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Tiziano: ultimo atto

Dal 15 settembre 2007 al 6 gennaio 2008 a palazzo Crepadona a Belluno si tiene la mostra “Tiziano: ultimo atto”, in cui la città rende omaggio al suo artista più illustre, il genio della pittura rinascimentale nato a Pieve di Cadore e qui tornato proprio negli ultimi anni della sua lunga vita, quando i grandi d’Europa si contendevano le sue opere ed egli aveva deciso di riorganizzare la propria bottega tra Venezia e Pieve di Cadore.
Ultimo atto perché quest’esposizione si concentra sugli ultimi anni di vita del pittore. La mostra infatti inizia con il documento che attesta la morte di Tiziano.
Interessante è capire il motivo di questa scelta; è molto semplice: nell’ultimo periodo lo stile di Tiziano cambia radicalmente e cambia radicalmente anche il suo modo di vedere la vita .

Per capire meglio bisogna partire dall’inizio; la pittura di Tiziano affonda le sue radici nella pittura tonale veneziana, il pittore è infatti allievo a Venezia di Gentile e Giovanni Bellini e si avvicina infine a Giorgione, accanto al quale è impegnato nel 1508 nella esecuzione degli affreschi del Fondaco dei Tedeschi. Mostra subito segni di indipendenza nei confronti dei suoi maestri, pone a frutto la calma e ferma partitura cromatica di Giovanni Bellini e la modulazione dei toni di Giorgine, attinge un’intensità di colore steso in dinamici contrasti di piani larghi, con la quale afferma una chiarezza nella definizione dei corpi e delle espressioni. Nell’esecuzione (1516-1518) dell’Assunta dei Frari, la sua prima clamorosa affermazione pubblica, esprime carica vitale dei toni ed esprime la visione di un mondo di bellezza armoniosa nel pieno del suo rigoglio e in gara esaltante con la natura.
Da questo momento in poi la sua fama cresce ed entra in rapporto con le più illustri corti italiane. Colore e luce: sono questi i due elementi fondamentali e il segreto dell’arte di Tiziano, in gioventù come in vecchiaia; Tiziano usa il colore come materia che “fa” il quadro.

La pittura degli ultimi anni si differenzia perché vi è una resa dei conti con la vita. Tiziano ha un’interpretazione non più armonica ma drammatica della realtà, di un’inquietudine spirituale che prima non turbava la sua visione limpida e serena dei destini umani.

Una densità materica che invade la scena e riempie gli spazi; una pennellata grossa e sporca; una luce particolare e intensa si sostituisce alla maniera luminosa e tonale del periodo giovanile. Tiziano giunge così alla disgregazione del tessuto disegnativo e plastico delle figure, attraverso un personalissimo e impegnativo modo di dipingere che lo vede tornare e ritornare sulle sue opere, alla ricerca di un’intensità psicologica prima impensabili.

Ecco la nuova poetica di Tiziano. Il suo ultimo atto.

Come uno scultore che modella la creta, lui stende sulla tela i pigmenti con i polpastrelli; lavora con guizzi di luce che vibrano da dentro il quadro; non definisce le forme e dà un ricercato senso di incompiutezza, quasi ad esprimere l’angoscioso interrogativo del suo animo insoddisfatto, fino all’abbandono di ogni naturalismo.
Restano solo il sentimento, la segreta partecipazione emotiva, i bagliori di un artista disincantato di fronte alla morte.

Per maggiori informazioni: www.tizianoultimoatto.it

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Mille anni di storia e arte nelle chiese di Venezia, maggio-ottobre 2007

Luisella, Gioia e Gigliola sono sempre “a caccia” di idee e iniziative da proporre ai propri amici e soci.
Immagino che durante una delle loro riunioni serali del martedì Gioia abbia lanciato la proposta di organizzare una serie di uscite giornaliere a Venezia per visitare le chiese del “circuito Chorus”.

Gioia da tempo collabora con “Dimensione Cultura”, la mia associazione che ha sede a Concordia Sagittaria, ed ha pensato di coinvolgermi nell’iniziativa sapendo che da qualche anno sono impegnata nello studio dell’immenso patrimonio storico-artistico della Serenissima Repubblica veneziana.
Una volta steso il calendario e sottoposto all’attenzione dei soci sono arrivate subito le adesioni. Tutto confermato: si faranno quattro uscite il sabato a partire dal mese di maggio, per concludere ad ottobre.
“Chorus” è un’associazione veneziana impegnata nella gestione e valorizzazione di alcune delle più importanti chiese di Venezia.

Sono ben sedici gli edifici sacri compresi nel “circuito Chorus”: noi li abbiamo divisi con un criterio territoriale, nei sestieri veneziani. Le nostre uscite infatti non hanno avuto solo lo scopo di conoscere le chiese, ma sono state anche l’occasione di passeggiare con tranquillità, tra amici, per chiacchierare e gustare angoli veneziani più o meno conosciuti.

Sabato 19 maggio ci siamo trovati alla stazione ferroviaria di Portogruaro per partire insieme. Dopo una prima fase di presentazioni e di “controlli” da parte di Luisella, perfettamente organizzata nella gestione di biglietti e prenotazioni, siamo partiti per la nostra avventura…
Le chiacchiere piacevoli durante il viaggio in treno mi hanno permesso di conoscere l’associazione “La Ruota” e di cominciare ad entrare in confidenza con il gruppo; una confidenza che è diventata amicizia nel corso delle successive uscite.

Durante la prima escursione non abbiamo camminato molto in quanto le quattro chiese visitate sono le più significative del sestiere di Cannaregio.

La rinascimentale San Giobbe che custodisce un’opera unica nel suo genere a Venezia: la cupola in terracotta della cappella Martini realizzata dal toscano Luca della Robbia.

La chiesa di Sant’Alvise esempio di architettura gotica conventuale e custode di tre importanti opere di Giambattista Tiepolo con scene della passione di Cristo.

La terza tappa ci ha portato alla chiesa della Madonna dell’Orto, non lontano dalle Fondamenta Nuove affacciate sulla laguna nord; si tratta di uno degli esempi più celebri dell’architettura gotica veneziana e la sua fama è ulteriormente accresciuta dalle opere pittoriche che conserva. Credo che il dipinto più emozionante sia l’enorme pala di Jacopo Tintoretto con la Presentazione della Vergine al tempio, dai caldi e vibranti effetti luministici.

Dopo il momento conviviale del pranzo, una breve camminata ci ha portato di fronte alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli, uno splendido scrigno rivestito di marmi policromi e raffinate sculture: indubbiamente uno dei massimi esempi di architettura rinascimentale realizzati in città dalla bottega dei Lombardo, architetti e decoratori del secolo XV.

Il gruppo degli appassionati si è ripresentato puntuale sabato 16 giugno, ancora ignaro della lunga passeggiata che avrebbe fatto.

Arrivati alla chiesa di Santo Stefano, abbiamo potuto osservare solo l’esterno dell’edificio in quanto stava per iniziare la celebrazione di un matrimonio. Siamo comunque entrati per la visita dell’interno nel corso dell’uscita di ottobre: non potevamo tralasciare la sagrestia della chiesa con le tele di Jacopo Tintoretto.

Dopo aver fatto tappa nella chiesa di Santa Maria del Giglio, fastoso esempio di architettura barocca del XVII secolo, un altro matrimonio ci ha bloccato all’ingresso della chiesa di Santa Maria Formosa. Nessun problema, abbiamo continuato la camminata fino all’isola di San Pietro di Castello, all’estremità est di Venezia per visitare l’omonima chiesa, importante nella storia della città in quanto è stata per secoli sede vescovile. E’ piaciuta l’atmosfera del sestiere di Castello, che alcuni non conoscevano, in quanto meno turistico e più “veneziano”.

Dopo la pausa pranzo conclusa con un fresco gelato, invece di rientrare con il vaporetto come previsto, ci siamo rimessi in marcia per fare di nuovo tappa, sulla via del ritorno, a Santa Maria Formosa, una delle opere architettoniche più celebri dell’architetto rinascimentale Mauro Codussi.

L’escursione fatta alla fine di settembre è stata la più impegnativa, per il numero e per l’importanza delle chiese.

Dopo un caffé ed una breve camminata siamo entrati nella chiesa di San Giacomo dell’Orio per ammirare in particolare il ciclo realizzato Jacopo Palma il Giovane nella sacrestia vecchia.

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De Chirico: un pittore moderno con uno sguardo verso il passato

A Padova, dal 20 gennaio al 27 maggio 2007, per iniziativa della Fondazione Bano, Palazzo Zabarella propone “DE CHIRICO”. Prima di entrare nei dettagli della mostra però bisogna chiedersi: chi era Giorgio  De Chirico? Questo artista fu sicuramente il più importante esponente della Pittura Metafisica. La Metafisica nasce nel 1917 attraverso l’incontro di De Chirico con Carlo Carrà, in precedenza esponente del movimento futurista. Per Metafisica Giorgio De Chirico intendeva l’allusione a una realtà diversa, che va oltre quello che vediamo, i contenuti di un dipinto infatti devono andare al di là della realtà, cioè oltre natura e questo modo di pensare è ben spiegato dalla sua frase “Bisogna dipingere ciò che non si vede”.

Può essere metafisico tutto quello che è estraneo alla logica ambientale in cui siamo abituati a vederlo, in pratica un qualsiasi oggetto isolato dal contesto in cui solitamente si trova e inserito in un altro. Questo crea in noi inquietudine, angoscia, quasi un senso di paura, perché tutto sembra insolito, inaspettato, a- logico. Elemento fondamentale per creare questa sensazione di inquietudine è il disegno che per questo artista ha sempre costituito un fattore idealizzante della realtà poiché gli oggetti totalmente incongrui rispetto al contesto vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo.

Per comprendere meglio questo spirito è bene analizzare un’opera di questo artista, che è presente in mostra, che si intitola Ettore e Andromaca. In questo quadro tutto è statico, sospeso; quello rappresentato è un luogo sognato, solo apparentemente reale, dove tutto è immobilizzato. In questo luogo no possono abitare uomini, esseri viventi ma solo manichini, che degli uomini hanno l’aspetto ma non l’essenza. In questo luogo no possono abitare uomini, esseri viventi ma solo manichini, che degli uomini hanno l’aspetto ma non l’essenza. I manichini molti presenti nei quadri di De Chirico infatti sono solo figure geometriche astratte. Il percorso si articolerà dunque in diverse sezioni corrispondenti ai vari “momenti” artistici di de Chirico.

Dalle prime opere simboliste si arriva fino alla scoperta delle piazze e delle torri, architetture dell’invisibile e dell’infinito, tra il 1909 e il 1913, per approdare nel 1914 a quella che l’artista chiamava “la solitudine dei segni” ovvero la metafisica che dal 1914 al 1918, avrà il suo pieno sviluppo di cui fa parte il quadro “Ettore ed Andromaca”.
Poi vi è una svolta nel primo dopoguerra, infatti, nel 1919, dato lo scarso riconoscimento critico riservatogli in Italia, mentre in Europa e in particolare a Parigi si guardava alla sua pittura metafisica come a un punto di riferimento, de Chirico sorprende tutti tornando a forme di rivisitazione classica. E’ l’epoca dei grandi quadri allegorici conosciuti col nome di “Ville Romane”, delle nature morte e degli autoritratti pieni di metafore e di simboli.

Il rientro a Parigi, alla fine del ‘25, comporta un ritorno alla metafisica. In realtà de Chirico rimane legato a una sua visione del mondo basata sulla nostalgia del classico, ma concepita in pieno spirito di modernità. A questo periodo, che dura fino alla fine del 1929, appartiene gladiatori.
Gli anni ’30 segnano una crisi e vedono il Maestro in bilico tra naturalismo e metafisica. È il periodo dei famosi “Bagni Misteriosi”.
La svolta verso un ridondante gusto “Barocco”, che si manifesta nella pittura di de Chirico a partire dal suo rientro dal lungo viaggio in America (agosto 1936 – gennaio 1938) sarà rappresentata, per decisione dei curatori, solo da un’ampia selezione di autoritratti.
La mostra si concluderà con una scelta di opere neo-metafisiche, nelle quali il vecchio pittore, dopo la metà degli anni ’60, rivisita figure e temi del suo  passato.

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Per ricordare Andrea Mantegna, nel 5°centenario dalla sua morte

In questo periodo è stata allestita, per il 5° centenario dalla sua morte avvenuta a Mantova nel 1506, una mostra su Andrea Mantegna. Essa si articola in tre sedi, nelle tre città che hanno segnato la carriera artistica del Mantegna (Padova, Verona e Mantova).

Andrea Mantegna nasce ad Isola di Carturo, piccolo borgo in provincia di Padova, nel 1431. A Padova entra a far parte della bottega dello Squarcione, di cui risulta anche figlio adottivo. Francesco Squarcione era un ex sarto che aveva un grosso interesse per i manufatti antichi di cui era raccoglitore e mercante, egli era anche pittore e sfruttava i garzoni che prendeva a bottega. Mantegna però aveva trovato a Padova un altro maestro, Donatello, che aveva realizzato l’altare della Basilica del Santo in maniera straordinariamente moderna.

Dopo circa sette anni vissuti presso la casa–bottega dello Squarcione, nel 1448 Mantegna scioglie il sodalizio con lui e firma il contratto – insieme ai colleghi Nicolò Pizolo, Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna – per l’esecuzione del ciclo di affreschi della Cappella della famiglia Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. Nel corso della realizzazione della grandiosa opera, ci furono diversi avvicendamenti che portarono il solo Mantegna a concludere il lavoro intorno al 1457. Questa è senza dubbio l’opera più importante di Mantegna a Padova, infatti qui, a soli 17 anni, dipinge le storie di San Giacomo e di San Cristoforo. Questa cappella si trova nel braccio destro del transetto della chiesa degli Eremitani. Di quest’opera purtroppo rimangono solo alcune scene poiché la cappella venne bombardata l’11 marzo del 1944. Già qui notiamo i caratteri fondamentali della pittura di questo artista: si possono osservare la puntuale descrizione delle diverse espressioni dei volti, il gusto per gli elementi vegetali e la predilezione per l’arte classica.

Nel 1453 Mantegna sposa Nicolosia Bellini figlia di Jacopo e sorella di Giovanni e Gentile Bellini. Questo legame parentale sarà importante soprattutto per l’influenza che avrà sulla produzione artistica e di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna, infatti Giovanni trae forza plastica dal Mantegna e lui, viceversa, carpisce l’uso dei colori tipico del pittore veneziano.

Nel 1457, conclusi i lavori alla Cappella Ovetari, Mantegna era già in trattative con Gregorio Correr, abate della Basilica di San Zeno a Verona, per la realizzazione della pala destinata a decorare l’altare maggiore della chiesa.

In quest’opera ritroviamo, ancora più evidente che nella cappella Ovetari, la concezione tipica del Mantegna di scambio tra pittura e scultura, infatti le figure sembrano quasi statue all’interno dell’ambiente architettonico. Questo aspetto è sicuramente dovuto anche dall’influenza che ha avuto, sulla realizzazione di questa pala, l’altare della chiesa dedicata a Santo Antonio a Padova di Donatello.

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Laboratori didattici a “In Hoc Signo”

Dopo aver parlato di chiese o musei in questo articolo vorrei soffermarmi su di una mostra, che in questo periodo (dal 4 aprile al 31 agosto 2006) si sta svolgendo tra Portogruaro e Pordenone, dal titolo “In hoc signo il tesoro delle croci”. Il tema, come si può intuire dal titolo, è la raffigurazione del simbolo della croce, in tutte le sue accezioni.

A Portogruaro sono esposti i reperti più antichi, che hanno datazione dal ‘400 al 1500, che si possono vedere alla chiesa di San Luigi e Cristoforo e anche una sezione dedicata all’arte contemporanea, ospitata ai Mulini. A Pordenone, presso l’ex convento di San Francesco, invece si trovano gli oggetti che hanno datazione dal 1400 al 1800; e alla sala espositiva della Provincia c’è una sezione dedicata alla trattazione fotografica del tema; qui è visibile una fotografia di Claude Andreini, nostro socio.

In questo caso però non è mia intenzione spiegarvi cosa potete trovare in questa mostra o i motivi per cui può essere interessante visitarla; scelgo infatti di soffermarmi su di un aspetto un po’ particolare legato a questa manifestazione: le visite guidate animate e i laboratori didattici, organizzati per i ragazzi delle scuole elementari e medie.

Queste attività si svolgono sia a Portogruaro che a Pordenone e hanno la durata di circa un’ora e mezza: metà del tempo viene dedicata alla visita guidata e il restante tempo al laboratorio.

Ci si può chiedere perché abbia messo accanto alla parola visita guidata l’aggettivo animata; questa scelta è facile da spiegare poiché questo tipo di visita non consiste nella solita spiegazione degli oggetti esposti che, data l’età del pubblico a cui ci si rivolge, potrebbe risultare noiosa; ma nella conoscenza degli oggetti attraverso il gioco. Gli organizzatori hanno puntato molto sul coinvolgimento dei ragazzi, scegliendo le opere che potessero avere degli aspetti curiosi e divertenti, cercando però di far loro comprendere l’importanza di quello che stavano osservando; in particolar modo, si è cercato di spiegare il significato di alcuni termini (ad esempio reliquiario, croce astile stauroteca) che magari non sono di così facile comprensione, il tutto sempre tramite il gioco.

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Mostra internazionale di fotografia e scultura

Dal 4 al 26 febbraio 2006 si è svolta alla galleria Ai Molini di Portogruaro la mostra internazionale di scultura e fotografia “La poesia dei manifesti”, opera di Susan Aurinko, e “Ritratti in Oltre Tempo” di Claude Andreini. Quello che unisce l’opera di questi due artisti è il fatto di lavorare su immagini già create da qualcun altro. Susan Aurinko infatti fotografa in bianco e nero dei manifesti sovrapposti e strappati, che si possono trovare in qualsiasi città. In questo modo delle immagini che ormai avevano perso la loro funzione diventano nuovamente vive, ma soprattutto diventano arte. Claude Andreini invece cerca immagini di persone che si sono deteriorate nel tempo. Particolare è il metodo usato, infatti, dopo aver scattato le fotografie in bianco e nero, Andreini sceglie di sovrapporre pigmenti alla foto.

Differenti secondo me le sensazioni che provocano i due artisti con le loro opere. Le fotografie di Susan Aurinko, nonostante le immagini siano a volte forti, danno l’impressione di un riavvicinamentoi al passato; mentre le fotografie di Claude Andreini danno la sensazione di un distacco dal passato, Oltre Tempo appunto. Nella galleria vi sono anche delle sculture di Claude Andreini che rappresentano tartarughe e dinosauri, che vanno a completare, con le loro forme a volte rotondeggianti e a volte più spigolose, la rassegna dei lavori dell’artista. La collocazione della mostra alla galleria “Ai Molini” aiuta con il suo silenzio, o meglio con in sottofondo il  rumore d’acqua che scorre, ad aumentare il fascino di questi lavori.

Claude Andreini

Susan Aurinko

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Il Battistero della Chiesa di San Giusto a Gruaro

Lo scopo di questi miei articoli è quello di far conoscere attraverso le testimonianze artistiche, il nostro territorio e poichè penso sia giusto che ogni persona inizi prima di tutto a conoscere il paese in cui vive, ho pensato di analizzare questa volta la Chiesa di San Giusto a Gruaro e di soffermarmi in particolare sul battistero, manufatto ligneo che racchiude il fonte battesimale. Esso è stato eseguito da artisti della cerchia di Pomponio Amalteo; alla stessa scuola appartengono anche gli affreschi della facciata della chiesa.

La parte centrale del battistero è suddivisa in tre parti.

Quella centrale è occupata da raffigurazioni sacre inserite in ovali, delimitate da decori dorati, ottenuti usando la tecnica della doratura, che consiste nello stendere una preparazione a cui viene fatta aderire una sottilissima lamina d’oro. In ognuno degli ovali sono rappresentate immagini sacre (il S. Giovanni, S. Paolo, S. Pietro e S. Filippo), fra cui spicca il Redentore, posto, come nella maggior parte dei casi, nella parte frontale del manufatto, per dargli maggiore rilievo, raffigurato con una sfera, il mondo, con una croce sopra.

La seconda parte è la fascia che sta sopra le raffigurazioni precedenti e ripropone la stessa decorazione dorata.

Le figure dipinte in questo battistero sono verosimili e di buona fattura e risultano essere in uno spazio indipendente a cui la struttura del battistero fa da cornice.

La terza parte è la copertura, su cui poggia la statua di San Giovanni Battista, non originale.

Spero che queste mie poche informazioni possano suscitare l’interesse di qualcuno su questo battistero che, secondo me, merita attenzione perché è davvero molto bello.

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Un museo: la galleria Guggenheim

Affacciandosi dal ponte dell’Accademia, sul Canal Grande, si può notare una facciata incompiuta. Questa appartiene a Palazzo Venier dei Leoni, che fu l’abitazione di Peggy Guggenheim. Questa donna è sempre stata vicina al mondo dell’arte stringendo, fin da quando era ventenne e lavorava in una libreria di New York, molte conoscenze con esponenti del mondo artistico. Altre amicizie, come quelle con Costantine Brancusi e Marcel Duchamp, iniziano invece quando si stabilisce in Europa nel 1921 e dureranno per tutta la vita. Il suo interesse per l’arte diventa sempre più forte quando apre una galleria d’arte nel 1937 “Guggenheim jeune” e poi un museo d’arte moderna a Londra. Nel 1942 apre a New york la propria galleria-museo “Art of This Century”. La collezione veneziana, oggi di proprietà della Fondazione Solomon R. Guggenheim, è secondo me importante da visitare perché ci permette di ripercorrere i maggiori movimenti e periodi dell’avanguardia, Cubismo (Orfismo, Purismo), Futurismo, Astrattismo europeo (Kandinsky, De Stijl, Suprematismo, Costruttivismo), Surrealismo, Dadaismo; e ammirare opere di Klee, Chagall e dei Metafisici, lavori precursori dell’Espressionismo Astratto, testimonianze di scultura europea (Brancusi, Giacometti, Arp, Calder, Moore), ed arte del dopoguerra. Quello che stupisce di questa collezione è la modernità di Peggy Guggenheim che riesce ad anticipare concezioni artistiche che verranno capite e accettate molto dopo, come accade con Pollock, che deve la propria carriera e il proprio successo in gran parte alla generosità di Peggy e al suo appoggio. La collezione include anche una piccola raccolta di arte tribale dell’Africa e dell’Oceania. Ad arricchire vi sono le opere italiane della Collezione Gianni Mattioli (al Museo in qualità di prestito a lungo termine dal 1997) e i prestiti di scultura europea e americana del ventesimo secolo provenienti dalla Collezione Kasher (Ernst, Giacometti, Arp, Moore, Duchamp-Villon). Secondo me la visita di questo museo è davvero incantevole perché da la sensazione di entrare, non in un museo ma in una casa accogliente ed è interessante perché rappresenta un modo di avvicinarsi all’arte contemporanea in maniera quasi esaustiva. Quello che provo quando esco da questo palazzo è una sorta di invidia verso questa donna che è riuscita ad avere questi capolavori davanti agli occhi in casa sua.

Il quadro che più mi piace e stupisce è “L’impero delle luci” di Magritte in cui è dipinto un luogo notturno sotto un cielo chiaro come di giorno. Solo al secondo impatto lo spettatore si rende conto del surreale di questa scena così realistica. L’autore stesso dice descrivendo questo quadro: “Trovo che questa contemporaneità di giorno e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia” (Marcel Parquet, RENE’ MAGRITTE, 2001).

Altre informazioni: www.guggenheim-venice.it

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Paolo Caliari detto il Veronese

Dopo la mostra sul Veronese, tenutasi al Museo Correr, mi è venuta la curiosità di andare a visitare le opere che questo artista ha lasciato a Venezia. Tappa obbligata di questo tour è sicuramente la chiesa di San Sebastiano, uno dei più importanti luoghi dell’arte veneziana, riunendo il più straordinario corpus di opere di Paolo Caliari detto il Veronese. La sensazione che si prova entrando in questa chiesa è di dispersione perché lo sguardo si perde nell’osservare le molte opere presenti e non si sa davvero dove guardare, vista la bellezza di ciò che è conservato in questo edificio. L’intervento del Veronese, voluto dal Priore veronese frà Bernardo Torlioni, a cui spetta la concezione tematica dell’impresa intesa come allegoria del trionfo della fede sull’eresia, si articola in tre momenti, di cui il primo ha inizio nel 1555, ed ha per tema la decorazione del soffitto della sacrestia con Scene dell’Antico Testamento (Vergine Incoronata ed Evangelisti), a cui fa seguito la complessa decorazione del soffitto a cassettoni della chiesa, protrattasi fino al 1556 e ispirata al Libro di Ester (Ester incoronata da Assuero, Ester incontra Assuero e il Trionfo di Mardocheo).

Tra il 1558 e il 1559 Veronese realizza il secondo intervento, decorando con affreschi la parte superiore della navata centrale (Padri della Chiesa, Profeti, Sibille e personaggi biblici) e il coro dei frati (episodi della Vita di San Sebastiano) e realizzando le portelle d’organo e il parapetto (Presentazione di Gesù al Tempio, Piscina Probatica e Natività). L’ultimo intervento risale infine al periodo 1565-70, con l’esecuzione della grande pala d’altare con la Madonna in gloria con San Sebastiano e altri santi e dei due teleri laterali del presbiterio raffiguranti i Santi Marco e Marcellino condotti al martirio e il Martirio di San Sebastiano. La chiesa conserva anche le spoglie del Veronese (a sinistra del presbiterio).

Prendendo in considerazione una parte della decorazione del soffitto dipinto dall’artista, cioè Ester incoronata Da Assuero, mi sono posta il problema di capire quale sia il suo stile e che cosa accomuni tutta la sua attività. Quest’opera che, essendo, come già detto, dipinta per il soffitto della Navata, deve tener conto della posizione elevata, dell’ampiezza del luogo e della distanza dallo spettatore. Questi fatti portano ad un accentramento di quelle caratteristiche già presenti in Veronese: la monumentalità e la ricerca dello scorcio particolare.

Una costante di questo pittore è inoltre l’uso dei colori complementari, che accostati, pur restando distinti, generano l’equivalente della luce bianca, determinando un’intesa luminosità chiara.

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Un fotografo dall’occhio da scultore

Il 24 giugno 2005, è stata inaugurata a Chicago, alla FLATFILEgalleries, la mostra fotografica personale di Claude Andreini, nostro concittadino, dal titolo evocativo “METROPOLIS”.
Riportiamo di seguito la critica della curatrice Susan Aurinko, in collaborazione con il Dr. Michael Weinstein – Prof.  di Scienze Politiche alla Purdue University di Chicago.

“Claude Andreini è un modernista, che realizza immagini nella più grande tradizione lineare, con una composizione formale e senza necessità di spiegazioni.
Nonostante l’autore dichiari a proposito del lavoro METROPOLIS che esso è nato da considerazioni ambientaliste, alla fine risulta che Andreini realizza delle foto assolutamente magnifiche della stessa realtà, quella urbana, che intendeva criticare. A lui è impossibile scattare una fotografia che non sia equilibrata alla perfezione. È in questo modo che funziona il suo occhio ultrapreciso. Che siano fotografati nudi, elementi architettonici, ambientazioni urbane o lugubre camere di campo di concentramento, Andreini rappresenta i suoi soggetti con una purezza e un rispetto estremi. Affiora nell’insieme della sua opera una comprensione della forma e della superficie che nasce dai suoi studi di scultore.

Il corpo del lavoro intitolato METROPOLIS, rivolto all’evocazione di distese urbane e dell’assenza di natura, osanna invece la bellezza lineare della città. Gli angoli sono utilizzati al meglio per creare immagini che mostrano il paesaggio urbano come un mondo di strutture monumentali di acciaio e di vetro, simili nella loro essenza, a delle sculture che si drizzano verso il cielo. Immensi pannelli pubblicitari, mostrando visi enormi, giustapposti all’architettura aggiungono una strana umanità a questo ambiente peraltro sterile. Quando appaiono individui, le loro sagome sono indistinte, spettrali, e si muovono dietro una lastra di vetro traslucido lavorato. In un caffè all’aria aperta, ombrelloni sistemati in cerchi concentrici nascondono ogni essere  suscettibile di pranzare al loro riparo, mostrando di nuovo una versione surrealista della città, priva dalla gente che la crea e l’abita. Un po’ come se la città sorgesse dalla terra completamente formata, senza l’aiuto delle popolazioni, tanto le sue strade sono vuote in queste fotografie sconcertanti.” (…)

(trad. Selim e Indira Chanderli)