La mostra: “CIMA DA CONEGLIANO: PITTORE DI PAESAGGIO” si è tenuta nella cittadina veneta a palazzo Sarcinelli dal 26 febbraio al 2 giugno 2010.
Pittore di paesaggio perché possiamo vedere, osservando i suoi dipinti, come in essi ci siano delle copie fedeli del territorio natale così come appariva al tempo di Cima tanto che possiamo riconoscerlo e confrontarlo con quello odierno.
Questa mostra è stata molto importante perché è stata la prima su Cima nella sua città d’origine ed è stata la seconda in assoluto sul pittore, infatti l’altra è stata ospitata nel 1962 nel Palazzo dei Trecento a Treviso.
È stata anche la prima volta che le opere esposte sono state riunite tutte insieme, perché alcune di queste facevano parte di collezioni private e altre uscivano per la prima volta dal museo dove erano conservate.
Ma chi era Cima da Conegliano? Il suo vero nome era Giovanni Battista da Conegliano, detto Cima perché i suoi genitori erano cimatori, cioè lavoravano nella preparazione dei tessuti in particolare nella finitura dei panni di lana.
Solo scarsi documenti permettono di ricostruirne la vita.
Egli è nato dunque a Conegliano e la sua casa esiste tuttora dietro il duomo.
La data di nascita (1459 o 1460) non è accertata. Si dice sia stato allievo di Giovanni Bellini, Bartolomeo Montagna o Alvise Vivarini.
Cima aveva una bottega a Venezia, abitava a palazzo Loredan, in campo San Luca; pagava un affitto caro, ma lui se lo poteva permettere perché era ricco, infatti possedeva terreni proprio a Conegliano.
Il fatto che fosse ricco gli consentiva di usare nei suoi dipinti anche materiali preziosi come ad esempio il blu oltremare, che veniva fatto con i lapislazzuli.
Cima è sempre stato molto legato al luogo dov’era nato, si dice infatti che rappresentasse Conegliano nei suoi dipinti perché ne aveva nostalgia; inoltre si sa che, pur vivendo a Venezia, tornava ogni estate a Conegliano. Infatti qui muore nel 1516/7.
La mostra si pone l’obiettivo di ridare a Cima da Conegliano la giusta collocazione nella pittura veneziana, infatti egli è sempre stato poco considerato, forse anche per la sua vita non segnata da episodi significativi come può essere stata quella di un Giorgione, il genio morto giovane.
Spesso è stato ritenuto rustico, un artista poco capace di inventare cose nuove ma solo di copiare ciò che facevano gli altri pittori del periodo. Questo non è vero, basti pensare che se Bellini era impegnato a Palazzo Ducale e quindi era “il pittore del doge”, a Venezia in quel periodo ci si rivolgeva a Cima per commissionare le pale d’altare.
Esaminiamo ora in dettaglio com’è organizzata la mostra: le opere si trovano al piano nobile di palazzo Sarcinelli sono 38, distribuite in 7 sale; l’esposizione segue un ordine cronologico. Tutte le sale sono organizzate in modo da far risaltare l’opera principale di quel periodo. In successione troviamo il polittico di Olera, ancora legato alla tradizione tardo gotica, la pala di Vicenza, dove Cima inizia ad ambientare in esterno le sue opere, la pala di Parma, in cui è rappresentata l’incredulità di San Tommaso, il trittico di Navolè, Raffaele e Tobiolo.
Interessante era la tecnica che egli usava.
Egli dipingeva soprattutto su tavola, che approntava stendendo due strati: uno di preparazione, fatto di gesso e colla, e uno chiamato imprimitura che serviva a rendere più liscia e omogenea la superficie dove poi Cima andava a disegnare. Seguendo poi la traccia del disegno veniva steso il colore. Dato non per strati ma per velature molto sottili che facevano intravedere ciò che stava sotto. Spesso poi nell’ultima fase Cima interveniva con i polpastrelli per ottenere particolari sfumature.
Una tecnica sopraffina quindi la sua, che trova espressione non solo nelle figure ma anche nei cieli e nel paesaggio “…declinato poeticamente in valli e rocche definite dall’intensità di albe e tramonti, che saldano uomini e natura in indissolubile unità” (Giovanni C. Villa).
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La legge è uguale per tutti, compresi i preti
Il 25 giugno 2010 la polizia belga ha fatto irruzione nei locali dell’arcivescovado di Malines, Belgio, bloccando i vescovi presenti e sequestrando telefonini, documenti e agende. Un’azione qualificata dai prelati vaticani di “peggiore di quelle perpetrate dai comunisti”, di “triste momento” secondo il Papa, insinuando che i preti erano rimasti senza bere ne mangiare per nove ore.
La costituzione belga è molto chiara: secondo l’articolo 268 del Codice Penale, i ministri del Culto non possono attaccare qualunque atto dell’Autorità pubblica. Un articolo che, se dovesse esistere ed essere applicato in Italia, porterebbe nelle aule di Giustizia un giorno sì e un altro ancora i rappresentanti vaticani che, da sempre non solo giudicano e criticano leggi e azioni del Governo della Repubblica, ma danno addirittura indicazioni di voto durante la messa.
La stampa ha pertanto schernito l’intervento delle Autorità Giudiziarie belghe facendo finta di dimenticare l’emergere da anni del problema della pedofilia ad ogni livello ecclesiasti ma anche senza dare la specifica dell’argomento da trattare da parte dei vescovi durante quella riunione: i vescovi belgi si preparavano a discutere il punto 5 dell’ordine del giorno approntato dal vescovo di Liegi Mgr. Alois Jousten, intitolato: “della necessità di trasmettere le cartelle dedicate ai preti pedofili alla Commissione Andriaenssens”.
Il giudice belga, al corrente della volontà ecclesiastica di non trasmettere le cartelle relative a preti pedofili, e altrochè al corrente che esistono, ha semplicemente confermato non solo l’indipendenza reale della giustizia nei confronti del potere politico in Belgio ma altrettanto la sua assoluta volontà di considerare i rappresentanti del culto cattolico , di qualsiasi livello, come cittadini per niente al di sopra di ogni sospetto, in onore di un detto troppo spesso citato ma non applicato da queste parti ossia: la legge è uguale per tutti.
La libertà, fra cui quella di espressione è un bene molto prezioso che la stampa belga la difende aspramente. Aiuta il piccolo Paese nordico a posizionarsi al 3 posto nella graduatoria mondiale sulla libertà di espressione, quando l’Italia è confinata al 74esimo posto a mala pena prima della Corea del Nord. Pertanto, al di sopra di ogni divergenza politica o linguistica l’azione delle Istituzioni nazionali è stata sostenuta grazie ad articoli che davano il polso della reazione popolare.
Marc Metdepenningen, giornalista francofono ma di certo di origini fiamminghe con un cognome del genere, non ha lesinato sulle parole: “il Vaticano trova verosimile la guarigione di una signora di 95 anni affetta da tumore, da parte di un suo zio, monaco libanese (ovviamente beatificato) ma giudica “inverosimili e gravi” le perquisizioni nella sede episcopale”. Risponde a Bertone che qualifica l’intervento “peggiore di quelli comunisti” chiedendo al prelato “di prendere in considerazione le pratiche dei giudici dell’Inquisizione che arrostivano sui falò “streghe e altri Cathari”. Continua meravigliandosi del disprezzo che ha lo stesso Bertone nei confronti del peccato di menzogna visto che disinforma pubblicamente quando afferma che i preti sono rimasti a digiuno (pure pratica religiosa) per tutta la durata del fermo. In effetti, la polizia ha facilmente provato che i prelati hanno ricevuto pollo, pomodori, eppure vino!
Insomma la stampa belga sorride: “La Chiesa, di nuovo, inciampa nel tappeto” e si fa seria quando scrive: “il papa, come la Chiesa belga se vogliono rimanere credibili e assumere le proprie responsabilità sui scandali pedofili interni hanno una sola scelta: aprire gli archivi, appurare ciò che fu “la legge del silenzio” richiesta da Malines e Roma e lasciare agli inquirenti parlamentari, giudiziari e storici l’onere di spiegare il passato e salvare il presente.”
Una azione esemplare e la relativa reazione mediatica che, a parere mio, dovrebbero essere d’esempio in Italia. Un modello che, se applicato, darebbe la prova di una reale libertà di azione delle Istituzioni repubblicane nei confronti dello Stato vaticano e la prova che religione e Stato sono indipendenti. Insomma che se la religione di Stato è cattolica, la Chiesa cattolica non è lo Stato.
Invece, assistiamo al solito balletto politico, dall’estrema Destra alla Sinistra integralista, delle prese di posizioni onte e succube, tradizionali nel dare un colpo al ferro e uno alla botte. Un balletto che vede girare, a md’ di offerta, i deretani dei danzatori a caccia di voti e le facce nauseate di chi ci osserva da oltre confine.
Claude Andreini. Belga
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