Oggigiorno la medicina è talmente progredita, che può mantenere in vita persone gravemente malate che soffrono dolori atroci e destinate a morire perché senza possibilità di contenere la malattia, tanto meno di guarire. Sono pazienti idratati, alimentati artificialmente, spesso stimolati nella funzione cardiaca e respiratoria da macchine sofisticate; malati che esistono in uno spazio intermedio tra vita e morte (di cui poco si sa ancora) non per scelta e senza alcuna tutela giuridica dei loro interessi.
Il testamento biologico consiste in una dichiarazione anticipata di volontà: un atto che permette a chi lo vuole, finché si è nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, di dare disposizione riguardo a futuri trattamenti sanitari nel caso in cui tali facoltà venissero meno. Disposizioni che devono risultare vincolanti per gli operatori sanitari anche se non in contrasto con la deontologia medica e con la realistica previsione di cura.
Si tratta di un atto che può essere revocato in qualsiasi momento e che può prevedere l’indicazione di un fiduciario.
Con il testamento biologico si possono intendere cose diverse: dal solo rifiuto dell’accanimento terapeutico, o di determinate terapie, o alla richiesta di interruzione delle cure in caso di gravi patologie; tutte garantiscono la consapevolezza del singolo e l’autodeterminazione individuale. Da sottolineare che tale atto niente a che vedere con il procurare la morte, poiché interessa piuttosto la salvaguardia di un confine naturale della vita intesa, non come tempo protratto, bensì come una vita degna di essere vissuta, una vita che abbia un senso e che non si esaurisca in un dolore intollerabile ed irreversibile.
Il testamento biologico in Italia, non è ancora legge per una serie di ragioni:
- Nella cultura cattolica la sofferenza è ancora vista come espiazione del male e quindi quale mezzo di salvezza futura.
- Lo squilibrio storico tra medico e paziente, per cui prevalgono gli obiettivi del medico su quelli del malato: solo il medico sa e dunque solo il medico può decidere.
- La difficoltà di affermare il primato della libertà individuale nel nostro ordinamento e nella nostra vita associata. Se la libertà del soggetto ha come unico limite il rispetto della libertà altrui, la facoltà di decidere del proprio corpo deve trovare garanzia di inviolabilità nel diritto pubblico.
- Si attribuisce alla Chiesa cattolica italiana, la responsabilità della mancata approvazione di una legge sul testamento biologico. Questo dato, pur fondato, è contraddittorio. La Chiesa teme che, con una legge si metta in discussione il principio dell’indisponibilità della vita umana; resta il fatto che la dottrina della Chiesa da molti anni si sia pronunciata contro l’accanimento terapeutico. (“L’interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti, può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia dell’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”, dal Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica- giugno 2005).
La legge sul testamento biologico, in corso di approvazione dall’attuale maggioranza, probabilmente escluderà la nutrizione e l’idratazione artificiale dalle scelte sulle quali il malato potrà esercitare la sua volontà. Si avrebbe così una legge più arretrata rispetto all’attuale vuoto legislativo a cui la magistratura deve supplire.
Da aggiungere che purtroppo il Parlamento che dovrebbe legiferare su materie eticamente sensibili è stato desautorato, privato pertanto del libero confronto che si dovrebbe svolgere al di là dell’appartenenze e maggioranze politiche, come avvenne per le leggi sul divorzio e sull’aborto.
Credo comunque che la classe politica italiana, arroccata in posizioni di principio, in una società che si evolve, sia ancora troppo lontana dai reali bisogni e dalle concrete richieste dei suoi cittadini.
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Calamandrei, chi era costui?
Dopo la laurea in giurisprudenza, divenne professore di procedura civile in varie università: Messina, Modena, Reggio Emilia, Siena e Firenze. Prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale volontario. Lasciò l’esercito per continuare la sua carriera accademica. Della sua vasta produzione giuridica si ricorda soprattutto “Introduzione allo studio delle misure cautelari” del 1936, un trattato d’avanguardia che farà compiere un grande balzo in avanti alla scienza processuale italiana.
Politicamente impegnato a sinistra, partecipò con Dino Vanucci, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli alla direzione di “Italia Libera”, un gruppo clandestino di ispirazione azionista. Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura di Mussolini, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Contrario all’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nel 1941 aderì al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d’Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri.
Fu membro della Consulta nazionale, della Costituente e della Camera dei Deputati e si batté sempre per un rinnovamento morale e civile della vita politica italiana.
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