 2008 al 5 aprile è in corso una mostra su Antonio Canal, meglio conosciuto come Canaletto.
Mi sembra doveroso segnalare la presenza di questa mostra perché raccoglie un notevole numero di opere dell’artista e perché grazie ad essa arrivano in Italia per la prima volta due importanti dipinti di Canaletto: Ingresso solenne del conte di Gergy a Palazzo Ducale del Hermitage di San Pietroburgo ed Il ritorno del Bucintoro del Museo di Mosca Puskin. Vediamo però di capirne di più su questo artista e sulle sue opere.
Canaletto è sicuramente il primo e più conosciuto pittore vedutista veneziano. Il pittore (Venezia 1697-1768) inizialmente però è in realtà attivo come scenografo a fianco del padre, nel 1719 compì un viaggio a Roma, in seguito al quale, abbandonò il teatro preferendo ritrarre vedute dal naturale. Sembra tuttavia più probabile che la conversione al vedutismo sia avvenuta per gradi e che il giovane Canaletto abbia cominciato col dipingere paesaggi di fantasia con rovine classiche, per giungere poi alla veduta vera e propria, seguendo gli esempi del Van Wittel. Il gusto dello scenografo è ancora evidente in certi tagli a effetto e nei forti contrasti chiaroscurali che animano il saldo impianto prospettico delle vedute.

Verso la fine del terzo decennio del secolo, l’osservazione più attenta della luce naturale e una più acuta sensibilità per i valori atmosferici condussero l’artista alla creazione di vaste composizioni percorse da una luminosità intensa che conferisce, in un sottile accostamento di rapporti cromatici, risalto a tutti gli elementi della veduta, dalle architetture alle minuscole figure, che animano la composizione e danno un’idea della dimensione degli edifici, e allo scintillio delle acque della laguna.

Le rappresentazioni del Canal Grande, dei “campi” veneziani e di località dell’entroterra lagunare o lungo il Brenta, nelle quali appaiono fissati in forme di limpida bellezza gli aspetti monumentali e anche quelli minori della città e dei dintorni, sono dipinte con abilità meticolosa e volontariamente impersonale. Una prospettiva rigorosa, la cui perfezione tradisce l’impiego della camera ottica, ordina lo spettacolo veneziano dei canali e  dei  palazzi, cui  l’ambientazione luminosa conferisce un tono di poesia.

La veduta è per Canaletto e per i vedutisti, un documento oggettivo di luoghi o eventi storici richiesto sia dalla committenza locale, sia da visitatori stranieri o da chi non potendo affrontare un lungo viaggio, desiderava conoscere ugualmente, attraverso la rappresentazione pittorica, luoghi tanto famosi. Le vedute erano scrupolosissime, tanto che, per ottenere maggiore verità di quanta non possa restituirne l’occhio umano, quest’artista, come già detto prima, fa uso della camera ottica. La camera ottica è uno strumento che facendo passare all’interno, attraverso un piccolo foro, i raggi della luce, permetteva di proiettare l’immagine su uno schermo di carta oleata o su un vetro smerigliato. Il pittore poi ricalcava questa immagine e questa era la base di partenza della veduta. Questo però non significa che i vedutisti dipingessero all’aria aperta come fecero poi gli Impressionisti: il quadro veniva assolutamente finito in bottega.

Analizzando le opere di un vedutista come Canaletto bisogna anche assolutamente tenere conto del periodo in cui operano questi artisti. Il genere della veduta infatti si inserisce in un clima particolare: Venezia nel Settecento visse un epoca di declino politico e militare. In questo periodo però, per contrasto, ci fu la volontà di dare alla città un volto ricco e fastoso. Cerimonie ufficiali, parate sul mare, ricevimenti, spettacoli si susseguivano in laguna. Cataletto è sicuramente cronista fedele di questa vita cittadina; basta osservare il ritorno del Bucintoro per capire che quest’artista vuole rendere la bellezza splendente della città. Nulla è rappresentato per caso, tutti i dettagli contribuiscono a far comprendere la grandiosità della Serenissima, già la scelta di rappresentare il Doge mentre sbarca dal Bucintoro sottolinea sicuramente l’importanza e la maestosità della Repubblica di Venezia. Inoltre, per aggiungere credito a questa voglia del pittore di esaltare la Serenissima con i suoi quadri, è sicuramente utile notare che anche quando Canaletto dipinge degli angoli poco conosciuti di Venezia fa risaltare comunque la bellezza della città, rappresentando le persone molto piccole in modo da far risaltare l’imponenza e la sfarzosità dei palazzi. Questa esaltazione di Venezia è sicuramente uno dei motivi che ha reso Canaletto uno dei pittori più conosciuti e più stimati.

per informazioni sulla mostra: www.artematica.tv

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Joan Mirò

Mi sembra giusto e doveroso dare rilievo ad una mostra che si è svolta, dal 7 dicembre 2007 al 2 marzo 2008, a Pordenone presso le sale espositive del palazzo della provincia. Questa mostra è la continuazione delle precedenti esposizioni dedicate all’incisione, legate alla Triennale europea dell’incisione. Quest’anno la mostra era dedicate a uno dei maggiori artisti del ‘900: Joan Mirò.

Osservando le opere della mostra, esclusivamente grafiche, si percepisce subito la vicinanza di questo artista al movimento surrealista. Le opere di Mirò infatti sono un insieme di segni, di forme e di colori (che non a caso sono prevalentemente il rosso il giallo e il blu, cioè i tre colori primari) apparentemente senza senso, ma che poi improvvisamente diventano emozioni e sensazioni sempre nuove e sempre diverse, lasciando spazio all’interpretazione soggettiva. Quando si guarda un’opera di questo artista si apre un mondo fantastico, fatto di sogni, fatto di quello che viene chiamato inconscio, in piena linea con il surrealismo.

Nel 1924 esce infatti il manifesto surrealista di André Breton, che definisce il Surrealismo un “automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni, come la razionalità, la moralità, l’educazione, così che il pensiero sia libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In tal modo si riesce a portare in superficie quell’inconscio che altrimenti appare solo nel sogno. Aspetti fondamentali del movimento sono la rivalutazione della componente irrazionale della creatività umana e la liberazione dell’inconscio: un rifiuto della logica a favore di una totale libertà di espressione.

Lo stesso Mirò dice: “La scoperta del surrealismo, ha coinciso per me con una crisi della mia pittura, determinando la svolta decisiva che mi ha fatto abbandoare il realismo per l’immaginario”.

Mirò però non è mai astratto, le sue immagini alludono a qualcosa, infatti si pone in bilico tra conscio e inconscio, perché ogni forma, ogni segno si organizzano nello spazio, volutamente infinito, in un’immagine che non sembra avere nulla a che fare con la realtà, ma che certamente parte proprio da essa, riproducendo cose ed oggetti reali, anche se rimescolati in maniera del tutto originale ed “assurda”. Nelle opere di questo artista non vi è gerarchia, tutto ha la stessa importanza, tutto sembra stabile, ma in realtà non è così, ogni opera se osservata attentamente diventa esplosione di segni, colori, forme e figure.

Alberto Giacometti dà, a mio parere, una definizione perfetta di Mirò quando dice: “Miró era la grande libertà. Qualcosa di più aereo, di più libero, di più leggero di tutto quanto avessi visto. In un certo senso era assolutamente perfetto. Miró non poteva fare un punto senza farlo cadere nel punto giusto. Lui era talmente pittore che gli bastava lasciar cadere tre macchie di colore sulla tela perché essa esistesse e costituisse un quadro.”.