Informazioni su: Claude Andreini

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Sito Web
http://www.claudeandreini.it
Descrizione
Prof. di educazione fisica e di biologia. Laureato in Kinesiterapia Fotografo , scultore. Di origine italiana(Toscano di Larciano-PT), Belga di cittadinanza e formazione. Ex cooperante civile in Algeria in alternativa al Servizio militare (1971-1973). Dopo anni di tentativi di assimilazione alla mentalità veneta, ha deciso che non è per lui. Troppo schietto per accettare compromessi spesso immorali, ormai preferisce rimanere isolato. Meglio solo che mal accompagnato. Non riesce a capire come un Paese di una cultura immensa come l'Italia possa essere crollato ad un tale livello di ignoranza, analfabetismo, razzismo e xenofobia affiancato ad un altrettanto incomprensibile sentimento di superiorità, anche razziale! Ha tentato di creare un sentimento di protezione per la bellezza del territorio a Gruaro, investendo 20 anni di lavoro, soldi ed impegni culturali per fare nascere un parco fluviale lungo il Lemene. Risultato: disprezzo, denunce, vandalismo, messa al bando dalla maggioranza della popolazione. Parallelamente , studiando la fotografia e praticandola intensamente, è ormai conosciuto a livello internazionale, esponendo nel mondo intero, da Parigi a Chicago, da Pechino ad Arles. Dappertutto tranne a Gruaro dove il politicuccio locale e la stessa Opposizione sono d'accordo per censurarlo o ignorarlo. Pensiamo che sia la sintesi più chiara che si possa fare del livello culturale e morale di quel paesino leghistoberluscanovaticanista.

Articoli di Claude Andreini

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La periartrite scapolo-omerale

La periartitrite scapolo-omerale è una malattia complessa, che si manifesta sotto diversi aspetti dal più subdolo ed insidioso dolore, alla crisi acuta che strappa urli al più feroce dei legionari.

Sarebbe più esatto chiamare questa patologia “sindrome spalla – mano”, primo perché questa definizione descrive bene la distribuzione del dolore, che può sia limitarsi alla sola spalla, sia irradiarsi fino alla punta delle dita; secondo, perchè nonostante la sua prima denominazione, non è per niente un’artrite bensì una infiammazione dei tessuti molli (e non delle ossa) che circondano la spalla, e che va dalla tendinite di vari muscoli alla capsula sinoviale, che avvolge l’articolazione della spalla. La periartrite, malattia subdola, inizia sempre con un dolore leggero, magari qualche fitta, che appare sopportabile, però, di notte lo stesso dolore permane e, anzi, diventa spesso una tortura. La persona fa sempre più fatica ad alzare il braccio. Si installa così un circolo vizioso: la persona  ha paura  di muovere il braccio e, aumentando l’immobilità, aumenta il dolore.

Purtroppo, con la somministrazione di un antinifiammatorio, il dolore può tornare  ad essere sopportabile e ciò fa sì che la persona si trascini per settimane, peggio per mesi, con un’alternanza logorante di sedazione e di episodi dolorosi. Entra in gioco il medico per la seconda volta per ordinare o “infliggere” la solita infiltrazione  di cortisone; gran sollievo per  uno, due, o tre giorni e dopo  avanti di nuovo con l’inferno, che può trasformarsi in “banchisa” con una spalla cosiddetta “congelata”, ossia paralizzata, che rende necessario lo sblocco sotto anestesia.

Cosa fare? Dunque prima di tutto bisogna avere subito la diagnosi corretta e capire da cosa è stata causata la malattia: nel 60/70 % dei casi la causa è psico – somatica (stress, paura, perdita di un caro, bocciatura agli esami, angoscia per il lavoro, abbandono amoroso, problemi con i figli . etc.). Il resto  è conseguenza di traumi, incidenti, lavori non abituali; dopo la diagnosi è opportuno eseguire una cura a base di movimenti precisi di ginnastica specifica, passiva, detta di Sohier, ad opera  del terapista.
Lo scopo di questo intervento è quello di rompere il circolo vizioso dell’immobilità. In parallelo, bisogna applicare l’elettroterapia e quella del freddo, perlomeno in fase acuta.

A questo proposito, è da sottolineare che la PSO è una malattia che si cura soprattutto in fase acuta, aspettare è assolutamente controindicato. Quanto alle infiltrazioni, tutti sanno che decalcificano le ossa, rendono fragili i tendini e mettendo pericolosamente a riposo le ghiandole surrenali. Esse infatti possono non funzionare più adeguatamente dopo ripetute cure di cortisonici. Una periartrite, anche dolorosissima, presa in tempo, può svanire in una sola seduta, essa si risolve nel 99% dei casi, con quanto descritto, ma a condizione di non aspettare  troppo a lungo e di non limitarsi ad ingerire carriolate di farmaci. Sono 25 anni che predico questo iter, evidentemente in un deserto dove emergono solo le case farmaceutiche.

Dr. Claude Andreini, Fisioterapista

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Dell’uso ed abuso… della radiografia

Nata dalle ricerche di Marie Curie sulla radioattività, la radiografia è diventata un mezzo meraviglioso di indagine medica, in quanto permette di vedere  le strutture ossee ma anche le parti molli, polmoni, o cave, intestini, se riempite prima di liquido opaco.

Essa però non è innocua e non sempre necessaria. Rispetto alla prima caratteristica, non sempre ci si è posti correttamente il problema. Pensate che  negli anni cinquanta, nonostante la bomba atomica, non si era ancora convinti della pericolosità dei raggi ionizzanti: in effetti, oltralpe, nei negozi di scarpe, c’erano delle macchine dotate di una apertura dove si infilava il piede calzato di nuovo e da una finestra posta in alto si potevano osservare le ossa e la loro posizione  nella scarpa! Una pazzia sia per il cliente che per il personale del negozio…

La necessità, poi, di questo mezzo diagnostico applicato all’ortopedia è l’oggetto di questo articolo. Quando fare la radiografia, prima  o dopo la diagnosi? Ossia prima o dopo che si sappia di quale problema si soffre eventualmente? Per me la risposta è chiara, ma l’esperienza quotidiana evidenzia che non è una opinione sempre condivisa. Per capire meglio faccio un esempio banale: quando un’automobilista si reca in officina perché la macchina non funziona bene, cosa fa il meccanico? Apre il motore? Toglie gli ammortizzatori? Smonta i freni, svuota  i serbatoi? Per prima cosa chiede al conducente cosa succede e dopo si mette ad ascoltare o a provare il veicolo. Solo quando avrà un’idea precisa del danno interverrà sulla parte non funzionante. In medicina, è esattamente la stessa cosa: l’operatore ascolta cosa dice il paziente (o dovrebbe), dopo fa la visita (o dovrebbe) e infine fa una diagnosi.
Solo in caso di dubbio o per confermarla chiede una radiografia mirata.

La radiografia deve essere fatta solo ed esclusivamente dopo l’esame clinico che da, o dovrebbe dare, con parecchia precisione una idea del problema. Perciò se la diagnosi è sicura, perchè fare una lastra? Se la sciatica è accertata, perchè irradiare? Invece, se non c’è una diagnosi, dove fare una lastra? Su tutto il corpo? E poi dove e cosa  osservare?! Inoltre una radiografia che preceda l’esame clinico non è la garanzia di una diagnosi  corretta. In effetti quante volte sento dire che c’è una periartrite perché è visibile una calcificazione nella spalla!  Scommettiamo che  se facciamo una radiografia a 1000 persone a caso, ne troveremo decine  e decine con delle calcificazioni e che non presentano nessun dolore! Invece, quando si fanno lastre a periartriti  correttamente diagnosticate, molto spesso non si riscontrano calcificazioni!

Allora  il paziente se l’inventa il dolore? Certo che no, perché non sempre c’è correlazione fra deposito e  dolore visto che 60% delle periartiti sono psicosomatiche o senza alcuna calcificazione.  Ovviamente da non curare con euforizzanti od altri antidepressivi.
Tuttavia, personalmente ho la triste sensazione che meno si sa fare l’esame clinico e più si chiedono radiografie, con buona salute degli irradiati.

Dr. Claude Andreini – Fisioterapista

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Conosci te stesso

Nozioni elementari di patologia e cure eventuali. A cura del Dr. Claude Andreini, Fisioterapista

Prima di proporre l’approccio ad una patologia, vorrei ripulire il campo da certe espressioni ambigue:

1. il “dolore: Il dolore è un sintomo. Non è il nome di una malattia. Un trauma, una malattia, provoca dolore, perciò è sempre una conseguenza e non un punto di partenza. Infatti, quello che la gente chiama “dolore” è, nel nostro caso, un’infiammazione articolare di tipo o artritico o artrosico. Nonostante le due parole si assomiglino, esse rappresentano patologie distanti fra loro come lo sono una Ferrari ed un tagliaerba. L’artrite, o reumatismo,  è una infiammazione articolare  su base infettiva, anche se non sempre si riscontra il microbo. La malattia è grave.
L’artrosi, invece, non è una malattia, è semplicemente il risultato di un consumo fisiologico delle articolazioni.

2. il “nervo”: Spesso sento: “go un nervo fora”. Impossibile!
In effetti il nervo non è altro che un cavo elettrico che, come questo, è formato da fili contenuti in una guaina. Come il cavo, serve a fare passare corrente elettrica, dal cervello o dal midollo vertebrale ai muscoli e agli organi del corpo e viceversa. Perciò, un nervo non “va fora”… perché non si muove! Se qualcosa “va fora”, più spesso è la testa dell’Uomo.
Ciò che la gente chiama “nervo” è semplicemente il tendine di un muscolo, o meglio il legamento che tiene stretto un osso con un altro. Essi possono essere “stressati” da variazioni di posizioni abnormi delle ossa, dovute a incidenti più o meno gravi, come fratture, distorsioni o lussazioni, tutte patologie che vedremo in seguito.

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2. il “nervo”: Spesso sento: “go un nervo fora”. Impossibile!
In effetti il nervo non è altro che un cavo elettrico che, come questo, è formato da fili contenuti in una guaina. Come il cavo, serve a fare passare corrente elettrica, dal cervello o dal midollo vertebrale ai muscoli e agli organi del corpo e viceversa. Perciò, un nervo non “va fora”… perché non si muove! Se qualcosa “va fora”, più spesso è la testa dell’Uomo.
Ciò che la gente chiama “nervo” è semplicemente il tendine di un muscolo, o meglio il legamento che tiene stretto un osso con un altro. Essi possono essere “stressati” da variazioni di posizioni abnormi delle ossa, dovute a incidenti più o meno gravi, come fratture, distorsioni o lussazioni, tutte patologie che vedremo in seguito.2. il “nervo”: Spesso sento: “go un nervo fora”. Impossibile!
In effetti il nervo non è altro che un cavo elettrico che, come questo, è formato da fili contenuti in una guaina. Come il cavo, serve a fare passare corrente elettrica, dal cervello o dal midollo vertebrale ai muscoli e agli organi del corpo e viceversa. Perciò, un nervo non “va fora”… perché non si muove! Se qualcosa “va fora”, più spesso è la testa dell’Uomo.
Ciò che la gente chiama “nervo” è semplicemente il tendine di un muscolo, o meglio il legamento che tiene stretto un osso con un altro. Essi possono essere “stressati” da variazioni di posizioni abnormi delle ossa, dovute a incidenti più o meno gravi, come fratture, distorsioni o lussazioni, tutte patologie che vedremo in seguito.
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Il “parco” di Boldara – Scheda tecnica

  • Classificazione: oasi naturale, cioè zona che gode di un certo livello di protezione: sono vietate alcune attività come la caccia. Questo livello non è sufficiente per impedire lo sfruttamento edilizio ed alcune attività anche di peso antropico importante.
  • Posizione geografica: geologicamente la zona è inclusa nel bacino del Tagliamento e si estende da Portovecchio a Cintello, lungo il fiume Lemene, su una larghezza di circa 1 km.
  • Estensione: complessivamente sono circa 140 ettari di superficie.
  • Tipologia: zona di pianura con porzioni umide, lungo il fiume Lemene.
  • Origine: a tutt’oggi il parco in quanto tale non è stato ancora istituito ufficialmente, ma è stato ideato dopo accordi verbali con i proprietari dei fondi. Esso però esiste, dal 1995, con un nome diverso: “Oasi di protezione” ed è riconosciuto dalla LIPU, dal WWF, da Soroptimist e dal Lion’s Club.
  • Flora: la flora caratteristica spazia dal carice alla felce, dall’arbusto all’albero e si annida ormai laddove può, ossia nelle ristrette nicchie di territorio non sfruttato dalle coltivazioni intensive o dall’edilizia.
  • Fauna: essa è caratterizzata, dove il peso antropico non è eccessivo, da uccelli acquatici e di pianura. Attualmente, per molteplici motivi, sta cambiando, con l’arrivo o la stabilizzazione di specie più consone al litorale adriatico. La fauna ittica si limita quasi esclusivamente alla trota, spesso nemmeno indigena.
  • Aspetti significativi: è un caso pressoché unico di gestione di un territorio da parte di un gruppo di privati, senza alcun sostegno politico locale. La Provincia però ha riconosciuto l’assoluta valenza ambientale del lavoro svolto e agisce per proteggerlo.
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Un Parco a Boldara?

L’idea di un “foresto”, un lavoro da pazzi (pochi)… Un piacere per tutti (tanti).

Il mio primo intervento sull’ambiente di Boldara, che nel frattempo era diventato il mio luogo di residenza, risale all’autunno 1989, quando, stanco di vedere la zona abbandonata all’incuria ed usata palesemente come discarica abusiva incominciai, con l’aiuto della mia famiglia, la pulizia del bosco accanto al mulino. Ebbe così inizio il recupero di quel sito naturale che un giorno, forse, diventerà ufficialmente il Parco di Boldara.
Per anni, con pochi aiuti e risorse, sono stati piantati centinaia, meglio, migliaia di alberi autoctoni, arbusti e carici. Sono state così reinserite piante scomparse da decenni; ancora adesso poi, ogni anno, sono estirpati a mano rovi ed altri infestanti. Inoltre, annualmente, vengono raccolti centinaia di oggetti abbandonati disinvoltamente nell’ambiente, assieme a contenitori di vetro o di plastica. Se non lo fa l’Associazione, nessuno lo fa. Mi sono spesso chiesto il perchè di questo comportamento ed ho concluso che forse si pensa che se si nascondono le immondizie esse non esistono.
Nel 1995 poi, grazie ad un gruppo di amici portogruaresi entusiasti dell’idea e dell’iniziativa, è nata ufficialmente l’associazione “Un parco per Boldara”, riconosciuta dalla Provincia di Venezia. Alla fine degli anni ’90, l’Associazione è riuscita a far classificare un territorio di 140 ettari come “oasi naturale”.
In questo ambito  ormai serpeggia una passeggiata ecologica, curata con rigore scientifico e arricchita da schede botaniche e faunistiche e anche da testi letterari, per permettere al visitatore di capire meglio l’ambiente in cui si trova, la sua unicità, che va salvaguardata, e per guidarlo ad individuare, con certezza, i suoi abitanti naturali, animali e piante.
Nonostante questo lavoro incessante e dispendioso, in energie e denaro, sostenuto esclusivamente dall’ideatore, nonostante il posto sia visitato da turisti di tutta Europa e da centinaia di alunni, provenienti da tutto il Veneto, da Fossalta a Mirano, da Mestre a San Donà, socialmente parlando, l’Associazione è fallimentare: non è mai stata accettata né dalla popolazione né dalle istituzioni locali. Perchè?
Forse questa è un’altra delle domande che troverà risposta nella serata, che sarà dedicata alla presentazione e descrizione, mediante la proiezione di diapositive, del progetto e delle fasi della sua realizzazione, dalla nascita ad oggi. Forse troveremo poi, nel dibattito,  risposte a tanti altri interrogativi concernenti le difficoltà che hanno costellato questo tipo di volontariato e, mi auguro, cercheremo insieme le soluzioni che garantiscano il decollo, in futuro, del parco che è stato pensato a beneficio di tutta la popolazione di Gruaro.

Claude Andreini
Presidente dell’Associazione “Un Parco Per Boldara”

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A proposito di “Cultura”…

Questa volta, tocca a me tentare di definire  la cultura.
Niente enciclopedie, solo una sensazione: la cultura è l’anima di una civiltà. Come tanti ne siamo convinti, credenti o no, l’anima, se c’è, vive anche senza il corpo. Così la cultura.
I Maya sono scomparsi da secoli, i Faraoni, i Vichinghi e gli Etruschi altrettanto. Eppure, scavando la terra o avventurandosi sulle montagne, si riesce a fare un quadro preciso della loro civiltà, grazie alla loro cultura. Osservando resti del loro passato si riesce a definire il loro modo di vivere e di pensare. Ciò significa che la presenza fisica di una persona o di una popolazione non è necessaria per dare la prova di una civiltà e che la cultura di queste persone perdura nei tempi dopo la loro scomparsa. Perciò la cultura è una visione, una sensazione, una conoscenza, un bagaglio che riposa su tutto quello che è stato creato dall’uomo. Umile o raffinata,  si scopre l’influenza che può aver avuto su altre zone del pianeta, ma alla fine si intuisce la causa della propria sparizione, legata all’arrivo di un’altra cultura, nuova, inaspettata, più forte, moderna insomma.
Spesso gli storici spiegano la comparsa di nuove culture e l’eliminazione di quelle più antiche, con l’incapacità di quest’ultime di trovare un’allenata capacità di adattamento interiore a sopraggiunti elementi esterni di aggressione.
Da lì la mia convinzione che la cultura è una cosa viva, e come ogni essere vivente invecchia, decade, si immobilizza, se non riceve linfa fresca in continuo. La linfa della cultura è ricca di innovazione, di osservazione, di scambi, di tolleranza e di intelligenza. Tutti elementi di disturbo e scomodi e destabilizzanti per chi vuole accontentarsi di una cultura che chiama “tradizionale” ma che è solo mummificata.
La storia ci insegna che la cultura ha fatto balzi in avanti solo quando è stata turbata da elementi in contrasto con quella precedente. La pittura e le sue innumerevoli scuole, la filosofia e i suoi  successivi maestri, la musica, le lettere, le scienze, … Tutte le materie che costituiscono la nostra cultura  sono evolute a forza di colpi di scena, da Einstein a Picasso, da Euclide a Galileo, da Rodìn a Christò, da Nadar a Mappelthorpe.
Senza eccezione, questi geni sono partiti da una cultura tradizionale, ma solo come trampolino per fare un salto in avanti nel buio certo, ma che si squarcia per fare posto ad una luce originale. Una luce che illumina chi ha capacità e coraggio di guardarla in faccia, ma che non riesce a togliere dalle tenebre chi preferisce voltargli le spalle.
Penso che respingere questa destabilizzazione dei pensieri, delle consuetudini, dei rapporti, delle idee, dei concetti sia la causa di scontri di società, razzismo, pregiudizio, dell’ignoranza in generale. La lotta è molto aspra e molto impari. Quante persone innovano o propongono alternative accanto ad una moltitudine che, quando non distrugge la novità, rimane ferma su posizioni di comodo, “perché  tutti la pensano così”? La cultura viene alimentata  da una minoranza, ed in seguito confortata dalla moltitudine. Se la società non segue, perde la  sua anima e, un giorno o l’altro, finisce in un museo, come i Maya.

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Perchè la “comunicazione”?

“E’ il linguaggio, non le idee a unire gli uomini.”
Edgar Morin

Questa è forse la domanda che si faranno in tanti, pensando al primo argomento al quale “La Ruota” ha deciso di dedicare 3 serate, presso la sala delle associazioni di Gruaro. Una risposta esaustiva richiederebbe decine di pagine, ma, per questioni di spazio, ci limiteremo a sfiorare appenala moltitudine di argomentazioni inerenti al tema e a fare, al loro interno, una scelta che dovrebbe fornire materia di riflessione per tutti, a Gruaro e fuori.
Oggi il Paese Italia soffre di mancanza di una reale pluralità mediatica e di vettori di comunicazione indipendenti.
Questa situazione si riflette anche nella piccola realtà di Gruaro, dove non esiste alcun mezzo di comunicazione  (TV, radio, giornale locale e indipendente) che raccolga e divulghi i pensieri dei cittadini, che li spinga a mettersi assieme e li renda consapevoli del ruolo e della responsabilità che hanno, o possono avere, all’interno di una comunità. I punti d’incontro e d’aggregazione, poi, sono carenti o inesistenti. Ci sono sì i bar e le osterie,le persone si recano però, essenzialmente a scopo di relax. Indubbiamente i tempi sono cambiati, la società è mutata economicamente, la compagine sociale si è ulteriormente articolata ed anche la vita di un paese di campagna, con il mutamento di costumi ed abitudini, non può più contare, come un tempo, sulla coesione dei suoi abitanti. Ormai ognuno, puntando sulla tecnologia e trovando psicologicamente sicurezza in essa, pensa di potersela cavare da solo e ciò provoca una perdita di comunicazione, una emorragia di contatti e favorisce l’individualismo più sfrenato. La comunicazione, che una volta avveniva prettamente da persona a persona, si è quindi spersonalizzata e sembra essere rivolta quasi esclusivamente al tornaconto personale più che al bene del gruppo; ha assunto, come sua filosofia spicciola, quella del detto “mi penso par mi, ti pensa par ti!”. Questa evoluzione del modo di relazionarsi porta ad una società conflittuale, insofferente, che non capisce l’altro; in essa poi c’è anche chi trae vantaggio dall’assenza di una comunicazione fatta di confronto, non di pura trasmissione, perché è più facile controllare una massa di individui omogeneizzati che tante individualità pensanti. In questo quadro così complesso si inserisce “La Ruota”, che non ha certo la presunzione di offrire risposte e soluzioni definitive al problema, ma vuole dare un contributo alla riflessione, alla presa di coscienza di quanto esso sia presente anche tra noi, qui, a Gruaro. Di qui la decisione di analizzare più da vicino i meccanismi della comunicazione e per farlo abbiamo chiestoal dottor Ezio Ciancibello di mettere a disposizione, per riflettere insieme, le sue competenze.
Tutto questo con la speranza che questi dibattiti, e quelli futuri, coinvolgano un numero sempre maggiore di nostri concittadini.