Persone di ieri: la Diana Furlana
Penso che in ogni paese ci siano stati e ci siano dei personaggi per così dire “originali”, marginali e a volte emarginati, dai comportamenti un po’ fuori dagli schemi. Questo si verificava naturalmente anche a Gruaro e negli anni ’50 e ’60 una in particolare di queste persone, perché si trattava di una donna, aveva acceso la nostra fantasia di bambini.
Abitava di fronte alla latteria di Bagnara, in una casupola tirata su sommariamente con pochi mattoni e tavole di legno, con accanto un grande fico che l’avvolgeva tutta, anzi meglio l’abbracciava.
Nei pomeriggi di primavera, dopo la dottrina, noi bambini ci ritrovavamo a giocare insieme in piena libertà senza limiti di spazio e noi ci intrufolavamo dovunque, ogni luogo andava bene; un giorno decidemmo di andare a vedere da vicino quella casa così strana; arrivati nel cortile, fummo presi da una irrefrenabile curiosità di entrare e di vedere cosa ci fosse dentro.
La paura era tanta, ma maggiore era la sfida con noi stessi, il desiderio di metterci alla prova.
“Chi ca a il coragiu da zi lì dentru a no l’è un fifon”
Non aspettavamo altro, i coraggiosi non mancavano e noi femminucce non ci tiravamo certamente indietro: “Beh,noi no vin paura di sicur…però seo sicurs che lì dentru a no l’è nessun? E di chi ca ei sta ciasa?”
“Mi lu sai, ei dela Diana Furlana.”
“Sì, propiu dela Diana Furlana..e a disin ca sei ‘na stria.”
“Sì, figurati ‘na stria! Allora dinu dentru sì o no?”
“Mi vai par prin…”
E seguendo l’eroe entrammo tutti, furtivamente, con qualche timore.
Il pavimento della stanza che ci accolse era in terra battuta; l’arredamento era costituto da una piccola stufa su cui era posato un bricco tutto annerito dal fumo, da un tavolino coperto da una tovaglia ricamata a grosse rose rosse, da due sedie e da un letto sfatto, se così si poteva chiamare quella rete appoggiata su blocchi di cemento, con un materasso a righe bianche e marrone, riempito di foglie di mais, su cui riposava un bellissimo gatto nero, sopra una coperta bella pulita a fiori rossi e gialli.
Alle finestre erano appese, in sostituzione di alcuni vetri mancanti, coperte lavorate all’uncinetto con un motivo di piccoli riquadri di svariati colori.
La luce che filtrava attraverso i trafori di quei ricami era colorata e donava un’atmosfera strana e misteriosa alla stanza.
Contribuiva molto ad alimentare questa sensazione l’odore presente nell’ambiente, un misto di fumo e grasso, mescolato al profumo della lavanda che pendeva in enormi mazzi dalle travi del soffitto.
Nell’armadio erano appesi degli abiti, che a noi sembravano molto strani, ma erano semplicemente fuori moda: erano bellissimi, avevano pizzi, velluti fiorati ed avevano tutti gonne molto ampie.
Ma poi vidi lo scialle appeso al muro e me ne innamorai. Era bellissimo, con lunghe frange di seta nera che mettevano in risalto il pizzo con cui era fatto.
Altre cose in quella stanza meritavano di essere notate, ma non le vedemmo perché sulla porta era apparsa lei, la Diana Furlana, piccola, minuta, con lunghi capelli neri e lucidi, coperti in parte da un fazzoletto di seta legato stretto stretto sotto il mento; la sua faccia aveva tratti gentili, gli occhi erano neri e buoni. Teneva la testa reclinata da un lato, come le persone timide e schive. I suoi indumenti erano di una taglia più grande: indossava una gonna ampia, lunga fino alle caviglie, a fiori colorati su fondo nero, stretta in vita da una alta cintura rossa. L’orlo della gonna era irregolare, a “piciandulon” insomma.
Sulle piccole spalle era appoggiato uno scialle, quasi uguale a quello che avevo ammirato appeso al muro e che riusciva quasi a coprirla tutta.
Le scarpe erano di pelle nera, con cinturino e grossi tacchi alti.
Rimase sulla porta, immobile, muta e ci guardava…
I ragazzi, dopo un momento di esitazione, scapparono e, passandole davanti di corsa, quasi la fecero cadere.
Lei sorrise. Anche le bambine scapparono, io rimasi per ultima con la mia amica del cuore e guardandola negli occhi le passammo davanti e, sottovoce, le chiedemmo scusa. Lei si strinse nel suo scialle, nascondendovi la faccia e con quella specie di abbraccio ci fece capire che non era arrabbiata.
Abitava da sola la Diana Furlana e girava per il paese con la sua bicicletta, sempre vestita con abiti fiorati e avvolta nei suoi scialli e, mentre pedalava, parlava da sola e la gente diceva che era un po’ matta, ma per quello che io so non ha mai fatto male nemmeno ad una mosca.
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