Idrogeno, internet e Italia, le tre “I” di Rifkin per salvare il mondo
– giovedì 3 Maggio 2007L’economista statunitense Jeremy Rifkin, autore di diversi best seller come “L’era dell’accesso” e “Economia all’idrogeno”, ha presentato a Parigi la sua idea. Per realizzarla, è necessaria una sinergia tra la rete delle telecomunicazioni e l’uso dell’idrogeno, trainata dalla sensibilità europea per lo sviluppo sostenibile e la tutela ambientale.
L’Europa è, oggi, nella posizione migliore per condurre la nuova rivoluzione industriale guidata dall’energia, prodotta con fonti rinnovabili ed immagazzinata e distribuita attraverso l’idrogeno. Il quadro negativo che abbiamo davanti oggi è chiaro: riscaldamento globale, crisi petrolifera, debito del Terzo Mondo, terrorismo. Secondo l’economista, siamo alla fine dell’era del petrolio.
La cosa veramente interessante è che Rifkin, lungi da limitarsi a fornire delle previsioni sconfortanti, propone un punto di vista positivo, vede nella nuova situazione delle nuove opportunità e potenzialità: a suo avviso siamo all’inizio della terza rivoluzione industriale.
La nuova rivoluzione industriale partirebbe dalla riorganizzazione dei centri di comando e controllo delle informazioni, che oggi è sempre meno concentrato e sempre più distribuito. Basta pensare alle attuali forme di comunicazione ed elaborazione delle informazioni quali i personal computer, internet, i satelliti, il wi-fi, che oggi collegano già il 20% dell’umanità. Manca ancora (e qui risiede la rivoluzione industriale e l’opportunità possibile) l’aspetto relativo alla creazione, immagazzinamento e distribuzione di nuove forme di energia per produrre ed alimentare le nuove forme di comunicazione.
Rifkin ipotizza che questa rivoluzione partirà con le fuel cell (celle a combustibile), alimentate da idrogeno, che verranno distribuite in centinaia di milioni di personal computer, di auto, in milioni di case, in milioni di negozi e imprese di piccole medie dimensioni. Con le fuel cell ad idrogeno “verde” prodotto dall’acqua, da fonti rinnovabili e da biomasse, inizierà una terza rivoluzione che partirà dal basso, perché ognuno di noi, come in internet, diventerà fornitore ed utilizzatore di energia e di idee. Una rete energetica di questo genere è già stata sperimentata con successo da IBM in Germania e USA.
Infine, secondo Rifkin, l’Europa è oggi nella condizione ideale per sviluppare questo nuovo modello, e in Italia le potenzialità (partendo dal basso, dalle province e dalle regioni) per costruire un “bottom-up network” energetico sono enormi, e in grado di generare nel lungo periodo (nei prossimi 20 anni) milioni di nuovi posti di lavoro.
(riduzione da “La Repubblica” del 3 ottobre 2005)
[print_link]
A proposito di “Cultura”…
Io penso che la cultura sia un grande tesoro, una enorme fortuna che tutti noi abbiamo a disposizione. È come avere un deposito dell’insieme dei concetti, codificati in molti modi, che ci danno la possibilità di interagire con efficacia, in maniera innovativa, utilmente, con gli eventi esterni ed interni a noi stessi. I modi con cui questi concetti sono codificati dalla cultura sono molto vari: da forme più logiche ad altre più intuitive, una gamma di modalità che va dall’arte figurativa alla musica, dalle lettere alla scienza. Questi concetti ci permettono di ottenere dei risultati anche pratici diversi o migliori a parità di impegno profuso. Effettivamente io intendo la cultura come condivisione della conoscenza, che porta ad ulteriori approfondimenti in chi entra in contatto con essa: è la possibilità di fare luce in situazioni altrimenti oscure, di trovare un percorso senza la necessità di procedere a tentoni; mette in condizione di “partire tutti dalla stessa posizione”, di avere, potenzialmente, le stesse possibilità nel percorso della vita.
Giudico invece negativo l’uso dei concetti e delle conoscenze, e la loro diffusione, in modo “fondamentalista”, ovvero quando il sistema di conoscenze è proposto, o addirittura imposto, come l’unica verità, senza possibilità di dibattito e verifica, ed ogni altro punto di vista è bollato come “falso”. La cultura deve servire ad aprirci gli occhi, ad estendere i nostri punti di vista, non a renderci più ciechi!
Sono quindi convinto che sia bene che ognuno di noi si sforzi di diffondere le sue e le altrui idee, per contribuire al percorso che egli stesso ha intrapreso e, data l’interdipendenza che io vedo tra tutti noi, degli altri.
A questo proposito propongo un’ultima riflessione sulla resistenza alla diffusione di idee per il timore di perderne “l’esclusiva”. Io penso che ci si possa tranquillizzare per il fatto che le idee sono sempre collegate anche alle persone e al loro modo di diffonderle e di metterle in pratica, cosa che ognuno fa in modo personale, con la sua impronta unica: questa nostra unicità ci garantisce dalla perdita. È altresì vero che la condivisione delle idee sottintende una certa disponibilità a rivederle e modificarle con il contributo di quelli a cui le diffondiamo, e mal si adatta a situazioni statiche, a persone che vogliono mantenere posizioni acquisite in modo rigido. Ma quest’ultimo atteggiamento, seppure spontaneo e fonte di apparente sicurezza, non è “vincente” a lungo termine: l’esterno e l’interno di noi stessi non è statico, e allora è più realistico ed utile considerare il cambiamento come un aspetto da assecondare, a cui essere almeno in parte disposti, piuttosto che, ciecamente, come un elemento da contrastare.
[print_link]