Realtà locale Archivi

0

Recenti sviluppi demografici ed economici nel Veneto Orientale

Nel primo decennio di questo millennio, il territorio del Veneto Orientale ha conosciuto una nuova fase di espansione significativa della popolazione. I Comuni che sono stati interessati dalla dinamica più intensa di crescita demografica sono Ceggia, Pramaggiore, Noventa di  Piave, Annone Veneto, San Donà di Piave. Hanno un tratto evidente che li accomuna: si tratta sempre di Comuni posti nella parte nord dell’area, al confine con le aree industrializzate del trevigiano e del pordenonese. Il litorale, con i Comuni di San Michele, Caorle, Eraclea e Iesolo, non ha evidenziato una dinamica differenziata o trainante. I luoghi del turismo non hanno espresso una capacità attrattiva, per gli insediamenti stabili, più accentuata rispetto alla media dell’area.

Tab. 1 – Popolazione residente a fine anno nei comuni del Veneto Orientale:
TOTALE RESIDENTI DI CUI STRANIERI
1981 1991 2001 2009 2001 2009
Annone Veneto 3.309 3.237 3.490 3.961 139 578
Caorle 11.485 11.129 11.342 12.016 350 972
Cinto Caomaggiore 3.129 3.130 3.168 3.299 55 255
Concordia Sagittaria 10.373 10.550 10.492 10.684 106 443
Fossalta di Portogruaro 5.649 5.691 5.843 6.051 45 309
Gruaro 2.762 2.698 2.690 2.823 36 148
Portogruaro 24.412 24.733 24.571 25.406 318 1.728
Pramaggiore 3.298 3.473 3.985 4.710 121 718
San Michele al Tagliamento 11.956 11.887 11.441 12.040 249 897
Santo Stino di Livenza 11.165 11.464 11.763 13.027 186 1.294
Teglio Veneto 2.040 1.962 1.979 2.297 13 121
Tot. Portogruarese 89.578 89.954 90.764 96.314 1.618 7.463
Ceggia 5.086 5.011 5.096 6.201 127 669
Eraclea 11.462 11.838 12.460 12.844 230 885
Fossalta di Piave 3.746 3.820 4.022 4.247 105 416
Jesolo 22.018 22.146 22.698 25.232 710 2.615
Meolo 5.115 5.262 6.054 6.476 125 655
Musile di Piave 9.494 9.732 10.249 11.504 188 1.308
Noventa di Piave 5.349 5.728 5.952 6.721 192 805
San Donà di Piave 32.009 33.406 35.417 41.247 741 4.349
Torre di Mosto 3.735 3.780 4.302 4.743 76 325
Tot. Sandonatese 98.014 100.723 106.250 119.215 2.494 12.027
Provincia di Venezia 838.199 819.607 809.586 858.915 13.888 69.976
Veneto 4.343.283 4.379.932 4.527.694 4.912.438 141.160 480.616
Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat-www.demo.istat.it

Negli ultimi 10 anni la popolazione del territorio è cresciuta di circa 5.000 abitanti nel Portogruarese e di circa 13.000 nel Sandonatese. E’ particolarmente interessante analizzare la quota di tale crescita attribuibile agli stranieri. Risulta evidente che molti Comuni, senza l’apporto degli stranieri, sarebbero diminuiti nel numero di abitanti. E in ogni caso la quota preponderante della crescita della popolazione è determinata dagli stranieri: uniche eccezioni sono Ceggia e Teglio Veneto, con una crescita della componente italiana superiore al 50% del totale.
Questo trend di incremento degli stranieri è del tutto analogo a quanto accaduto nel contesto regionale più ampio: la forte crescita demografica è stata ovunque determinata dalle immigrazioni dall’estero, non dalla ripresa della fecondità né da consistenti fenomeni di attrazione da altre aree regionali o nazionali. Anche la precedente fase di forte crescita demografica, quella degli anni ’30 attivata dall’antropizzazione delle aree bonificate, era stata guidata dalle immigrazioni ma in quel caso si trattava soprattutto di lavoratori vicentini o padovani.

Queste tendenze demografiche espansive si scontrano ora con l’impatto della  crisi economica attivata nel 2007, esplosa nel 2008 e tuttora in corso, con prospettive di superamento non certo a breve. La fase di crisi sta avendo anche l’effetto di “raffreddare”, almeno in parte, la dinamica di crescita della popolazione. I vantaggi localizzativi e le opportunità residenziali possono ancora essere attraenti ma si sono rarefatte le possibilità occupazionali.
Il nostro territorio, non avendo un grande tessuto produttivo industriale (anche se ha subito comunque alcune chiusure aziendali importanti: Zignago in primis) è stato raggiunto dall’onda delle difficoltà economiche a trovare sbocchi per le merci prodotte in maniera indiretta e ritardata. Ma comunque i segni delle difficoltà sono ben visibili: secondo i dati dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, nel 2009 e 2010 si sono registrate mediamente circa 3.000 assunzioni in meno rispetto al 2007. Infatti da oltre 24.000 si è scesi a circa 21.000. In particolare si sono ridotte le assunzioni nell’industria (da 3.400 a 1.500) e nelle costruzioni (da 1.500 a 900). Più in generale si sono ridotte le assunzioni “importanti” da parte delle imprese e delle istituzioni pubbliche, quelle a tempo indeterminato e quindi con le maggiori potenzialità di durata e di stabilizzazione: da circa 3.700 nel 2007 a 1.500 nel 2010.
Rimane certo ancora consistente (per fortuna) lo sbocco assicurato dal lavoro stagionale nel turismo: anche nel 2009 e nel 2010 le assunzioni a tempo determinato e con contratti di somministrazione sono state più di 16.000, concentrate soprattutto nei comparti dei servizi collegati all’ospitalità (ricezione, ristorazione etc.). Ma è evidente che ciò non è sufficiente a porre su basi solide le prospettive future del territorio.
Infatti non c’è dubbio che le “vocazioni” del Veneto Orientale restano “vocazioni difficili” da sviluppare, e tanto più lo sono in un contesto economico generale contrassegnato dall’incertezza su scala globale e dalle difficoltà di finanza pubblica su scala nazionale. La pressione esterna, la ricollocazione geopolitica – con gli impatti che ne discendono in termini di attraversamenti Est-Ovest – nonché le politiche in atto nel settore dei trasporti spingono ad un’assimilazione crescente della nostra area con  le forme insediative della “città diffusa” ad intensificata antropizzazione.

Può tutto questo essere declinato in modo virtuoso, con una differenziazione delle funzioni territoriali in grado di salvaguardare le specificità locali pur riconoscendone le potenzialità di sviluppo (in primis l’ambiente che ha regalato al Veneto Orientale l’opportunità di avere 2,5 ml. di turisti all’anno con 16 ml. di presenze, vale a dire qualcosa attorno al 30% delle presenze totali registrate in Veneto)? E’ la strada auspicabile ma non certamente la più facile né la più ovvia.

[print_link]

Tab. 1 – Popolazione residente a fine anno nei comuni del Veneto Orientale:

TOTALE RESIDENTI

DI CUI STRANIERI

1981

1991

2001

2009

2001

2009

Annone Veneto

3.309

3.237

3.490

3.961

139

578

Caorle

11.485

11.129

11.342

12.016

350

972

Cinto Caomaggiore

3.129

3.130

3.168

3.299

55

255

Concordia Sagittaria

10.373

10.550

10.492

10.684

106

443

Fossalta di Portogruaro

5.649

5.691

5.843

6.051

45

309

Gruaro

2.762

2.698

2.690

2.823

36

148

Portogruaro

24.412

24.733

24.571

25.406

318

1.728

Pramaggiore

3.298

3.473

3.985

4.710

121

718

San Michele al Tagliamento

11.956

11.887

11.441

12.040

249

897

Santo Stino di Livenza

11.165

11.464

11.763

13.027

186

1.294

Teglio Veneto

2.040

1.962

1.979

2.297

13

121

Tot. Portogruarese

89.578

89.954

90.764

96.314

1.618

7.463

Ceggia

5.086

5.011

5.096

6.201

127

669

Eraclea

11.462

11.838

12.460

12.844

230

885

Fossalta di Piave

3.746

3.820

4.022

4.247

105

416

Jesolo

22.018

22.146

22.698

25.232

710

2.615

Meolo

5.115

5.262

6.054

6.476

125

655

Musile di Piave

9.494

9.732

10.249

11.504

188

1.308

Noventa di Piave

5.349

5.728

5.952

6.721

192

805

San Donà di Piave

32.009

33.406

35.417

41.247

741

4.349

Torre di Mosto

3.735

3.780

4.302

4.743

76

325

Tot. Sandonatese

98.014

100.723

106.250

119.215

2.494

12.027

Provincia di Venezia

838.199

819.607

809.586

858.915

13.888

69.976

Veneto

4.343.283

4.379.932

4.527.694

4.912.438

141.160

480.616

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat-www.demo.istat.it

0

Quando un hobby diventa un lavoro

Non capita molto spesso di parlare di qualcuno che è riuscito a fare di un suo hobby un lavoro, ma questo è il caso di Daniela Zerbini, nostra concittadina, che ha dato vita, più di trent’anni fa, a Portogruaro, ad una attività commerciale ed artigianale insieme, “Tricot filati”, sfruttando una sua passione, quella del lavoro a maglia, che ha coltivato fin da bambina.

Questa suo interesse viene da lontano, si delinea e sviluppa all’interno della famiglia, dove la madre, valente sarta, incoraggia Daniela e Patrizia, l’altra figlia, a fare, a creare con le proprie mani. E’ naturale che le due sorelle, forti dell’esempio materno, si indirizzino dapprima verso il cucito e realizzino, come del resto molte loro coetanee, i vestitini per le bambole, anche se a differenza di quest’ultime, non si limitano a singoli pezzi, ma creano intere collezioni che poi mostrano, o meglio “presentano” alle loro amiche in estemporanee sfilate, lasciandole a bocca aperta.
Anche il padre, ricorda Daniela, pur svolgendo un lavoro impiegatizio, coltivava una vera e propria passione per il disegno e la pittura ed era, a suo dire, molto creativo e costituiva un modello di riferimento.

Daniela rievoca con particolare piacere questi momenti della sua infanzia e della sua educazione, affidata, dopo la scomparsa prematura del padre, completamente alla madre che incoraggiava il fare delle figlie e che adottava un metodo, a suo avviso molto efficace per sollecitare la loro curiosità e far emergere nuovi interessi che partivano sì dal cucito, ma spaziavano in molti campi, dalla maglia, all’uncinetto in primis, alla realizzazione di piccoli oggetti per la casa: lei si limitava a dare i primi rudimenti, poi diceva che il resto veniva da sé, che bisognava un po’arrangiarsi, “rubare con gli occhi”, provare insomma, incoraggiando così l’intraprendenza.
E questo è l’insegnamento che Daniela non ha più dimenticato e che ha applicato quando, conseguita la maturità all’Istituto tecnico commerciale, quasi casualmente una cliente della madre, vedendola alle prese con una liseuse ed ammirandone la perizia esecutiva e l’originalità, le commissiona una giacca; Daniela accetta con entusiasmo, si mette all’opera e realizza, lo ricorda ancora nitidamente, un golf bianco lavorato a onde. Da quel momento non si è più fermata: in seguito, assieme alla sorella, ha acquistato una macchina da maglieria ed ha aperto il negozio di filati, già citato, a Portogruaro.

Era l’84; la collaborazione con la sorella è durata 8 anni, poi Daniela ha continuato da sola. Ancora oggi lei si dice contenta della sua scelta e proprio la convinzione di aver fatto la cosa giusta, più adatta per lei, le ha fatto superare le difficoltà che si sono inevitabilmente presentate, ed affrontare con entusiasmo un ritmo di lavoro a volte massacrante. Le motivazioni che trova poi nella sua attività sono profonde per cui ci tiene a ribadire che il lavorare a maglia non è solo legato al fattore moda, ma rientra e si ricollega ad una cultura del fare, che si è evoluta nel tempo di pari passo con la storia dell’uomo ed è passata dalla realizzazione di capi di semplice fattura, con la funzione primaria di coprire, ad altri più elaborati, basati su punti sempre più preziosi, per approdare recentemente ad una ricerca e sperimentazione su materiali nuovi o sulla rielaborazione e riscoperta di quelli antichi.
E’ proprio questa convinzione che il suo lavoro attenga ad un fatto culturale e rientri in un certo modo di vedere, pensare il mondo ed agire, che spinge Daniela a trasmettere questo suo sapere a quante più persone possibile, organizzando corsi personalizzati, dove ciascuno può trovare le risposte a sue necessità, o in maniera più informale e gratuita, aiutando le clienti ad eseguire i vari capi e a superare le difficoltà tecniche.
Rimanendo in questo ambito, Daniela ha un suo sogno o progetto: organizzare dei corsi di maglia all’interno delle scuole, in modo che un patrimonio di abilità e sapienza antiche non vada disperso e dimenticato.

Ciò che colpisce poi, guardando i capi realizzati, tutti capi unici peraltro, oltre che l’abilità e la precisione tecniche messe in campo è anche e soprattutto la creatività, a tratti stupefacente, e che fa pensare ad un prodotto artistico oltre che artigianale.
Questo gusto per la decorazione, il colore, l’accostamento di materiali diversi, le soluzioni originali, lei li esprime anche nell’allestimento delle vetrine per le quali ha ricevuto vari riconoscimenti: in particolare 2 premi a Portogruaro e 2 a Pordenone, tra cui un I° premio sul tema dell’estate. Concludendo il nostro incontro, Daniela ricorda che il criterio che la guida nel suo lavoro, e nel suo rapporto con le clienti, oltre all’immancabile entusiasmo, non è tanto l’adesione acritica e pedissequa alla moda del momento, quanto lo sforzo  di avvicinarsi il più possibile alla personalità del soggetto che ha davanti, di rispondere alle sue esigenze profonde, il che la porta il più delle volte a rielaborare in chiave personale quanto dettato dagli stilisti. A questo punto non resta che visitare di persona il negozio – atelier “Tricot filati”, situato in via Garibaldi n.31 a Portogruaro, allo scopo di verificare “de visu” quanto letto; penso che non resterete delusi.
Buona fortuna, Daniela.

[print_link]

0

Aquamater

ASSOCIAZIONE CULTURALE RIZOO
con la promozione del
COMUNE DI FOSSALTA DI PORTOGRUARO

PRESENTA

AQUAMATER

AQUAMATER è una celebrazione dell’acqua, una riflessione declinata attraverso diverse proposte culturali che fondono parole e immagini, scienza e arte, in conferenze, mostre (pittura, fotografia, video-arte, installazioni), concerti e spettacoli teatrali. Luogo e spazio della manifestazione è Villa Mocenigo di Alvisopoli, ideale contenitore sensoriale per il suo naturale rapporto con l’acqua.

INAUGURAZIONE SABATO 14 MAGGIO 2011 ORE 18:00
Villa Mocenigo – Alvisopoli di Fossalta di Portogruaro

informazioni nei file allegati e su www.rizoo.it


MOSTRE DAL 14 MAGGIO AL 5 GIUGNO 2011

GLI ARTISTI:

108, Alessandria

Elisabetta Di Sopra, Venezia

FFRame, Portogruaro (Ve)

Opla+ (giorgio chiarello, marco pasian), Portogruaro (Ve)

ENZIMA (Alessandro Coccolo, Alessandro Moro, Cristina Morettin, Faiza Cavallaro, Giulia Tambone, Marco Cecchinato, Marco Doro, Matteo Bortolussi, Enrico Bernardini, Sara Romanin, Gianluca Falcomer, Luca Pellegrini, Simone Falcomer), Portogruaro (Ve)

&A! (progetto itinerante per la libera sperimentazione artistica di interpretazione del senso e del luogo, che in questa occasione vede il coinvolgimento di: Carlo Pavan, Nicola Pavan, Enrico Sandonà, Marco Sandonà, Rizoo)

Luca Bidoli, Gruaro (Ve)

Maba degli alberi, Bosco Friuli

Marco Cecotto, Trieste

Pierpaolo Febbo, Portogruaro (Ve)

Riccardo Casagrande “Sammo”, Conegliano (Tv)

Roberto Sartor e Chiara Pecenik, Venezia

Silvia Lepore e Sandro Pellarin, Portogruaro (Ve)

Tellas, Cagliari

Valentina Brunello, Gorizia

ORARI DI APERTURA:
venerdì dalle 14.30 alle 19.30
sabato, domenica e 2 giugno dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 14.30 alle 19.30


MUSICA

VENERDI’ 20 MAGGIO DALLE ORE 21:00 (in caso di pioggia il concerto verrà annullato)

AQUALIVE!

Opening:

dj set live Marco C.

On stage:

Vectigal

Diamond Dogs

Real Illusion

Il Vescovo e il Ciarlatano


TEATRO

SABATO 28 MAGGIO ORE 21:00

ARACATI
Il vento porterà

Progetto di: OfficineDuende
regia: Roberta Ruggiero, Marco Sorzio
Scuola di Teatro – Centro RUA
danza: Laura Vio

Nel nordest del Brasile c’è un vento – l’Aracati – che nasce dal mare e , dove passa, lascia storie a chi vuole ascoltare.
Ne abbiamo immaginate alcune; le abbiamo costruite usando per materia l’aria di un canto e la carezza di una danza.
Sono racconti fragili, e basta poco per sfaldarli – un soffio, e poi sono di nuovo nel vento.

MERCOLEDI’ 25 MAGGIO ORE 21:00

Conversazione sul teatro contemporaneo e piccola guida allo spettacolo Aratati presso la BIBLIOTECA DI FOSSALTA DI PORTOGRUARO

VENERDI’ 3 GIUGNO ORE 21:00

PATANOSTRADA / LA TERRA

di Sandra Mangini e Stefano Rota
con Stefano Rota e Max Bazzana
regia Sandra Mangini e Stefano Rota

Patanostrada, la Terra è un racconto comico e poetico, popolare e contemporaneo, dedicato alla cultura della Terra.
Si racconta l’epopea dei braccianti veneti che parteciparono alla Grande Bonifica Integrale.


CONFERENZE

DOMENICA 22 MAGGIO ORE 10:30

LA GESTIONE DELL’ACQUA TRA SCIENZA E SOLIDARIETA’

Relatori:

Prof. Alessio Alessandrini (Presidente di Acque del Basso Livenza S.p.A.)

Ing. Giancarlo De Carlo (Direttore Generale di Acque del Basso Livenza S.p.A.)

DOMENICA 29 MAGGIO ORE 10:30

ACQUA DA ROTTAMARE La ricerca applicata al recupero dai reflui di scarico

Relatore:

Diego Lorenzon (Presidente C.A.I.B.T. S.p.A)

DOMENICA 5 GIUGNO ORE 10:30

LA SPERANZA IN UNA GOCCIA La gestione delle risorse idriche in Africa orientale

Relatori:

Associazione Giovanni Lorenzin

Dott.ssa Rachele Lodi

  Manifesto Aquamater, 14 maggio 2011 (244,2 KiB, 3 download)
Non hai il permesso di scaricare il file.

  Comunicato stampa Aquamater (24,1 KiB, 19 download)
Non hai il permesso di scaricare il file.

[print_link]

1

Persone di ieri: la Diana Furlana

Penso che in ogni paese ci siano  stati e ci siano dei personaggi per così dire “originali”, marginali e a volte emarginati, dai comportamenti un po’ fuori dagli schemi. Questo si  verificava naturalmente anche a Gruaro e negli anni ’50 e ’60 una in particolare di queste persone, perché si trattava di una donna, aveva acceso la nostra fantasia di bambini.

Abitava di fronte alla latteria di Bagnara, in una casupola tirata su sommariamente con pochi mattoni e tavole di legno, con accanto un grande fico che l’avvolgeva tutta, anzi meglio l’abbracciava.
Nei pomeriggi di primavera, dopo la dottrina, noi bambini ci ritrovavamo a giocare insieme in piena libertà senza limiti di spazio e noi ci intrufolavamo dovunque, ogni luogo andava bene; un giorno decidemmo di andare a vedere da vicino quella casa così strana; arrivati nel cortile, fummo presi da una irrefrenabile curiosità di entrare e di vedere cosa ci fosse dentro.

La paura era tanta, ma maggiore era la sfida con noi stessi, il desiderio di metterci alla prova.
“Chi ca a il coragiu da zi lì dentru a no l’è un fifon”
Non aspettavamo altro, i coraggiosi non mancavano e noi femminucce non ci tiravamo certamente indietro: “Beh,noi no vin paura di sicur…però seo sicurs che lì dentru a no l’è nessun? E di chi ca ei sta ciasa?”
“Mi lu sai, ei dela Diana Furlana.”
“Sì, propiu dela Diana Furlana..e a disin ca sei ‘na stria.”
“Sì, figurati ‘na stria! Allora dinu dentru sì o no?”
“Mi vai par prin…”
E seguendo l’eroe entrammo tutti, furtivamente, con qualche timore.

Il pavimento della stanza che ci accolse era in terra battuta; l’arredamento era costituto da una piccola stufa su cui era posato un bricco tutto annerito dal fumo, da un tavolino coperto da una tovaglia ricamata a grosse rose rosse, da due sedie e da un letto sfatto, se così si poteva chiamare quella rete appoggiata su blocchi di cemento, con un materasso a righe bianche e marrone, riempito di foglie di mais, su cui riposava un bellissimo gatto nero, sopra una coperta bella pulita a fiori rossi e gialli.
Alle finestre erano appese, in sostituzione di alcuni vetri mancanti, coperte lavorate all’uncinetto con un motivo di piccoli riquadri di svariati colori.
La luce che filtrava attraverso i trafori di quei ricami era colorata e donava un’atmosfera strana e misteriosa alla stanza.
Contribuiva molto ad alimentare questa sensazione l’odore presente nell’ambiente, un misto di fumo e grasso, mescolato al profumo della lavanda che pendeva in enormi mazzi dalle travi del soffitto.
Nell’armadio erano appesi degli abiti, che a noi sembravano molto strani, ma erano semplicemente fuori moda: erano bellissimi, avevano pizzi, velluti fiorati ed avevano tutti gonne molto ampie.
Ma poi vidi lo scialle appeso al muro e me ne innamorai. Era bellissimo, con lunghe frange di seta nera che mettevano in risalto il pizzo con cui era fatto.

Altre cose in quella stanza meritavano di essere notate, ma non le vedemmo perché sulla porta era apparsa lei, la Diana Furlana, piccola, minuta, con lunghi capelli neri e lucidi, coperti in parte da un fazzoletto di seta legato stretto stretto sotto il mento; la sua faccia aveva tratti gentili, gli occhi erano neri e buoni. Teneva la testa reclinata da un lato, come le persone timide e schive. I suoi indumenti erano di una taglia più grande: indossava una gonna ampia, lunga fino alle caviglie, a fiori colorati su fondo nero, stretta in vita da una alta cintura rossa. L’orlo della gonna era irregolare, a “piciandulon” insomma.
Sulle piccole spalle era appoggiato uno scialle, quasi uguale a quello che avevo ammirato appeso al muro e che riusciva quasi a coprirla tutta.
Le scarpe erano di pelle nera, con cinturino e grossi tacchi alti.
Rimase sulla porta, immobile, muta e ci guardava…

I ragazzi, dopo un momento di esitazione, scapparono e, passandole davanti di corsa, quasi la fecero cadere.
Lei sorrise. Anche le bambine scapparono, io rimasi per ultima con la mia amica del cuore e guardandola negli occhi le passammo davanti e, sottovoce, le chiedemmo scusa. Lei si strinse nel suo scialle, nascondendovi la faccia e con quella specie di abbraccio ci fece capire che non era arrabbiata.

Abitava da sola la Diana Furlana e girava per il paese con la sua bicicletta, sempre vestita con abiti fiorati e avvolta nei suoi scialli e, mentre pedalava, parlava da sola e la gente diceva che era un po’ matta, ma per quello che io so non ha mai fatto male nemmeno ad una mosca.

[print_link]

0

Tempo di sagra

Che momento stupendo la sagra, specialmente se hai 9 anni. Siamo nel 1957, io ero, come già detto, una bambina e ricordo che la sagra a Bagnara incominciava con la processione del patrono, San Liberale e cadeva sempre la prima domenica di luglio ed era chiamata: La sagra dei giambars.

Quanta gente c’era a seguire la processione in quei pomeriggi caldi, d’estate. C’era il paese intero e tutti, tra una preghiera ed una litania, ammiravano le ragazze; anch’io non riuscivo a distogliere gli occhi da quelle fanciulle che conoscevo bene, e che in quel giorno di festa si trasformavano e sfoggiavano degli abiti stupendi ai miei occhi, alla moda, che in realtà non avevano niente di straordinario: corpetto aderente, colletto bianco, gonna larga, a ruota intera, cintura in tinta stretta in vita. Erano confezionati con la stoffa in voga a quel tempo, il nailon, ed erano perlopiù a fiori. La stoffa era leggerissima e trasparente e per mimetizzare quella trasparenza, sotto si metteva una sottogonna, bianca, con tanti volants di sangallo, inamidata che rimaneva rigida  che dava volume al vestito che, così sostenuto, si allargava a corolla con un effetto di grande grazia ed armonia. Le scarpe poi, anzi i sandali, erano di solito bianchi, con i tacchi a spillo, alti almeno 10, 12 cm. L’abbigliamento era completato da una borsetta anch’essa bianca e da guanti in pizzo, bianchi. Non mancava un golfino fatto a ferri, per coprire le spalle, visto che in chiesa non si entrava con le braccia scoperte.
Alle volte un nastro adornava la cascata di capelli, lunghi, ricci, castani, biondi, neri, naturali, non tinti. Erano così le ragazze di quel tempo, belle, femminili ed eleganti.

Finita la processione arrivava Ceci, mitico, il gelataio; arrivava da Sesto al Reghena con quella strana bicicletta, corredata di carrettino. Lui, con dieci lire o un uovo, ti dava un cono di gelato, buonissimo, fresco, che profumava di vaniglia e cioccolato e ci aggiungeva anche la palettina in legno che noi ragazzi conservavamo gelosamente, per giocare, per il resto dell’estate. Finita la processione ed il rito del gelato, la piazza si svuotava, perché tutti andavano a cena, ma ancor prima che il sole tramontasse, essa si riempiva di nuovo perché incominciava il ballo su “vasta piattaforma” o meglio ancora, “piantaforma” come dicevamo noi.

Naturalmente eravamo noi bambini a collaudarla anche se regolarmente venivamo mandati via con un: “Nu si puol! Deit via. No vedeo che vin pena butat par tiara la cera?”. Noi ubbidivamo a malincuore, ma avevamo avuto la nostra piccola soddisfazione di essere stati i primi. A volte capitava che io chiudessi gli occhi e fingessi di danzare come le ballerine. In quel momento mi giungevano al naso, mescolati insieme, i più svariati odori: quello di rose, di cera, di sapone, di brillantina (perché non c’era uomo o ragazzo che non se la mettesse a quei tempi sui capelli che poi ravviava con un pettinino estratto dal taschino) e anche di stalla, visto che era estate e che le corti di letame erano in fermento e che ogni casa aveva la sua.
A seconda di come tirasse il vento le zaffate di letame variavano di intensità… ma era tutto assolutamente normale e naturale.

1

Alla fine di un lungo viaggio… c’è sempre un viaggio da ricominciare

Che prima o poi mi sarei occupata in qualche modo di politica l’ho sempre saputo.

Per me politica significa vivere la vita cercando un significato, non lasciarsi sorprendere dagli eventi e soprattutto legarli ad un contesto, non accontentarsi del detto o scritto ma andare alle radici dell’informazione, non considerarsi come unico essere vivente del globo ma un insieme, dove la partecipazione attiva permette la crescita e a volte anche la sopravvivenza.

Sono diventata coordinatrice del Partito Democratico di Gruaro e ho trovato un gruppo di persone che mi hanno insegnato tanto, mi hanno incoraggiato e sostenuto, fino a propormi il ruolo di candidato sindaco. Persone che hanno lavorato per la comunità presenziando senza mai un’assenza ai consigli comunali, persone che hanno dato la loro esperienza per farmi crescere senza mai guardare al passato. Ringrazio tre persone per tutti. Sante, la memoria storica di Gruaro, preparatissimo amministratore, mi ha sostenuto e tuttora mi sostiene nel duro ruolo dell’opposizione. Gino, mi ha insegnato la necessità della resistenza, mi ha raccontato delle eterne e fumose riunioni, quelle dove si vinceva per lo sfinimento della controparte, a lui alla sua cultura e al suo “mondo schifoso” devo molto. E, infine, ma non per importanza, Luisella, una combattente, una donna che vive la politica con passione e lealtà.

Il periodo delle elezioni è stato intenso, totalizzante. Fatto di tante riunioni con la mia lista, di tentate alleanze e di presenze a manifestazioni con gli altri candidati sindaci dei Paesi vicini.
Ma soprattutto è stato un periodo dedicato all’incontro di più di 100 famiglie, un mese di conoscenza dei miei concittadini, senza pensare alle appartenze, con la convinzione che il comune non si amministra con i partiti ma con le persone.
Mi sono trovata a parlare di anziani e dei loro bisogni, sotto ad un albero di tiglio bevendo un bicchiere di vino, ascoltando ricordi di una Gruaro diversa, con altri ritmi e priorità.

Ho parlato con i giovani, incuriositi dalla mia idea di politica giovane e non per i giovani, spesso scontrandomi con idee in cui non mi riconoscevo, ma mai con le loro speranze. Ho incontrato giovani coppie, ho ascoltato le loro difficoltà, le loro preoccupazioni, riconoscendomi nelle loro parole. Ho parlato con donne e uomini straordinari, che non hanno perso la speranza e la fiducia nel futuro, nonostante la vita li abbia messi davanti a sfide difficile e dolorose. Uomini che gestiscono attività diverse, accomunati dallo stesso sentimento di paura per il rischio di un declino economico, ma che fanno di tutto per mantenere i posti di lavoro ai loro operai. Due sole le porte chiuse in faccia, ma che mi hanno dato ancora più energia dei tanti caffè offerti dalla famiglie che ho incontrato.

Ho conosciuto meglio il mio territorio, la gente del mio territorio.
So cosa si aspetta chi mi ha votato e non tradirò la loro fiducia. L’opposizione consiliare, che intendo portare avanti sarà puntuale nella critica, costruttiva, stimolante e propositiva, collaborando con la maggioranza affinché amministri meglio e nell’interesse di tutto il paese.

Mi aspettano anni di opposizione, un ruolo difficile, dove il mio voto non ha un peso e dove le mie proposte vengono, da alcuni, recepite con sorrisi e indifferenza.
Ma farò in modo che sia un tempo fertile, un tempo in cui si possa parlare di Gruaro e della sua gente; un’occasione, per me, di conoscere e comprendere di più questa terra a cui sono legata e per mettere insieme i futuri amministratori del nostro Comune.

“Alla fine di un lungo viaggio… c’è sempre un viaggio da ricominciare”.

Francesca Battiston, capogruppo “Cittadini di Gruaro”

[print_link]

0

L’oca

“Se nu ti magni i ti imboconi coma una oca!”

Questa, anni addietro, era una frase ricorrente ed era rivolta naturalmente ai bambini che non volevano mangiare. La povera oca in questione mi ha fatto sempre tenerezza, sin da quando ero piccola e mi veniva affidata, assieme alle “sorelle”, perché la portassi a pascolare dove l’erba era più tenera.
Loro mangiavano ed io restavo là seduta a guardare le nuvole e a fantasticare; ma naturalmente avevo anche  con me un centrino da ricamare per evitare di restare inoperosa (cu li man in man).
Il tempo passava loro crescevano ed io con loro; arrivava così l’autunno ed incominciava l’ingrasso.

“I ti ai da imparà a imboconà li ochi”.
Non era un suggerimento ma un ordine, al quale non avevi nessuna possibilità di sottrarti e quindi prima lo eseguivi meglio era.
La maestra di solito era una nonna o una zia “vedrana”, a me invece toccò uno zio abbastanza avanti con gli anni, grande e grosso, “un tocon di om”, e con la gentilezza di un orso che un giorno mi disse “Ven par cà! Ti vuol imparà a imboconà li ochi. Ti lu fai viodi.”

Il tono non ammetteva repliche pertanto lo seguii nel recinto delle oche e per darmi un contegno e far vedere la mia buona volontà mi misi a rincorrerne una, con l’intento di prenderla.
Al che l’omone, con un grugnito che voleva essere una risata, mi bloccò e mi fece cenno di scansarmi e “Fermiti! Si ti li fa cori cussì a se ca serf imboconali?”
E mentre diceva questo, trac, aveva già afferrato il collo lungo e piumoso dell’oca. La mia oca! Quella che avevo coccolato sin da piccola; il mio cuore si fermò… “La mia oca, no!” urlai dentro di me; ma lui, imperterrito, si avviò verso il sotpuartin, una tettoia posta a ridosso della stalla, sostenuta da pali di legno e con il tetto ricoperto da canne (ciani cargani e cianoi).

Arrivati sul posto, sempre gentilmente, si fa per dire, lo zio mi sbatté l’oca in braccio; preoccupata mi chiesi “Perché?”. Il perché fu presto spiegato: lui doveva prepararsi per il rito dell’“imboconadura”. Lo vidi mettersi un grembiule lungo e largo, fatto con avanzi di stoffa cuciti insieme, praticamente un nisuol, perché per coprirlo tutto quel suo pancione ci voleva veramente un lenzuolo.
Finita la vestizione, gettò un sacco di iuta per terra e ci mise accanto uno strano imbuto che nella parte superiore, in corrispondenza dell’imboccatura, aveva una manovella, come quella del macinino del caffè, ci aggiunse un secchio d’acqua ed uno di mais. Tutto era pronto.
Lo zio si inginocchiò e mi disse di passargli l’oca. Io gliela porsi, esitante e lui se la strinse tra le gambe. Io preoccupata esclamai dentro di me “Uddiu me la sclissa!”.

L’oca si dibatteva, ma lui le afferrò la testa e gliela tenne ferma, le aprì il becco a forza e le infilò lo strano imbuto in gola; con la mano libera raccolse un pugno di mais, lo mise nell’imbuto e cominciò a girare velocemente la manovella finché il mais non fu sceso tutto, completò l’operazione facendole ingoiare un mestolo d’acqua.
Gli feci osservare che il mais si era fermato tutto in un solo punto del collo del volatile. “Sta tenta coma ca si fa!”.
Lo zio allora con la mano libera e con la grazia infinita delle sue dita grosse come salsicce, manipolò con destrezza il collo fino a far arrivare il mais nel gozzo della povera oca. Poi, senza tanti complimenti, si alzò e con un cenno perentorio mi indicò il suo posto dicendomi: Vidin se che ti à capìt.

Io, non so perché, ma  mi sentii sollevata nel vedere che la mia oca non era più sotto quella montagna d’uomo e che adesso toccava a me: sarei stata senz’altro meno violenta… e mi venne, dalla gioia persino voglia di cantare e così feci, mi misi a cantare. La mia oca, secondo me, fu felice di quel cambio, perché mi mostrai all’altezza e in un baleno e con grande dolcezza portai a termine quella tortura.
Naturalmente l’operazione si ripeté anche nelle sere successive fino a che le oche non furono ritenute pronte, belle e grasse, per la mattanza.

Forse oggi tutto questo può sembrare crudele, ma erano comportamenti dettati dalla necessità: il grasso d’oca era pregiatissimo e veniva usato al posto del burro; il fegato poi, un boccone da re, e la carne, a cui veniva data una mezza cottura, era riposta in orci di pietra, ricoperta del suo grasso e messa sotto un metro di terra. Una vera risorsa prelibata per l’inverno e la primavera, per le famiglie numerose.

[print_link]

0

Gruaro

  • GRUARO: il toponimo propone varie interpretazioni. C’è chi lo fa risalire al nome della gru, uccello acquatico che si suppone abitasse in queste zone ricche d’acqua, ma si tratterebbe di un caso raro. Altri lo fanno derivare da una forma latinizzata gruarius”, un termine franco che significa “guardiano del bosco. Anche questa definizione non trova conferme documentarie medioevali. Altre supposizioni sono legate alla presenza dell’acqua. Una la fa derivare da grava (ghiaia), visto che il territorio era percorso da fiumi importanti quali il Tagliamento, il Lemene e il Reghena. Altra teoria vede l’origine del nome Gruaro da forme della bassa latinità: Groa, Grua, ossia terra paludosa”, come doveva essere il territorio un  tempo.
  • Via Elsa Morante: scrittrice (Roma 1912 – Roma 1985). Figlia illegittima di una maestra ebrea e di un impiegato delle poste, alla nascita fu riconosciuta da Augusto Morante, sorvegliante in un carcere minorile. La Morante iniziò giovanissima a scrivere filastrocche e fiabe per bambini, racconti brevi che furono pubblicati su varie riviste tra cui “Il Corriere dei piccoli”. Il suo primo libro fu proprio una raccolta di queste storie giovanili: “Il gioco segreto”, “Le straordinarie avventure di Caterina”. Nel 1936 conobbe lo scrittore Alberto Moravia che sposò nel 1941; insieme frequentarono i grandi scrittori e pensatori del tempo, fra cui P.P. Pasolini. Verso la fine della seconda guerra mondiale, Moravia e la moglie si rifugiarono a Fondi, un paesino vicino al mare, luogo che compare frequentemente nelle opere dei due scrittori. Il primo romanzo che la Morante pubblicò fu “Menzogna e sortilegio” che vinse il premio Viareggio. Il successivo, “L’isola di Arturo”, uscì nel 1957 e vinse il premio Strega. Nel 1961 Moravia e Morante si separarono, ma Elsa continuò a scrivere. Lavorò in questi anni a un romanzo “Senza i conforti della religione” che non vide mai la luce e a “La Storia”, vicenda ambientata a Roma durante la seconda  guerra mondiale, che uscì nel 1974 ed ottenne fama internazionale. L’ultimo romanzo fu “Aracoeli”. Ammalatesi in seguito ad una frattura al femore, morì nel 1985 per un infarto dopo un’operazione chirurgica.
  • Via Grazia  Deledda: scrittrice (Nuoro 1871- Roma 1936). Autodidatta, iniziò giovanissima un assiduo lavoro di narratrice che svolse a Roma dove si trasferì e collaborò alla “Nuova Antologia”: Nel 1926 le fu assegnato il premio Nobel. La Sardegna, con la sua società arcaica, le chiuse passioni e l’arido paesaggio, fu la fonte d’ispirazione della prima parte della sua opera: racconti e romanzi, fra cui “Anime oneste”, “Elias Portolu”, “Cenere”, “L’edera”, “Canne al vento”, “Marianna Sirca”, “La madre”; opere che la farebbero situare fra  gli scrittori del verismo italiano se da essi non la distaccasse una più profonda e sfumata indagine psicologica; così come la divide dai decadenti la salda dimensione morale dei personaggi presente soprattutto nelle sue ultime opere: “Il segreto dell’uomo solitario”, “La fuga in Egitto”, “Il paese del vento”. Dopo un grande successo europeo ha subito negli anni un forte declino.
  • Via Matilde Serao: scrittrice e giornalista italiana (Patrasso-Grecia 1856 – Napoli 1927). Iniziò giovanissima una fortunata carriera, prima come redattrice del quotidiano di Napoli, poi a Roma come collaboratrice di vari quotidiani. Sposò nel 1884 Edoardo Scarafoglio e tornata a Napoli vi curò per anni una rubrica mondana sul “Corriere di Napoli”, da lei fondato e diretto col marito. Separatasi da lui nel 1904, fondò “Il Giorno di Napoli” che diresse fino alla morte. Nei racconti e nei romanzi che ritraggono il popolo e la piccola borghesia romana, la Serao lasciò l’impronta della sua vocazione giornalistica: l’abile taglio delle scene d’ambiente, l’introspezione psicologica, la sensibilità sociale e talora anche un facile colore di presa immediata, ma superficiale.

[print_link]

0

Marcello e i “The Professionals”

Anche la storia di Marcello C., come quelle ospitate precedentemente in questa pagina, è la storia di una passione, iniziata lontano nel tempo, quando il nostro protagonista aveva 8 anni, a Catania, e condivisa con il fratello e poi con altre persone, (la nostra sarà sempre infatti una storia al plurale) che ha avuto ed ha tuttora come oggetto la musica, non tanto e solo ascoltata, ma praticata, suonata assieme ad altri.

Marcello racconta che a 8 anni appunto, di nascosto, lui e suo fratello si erano comperati una chitarra, mettendo insieme faticosamente le 6000£ necessarie; tutto all’insaputa dei genitori e in particolare della mamma che, da buona insegnante, considerava la musica una possibile fonte di distrazione. Il segreto rimane tale solo per 2 giorni, e quando la chitarra viene scoperta, viene loro intimato di riportarla indietro, ma per fortuna il negoziante non ne vuole sapere di riprendersela, per cui è giocoforza per la madre accettare la situazione. Incomincia così lo studio, suo e di suo fratello, da autodidatti, dello strumento, mentre all’educazione del loro gusto musicale contribuiscono i fratelli più grandi, che ascoltavano i Platters e poi i Beatles, per citarne solo due.

A 11 anni Marcello e Roberto, il fratello, danno vita, con alcuni coetanei, al loro primo complessino e passano i pomeriggi a provare nel garage di un amico, in un condominio in quel di Catania. Finalmente, per il loro tredicesimo compleanno, il debutto davanti a tutta la famiglia e da quel momento non hanno più smesso, anche se ci sono state delle pause involontarie nell’attività del gruppo, dovute ai trasferimenti della famiglia e a motivi di studio, ma la passione è rimasta, sempre alimentata, coccolata e si è andata definendo meglio finchè nel 1991 è nata la band “The Professionals”, attiva ancora oggi, sostanzialmente sempre con gli stessi componenti, o quasi.

“Profondamente legati alla musica nera degli anni ‘50 e ‘60, e in particolare al blues e al Rhythm’n’Blues, The Professionals riescono ad accattivarsi il pubblico grazie alla riproposta di questo genere musicale trascinante e coinvolgente…” così è scritto nella home page del loro sito ed io sottoscrivo in pieno questo giudizio, perché ho avuto l’opportunità di ascoltarli e li ho trovati capaci e divertenti, ma proporrei all’estensore della presentazione di sostituire accattivare con conquistare che rende maggior giustizia al loro talento esecutivo.

Di Marcello poi, Drum, sempre nel sito ufficiale della band si legge questo breve ritratto “(è) il personaggio più misterioso del gruppo. Grande cultura musicale unita ad una tonica destrezza gli permettono di cimentarsi contemporaneamente alla batteria e alle tastiere. Semplicemente incredibile”. (Dettaglio singolare e simpatico: lo stesso ritratto è utilizzato specularmente anche per il fratello gemello, quasi a sottolineare la loro intercambiabilità). Misterioso Marcello un po’ lo è: lui, normalmemte cordiale ed estroverso nella vita di relazione, diventa più riservato, quasi restio a raccontarsi come musicista, non so se per modestia, o per gelosa custodia di questa sua passione che ritiene più giusto vivere e condividere fattivamente con amici e fans piuttosto che affidarla alle parole. Parla invece con piacere, sottolineandone le qualità professionali, di quanti suonano con lui nella band, come il suo sosia e gli “amici fraterni” Umberto Baggiani, Neck Collini e “Al” Caicco, e di quanti hanno hanno suonato e cantato nel gruppo, come Gigi Todesca, Davide Drusian, Ice Casaro, Monica Roncolato e Valentina Roman, l’ultima cantante in ordine di tempo. In passato ricorda, rispondendo ad una mia domanda, di aver accompagnato, in occasione di “feste di piazza” vari interpreti e suonato con strumentisti noti in Italia e fuori: tra gli altri Juni Russo (quando si chiamava ancora Giusi Romeo), Ninni Rosso, Donatella Moretti, Mino Reitano e Mario Merola.

Il repertorio di The Professionals comprende canzoni quali Midnight hour, Knock on vood, 6345-789, Shot gun blues, Proud Mary, Sweet Chicago, Soul man, tutti brani resi immortali dai grandi del R&B, da Wilson Pickett a Otis Reding, a Sam & Dave e via elencando, eseguiti, dicono gli intenditori “con ottima tecnica strumentale e la più totale padronanza del repertorio”.

La band ha suonato in numerosi locali di tutto il Triveneto, e Marcello cita con particolare piacere, e in questo caso sì con una punta d’orgoglio, il locale “Al vapore” di Mestre, location  prestigiosa dal punto di vista musicale; e qui la loro esibizione è stata accompagnata, ancora una volta, da giudizi positivi e lusinghieri, per i quali vi rimando al sito (www.theprofessionals-band.it).
Nel loro curriculum figurano anche 2 cd ed un dvd.

Le notizie raccolte hanno solleticato ulteriormente la mia e, anche spero, la curiosità dei lettori, per cui non ci resta che auspicare di poter assistere al più presto ad una esibizione de’ “The Professionals” a Gruaro per apprezzare dal vivo quanto letto.

[print_link]