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Voci dal pianeta immigrazione – Storia di Silvana V., collaboratrice domestica

La storia di Silvana è una storia di immigrazione “normale”, meno “disperata” di quelle, ad effetto, che ci propongono i mezzi di informazione. Manca in essa l’aspetto drammatico della clandestinità, ma come ogni storia di emigrazione ha in sé il risvolto del distacco, di scelte a volte dolorose, di precarietà.

Silvana è argentina ed arriva in Italia con il marito, italo -argentino, nel 2004, spinta dalla grave crisi economica che ha colpito il suo paese, portandolo sull’orlo della bancarotta.
Silvana, in Argentina, lavorava in banca: trattava con i clienti e il suo posto di lavoro era un osservatorio privilegiato e sensibile di quanto stava accadendo attorno. Lei ricorda ancora come particolarmente difficile e doloroso quel periodo in cui doveva affrontare le persone allo sportello e riferire loro che le condizioni generali erano cambiate e che la banca non poteva aiutarli e venire incontro alle loro necessità e, davanti a quelle facce deluse a volte disperate, vedeva infrangersi quel rapporto di fiducia  e cordialità che si era andato instaurando nel corso degli anni, 11 per la precisione.

Queste difficoltà, unitamente al fatto che la banca riduceva il personale e raddoppiava la buonuscita per chi lasciava volontariamente e al fatto che il marito, italo-argentino con passaporto italiano, aveva saputo da alcuni parenti residenti in Italia che potevano esserci per loro possibilità d’impiego, la inducono ad emigrare.

Ottenuto un visto dal Consolato italiano ed un permesso di soggiorno, si trasferisce nel nostro paese. Le difficoltà non mancano: non conosce la lingua, la gente,  pur disponibile e cordiale, le si rivolge in dialetto, il che accresce il suo disorientamento, ha difficoltà a trovare un lavoro qualificato, fisso e adeguato al suo titolo di studio, ma si adatta e diventa collaboratrice domestica; anche il marito, nel frattempo ha trovato impiego come autista.

Il problema del lavoro è così risolto, rimane quello dell’inserimento nella nuova realtà sociale, che avviene con più lentezza e che è condizionato da tutta una serie di fattori di tipo lavorativo, culturale e di non condivisione di esperienze. Silvana non dispera che questo possa accadere al più presto anche se considera, quella italiana, una parentesi della sua vita, parentesi  tutto sommato positiva ma a termine, spera infatti di ritornare, appena le cose si saranno sistemate, in Argentina.

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Per ricordare Andrea Mantegna, nel 5°centenario dalla sua morte

In questo periodo è stata allestita, per il 5° centenario dalla sua morte avvenuta a Mantova nel 1506, una mostra su Andrea Mantegna. Essa si articola in tre sedi, nelle tre città che hanno segnato la carriera artistica del Mantegna (Padova, Verona e Mantova).

Andrea Mantegna nasce ad Isola di Carturo, piccolo borgo in provincia di Padova, nel 1431. A Padova entra a far parte della bottega dello Squarcione, di cui risulta anche figlio adottivo. Francesco Squarcione era un ex sarto che aveva un grosso interesse per i manufatti antichi di cui era raccoglitore e mercante, egli era anche pittore e sfruttava i garzoni che prendeva a bottega. Mantegna però aveva trovato a Padova un altro maestro, Donatello, che aveva realizzato l’altare della Basilica del Santo in maniera straordinariamente moderna.

Dopo circa sette anni vissuti presso la casa–bottega dello Squarcione, nel 1448 Mantegna scioglie il sodalizio con lui e firma il contratto – insieme ai colleghi Nicolò Pizolo, Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna – per l’esecuzione del ciclo di affreschi della Cappella della famiglia Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. Nel corso della realizzazione della grandiosa opera, ci furono diversi avvicendamenti che portarono il solo Mantegna a concludere il lavoro intorno al 1457. Questa è senza dubbio l’opera più importante di Mantegna a Padova, infatti qui, a soli 17 anni, dipinge le storie di San Giacomo e di San Cristoforo. Questa cappella si trova nel braccio destro del transetto della chiesa degli Eremitani. Di quest’opera purtroppo rimangono solo alcune scene poiché la cappella venne bombardata l’11 marzo del 1944. Già qui notiamo i caratteri fondamentali della pittura di questo artista: si possono osservare la puntuale descrizione delle diverse espressioni dei volti, il gusto per gli elementi vegetali e la predilezione per l’arte classica.

Nel 1453 Mantegna sposa Nicolosia Bellini figlia di Jacopo e sorella di Giovanni e Gentile Bellini. Questo legame parentale sarà importante soprattutto per l’influenza che avrà sulla produzione artistica e di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna, infatti Giovanni trae forza plastica dal Mantegna e lui, viceversa, carpisce l’uso dei colori tipico del pittore veneziano.

Nel 1457, conclusi i lavori alla Cappella Ovetari, Mantegna era già in trattative con Gregorio Correr, abate della Basilica di San Zeno a Verona, per la realizzazione della pala destinata a decorare l’altare maggiore della chiesa.

In quest’opera ritroviamo, ancora più evidente che nella cappella Ovetari, la concezione tipica del Mantegna di scambio tra pittura e scultura, infatti le figure sembrano quasi statue all’interno dell’ambiente architettonico. Questo aspetto è sicuramente dovuto anche dall’influenza che ha avuto, sulla realizzazione di questa pala, l’altare della chiesa dedicata a Santo Antonio a Padova di Donatello.

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“Babel” di Alejandro González Iñárritu

Babel è la 3a prova del virtuoso Alejandro González Iñàrritu, giovane regista messicano, già autore di “Amores Perros” e del fortunato “21 grammi”. Il film, presentato quest’anno a Cannes ha vinto il premio per la miglior regia, sfiorando la Palma d’Oro (almeno così dicono le cronache, mentre la palma più ambita è andata a Ken Loach).
Contrariamente al precedente “21 grammi”, Babel convince di più: è sempre un film corale e “ossessivamente” girato (ricchi cambi di macchina, campi lunghi ed impietosi primi piani), che mantiene una cura direi quasi maniacale per la fotografia e l’ormai solito “gioco ad incastri” della sceneggiatura, caratteristica, questa, tipica del regista e del fido sceneggiatore Guillermo Arriaga; qui ancor più accentuata dal meccanismo delle “4 storie parallele”.
Babel è un film internazionale “tout court”, sia nelle location (è ambientato in Messico-Marocco-USA-Giappone), sia nella caratterizzazione dei personaggi (tutti tratteggiati con enorme attenzione e rispetto, privi di qualsiasi immagine stereotipata), sia nell’uso stesso della lingua originale (e qui, per una volta, ho apprezzato la scelta del doppiaggio, limitato esclusivamente agli americani), sia propriamente nelle scelte stilistiche con il quale va a raccontare le 4 storie; ma Babel è soprattutto un film che in questo senso tenta di “gettare un ponte” tra le varie culture e umanità di cui narra, o quantomeno invita a riflettervi, anche se per quanto riguarda la trama specifica non lascia molte speranze.

Le vicende si possono riassumere come segue:
Storia 1: due giovani fratelli marocchini, provando il fucile del padre, feriscono accidentalmente una turista americana e vengono ricercati dalla polizia. Il padre tenta di trarli in salvo.
Storia 2: la turista ferita e il marito vanno in cerca d’aiuto in un villaggio, ma vengono abbandonati dai propri compagni di viaggio dove attendono l’arrivo dei soccorsi (e intanto la questione del ferimento si fa
segue a pag. 9
fa diplomatica, tra paranoie terroristiche ed esagerazioni giornalistiche).
Storia 3: in America, intanto, una tata messicana, cui sono affidati i figli della coppia americana, si deve recare al matrimonio del figlio e non sapendo a chi lasciare i bambini, decide di portarli con sé. Purtroppo al rientro dal Messico vengono fermati dalla polizia di confine e finiscono col darsi alla fuga nel deserto californiano, con tutti i rischi annessi e connessi.
Storia 4: in Giappone un uomo, che durante una battuta di caccia in Marocco regalò il fucile ad una guida (che poi lo vendette al padre dei due ragazzini della storia 1, ammetto che sia un collegamento un po’ forzato), si ritrova a gestire la difficile situazione della figlia adolescente e sordomuta, orfana di madre suicida, la quale, ossessionata dall’idea di essere un mostro, cerca disperatamente un rapporto sessuale.

Il minimo comun denominatore di tutte le storie è il dolore cui sono sottoposti i personaggi e la ricerca, proprio attraverso lo stesso, di una comunanza d’intenti e vicinanza d’affetti che, fino a quel momento non erano tenuti in grande considerazione.
derazione. Peccato che tale comunanza non venga condivisa e che quindi l’occasione d’incontro venga irrimediabilmente sprecata o incompresa.

Uno dei meriti principali di Iñàrritu (oltre a quello di imbruttire Brad Pitt e dargli una parvenza di credibilità) è proprio la modalità con cui sviscera l’umanità dei personaggi e la profondità del dolore; l’abilità con cui passa da situazioni apparentemente lievi ad eccezioni particolarmente forti; la compassione non pietistica con la quale guarda e ci coinvolge nelle disavventure dei suoi uomini / donne / bambini sullo schermo; e la profonda commistione di emozioni contraddittorie che è in grado di evidenziare nei suoi personaggi e suscitare nel pubblico.
Iñàrritu non dà giudizi politici precisi, ma è quasi manicheo nel delineare l’equazione: poveri=felici, ricchi=tristi. Emblematiche in questo senso sono le vicende messicana e marocchina, dove la vicinanza e sincera solidarietà dei primi, in qualche maniera, “punisce” sul piano morale l’egoismo poco verecondo dei secondi.

Ed in questo senso Babel è un film quasi ostinato e “pilotato” nella sua tesi: in un mondo globale l’individualismo non paga.

scheda film su IMDb

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Centro socio-riabilitativo “Amedeo Pellegrini”

Che cos’è il centro socio riabilitativo che ha sede nella ex scuola elementare di Bagnara?
Forse anche altri Gruaresi si sono posti questa domanda, che abbiamo girato alle responsabili del Centro, le signore Michela Corte, responsabile del centro diurno e della comunità, e Rosanna Rubin, Vice-presidente della Cooperativa nonché responsabile gestionale, che gentilmente ci hanno dato le informazioni che riportiamo a seguito.

L’edificio, di proprietà del Comune, è stato ceduto all’A.S.S.L. n° 10 che l’ha ristrutturato per adibirlo a centro di accoglienza per portatori di disabilità.
La stessa ha affidato, con una convenzione, il servizio alla nostra cooperativa “Alba”, che offre le migliori garanzie e affidabilità e che da tempo lavora nel mondo dell’handicap.
Il centro è diventato operativo nel 1999.
Oggi vi lavorano 10 operatori socio-sanitari, 1 accompagnatore, un autista e una signora che si occupa delle pulizie.
Il personale è tutto formato, secondo gli standard regionali, da figure professionali adatte alle esigenze degli assistiti.

Gli ospiti sono disabili che vivono nel territorio e il servizio si articola in due ambiti:

  • Centro diurno
  • Comunità alloggio.

La cooperativa non offre solo assistenza a utenti affetti da disabilità serie, ma svolge anche un’attività educativa organizzando laboratori creativi e un’attività riabilitativa con l’intervento di un fisioterapista; ovviamente le proposte riservano maggior attenzione al percorso più che ai risultati, poiché lo scopo principale è quello di tutelare la persona nella sua interezza.
Il diurno funziona dalle ore 8.30 alle ore 16.30 ed è frequentato da una decina di utenti, per i quali è previsto anche il servizio di trasporto.
La comunità alloggio può ospitare al massimo 8 persone che vivono all’interno della struttura anche di notte e sono seguiti sempre dal personale preposto.

Fra gli obiettivi del servizio di comunità alloggio vi è quello di alleviare le famiglie, con figli o parenti diversamente abili, dal carico assistenziale per brevi o lunghi periodi, concordati con le Assistenti Sociali di riferimento. A tal proposito, si segnala che il centro socio- riabilitativo lavora  in costante collaborazione con l’A.S.S.L. e con le famiglie. Queste ultime in particolare rappresentano dei validi “giudici” e degli  insostituibili consulenti.
L’età media degli utenti è di circa trent’anni; spesso, infatti, è questa l’età in cui la famiglia ha più bisogno dell’appoggio della comunità, perché i genitori sono anziani e non sempre sono in grado di offrire al ragazzo un’assistenza adeguata.

Purtroppo i rapporti con il territorio sono scarsi e si limitano a contatti sporadici; il volontariato  non è sempre disponibile nei giorni feriali, quando la gestione del centro ne trarrebbe  un reale vantaggio.
Infatti anche una semplice uscita con le carrozzine (che al diurno costituiscono circa l’80% dell’utenza) richiede la presenza in servizio di quasi tutti gli operatori, cosa non attuabile poiché gli operatori  lavorano a turno.

Per quanto riguarda il rapporto utenti / operatori, la normativa prevede uno standard 1:2,5: vale la pena sottolineare che il personale messo a disposizione va molto al di sopra di tali standard, per una precisa politica di erogazione del servizio da parte della Cooperativa.
Bisogna comunque sottolineare che per svolgere al meglio questo lavoro, non basta la professionalità, ma sono richieste  una sensibilità e una capacità relazionale notevoli.

La cooperativa Alba inoltre svolge un’opera di sensibilizzazione e penetrazione territoriale, affiancando la propria attività assistenziale e riabilitativa con l’organizzazione della “Rassegna di teatro handicap -L’Alba del  teatro” nell’ambito della stagione teatrale 2006/2007 del Comune di San Stino.
Per chi fosse interessato, domenica 25 Febbraio 2007 ore 17, va in scena “Circle Alba”.

Una nota a parte circa il nome del centro “Amedeo Pellegrini”. A. Pellegrini fu, per moltissimi anni, medico e ufficiale sanitario del Comune di Gruaro; era per tutti un riferimento insostituibile, un professionista competente e disponibile, forse un po’ austero e burbero, ma fidato e amato. Un affetto che è stato ricambiato dal “dottore” che ha lasciato a Gruaro la sua cospicua raccolta di libri, ora conservati nella biblioteca comunale.
Il nome del Centro è quindi un giusto riconoscimento della Comunità all’operato di un medico e di una persona corretta e onesta.

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Per tutti gli alberi sacrificati per “sicurezza”…

L’olmo caduto

Chiunque avesse abbattuto l’olmo
Non lo aveva tagliato netto,
E sanguinò finché la neve dal cielo
Non sanò la ferita con una placenta d’argento

Il tronco, lucente di smalto di ghiaccio
Bianco venato come teca di cristallo,
Rigido giacque contro la nuova voce
Sibilata tra i denti invernali del vento.

Qualunque mai cosa scaldasse
L’olmo fino alle radici entro il suolo
Pietosa come la primavera
Scaldò il cuore del fusto

Legato al suo ceppo da un lembo
Di legno, quasi cordone d’ombelico,
Simile a madre che nutra il figliolo
Nel suo mondo d’embrione

Finché poté far breccia nel muro,
E s’aprì il varco, quando ogni irto ramo,
Germogli di foglie esplose, in verzura
Dalla coppa dell’olmo caduto.

da L. SALOMON, in “Poesia americana del’900”, Guanda

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Sandra Torresani

Nuvole disordinate

Nuvole disordinate
sono i pensieri
sillabe spezzate
il vento mette in fila
nuvole di canto
se sei il cielo
disteso nell’azzurro
completamente
bianco.

da “Con respiro lieve”

per Alda Merini

Crescono da sole
le figlie della notte
devo metterle al mondo

Ogni poeta lava
il suo pensiero, Mia Signora
e la mia acqua
è ancora così colorata….

da “Con respiro lieve”

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TFR – Istruzioni per l’uso

Ci siamo quasi.

Dal 1° gennaio ed entro il 30 giugno 2007 ogni lavoratore dipendente dovrà decidere cosa fare dei versamenti a venire del proprio T.F.R. (Trattamento di Fine Rapporto, la vecchia liquidazione insomma) e, dettagliatamente, se continuare con il sistema vecchio (mantenere il tfr in azienda e percepirlo all’atto di cessazione del rapporto di lavoro) oppure se rinunciarvi per aderire ad uno di quei meccanismi di gestione del denaro chiamati “fondo pensione”, per mezzo dei quali poter integrare la propria pensione con una quota di denaro a parte.

Nel marasma di informazioni -più o meno ufficiali e più o meno pubblicitarie- che si trovano in merito a questo lucrosissimo (parliamo di 14 miliardi di euro all’anno di versamenti TFR) argomento e, parlando non da esperto del settore, ma da cittadino comune e lavoratore direttamente coinvolto, m’interessa in questa sede, fare un po’ di chiarezza riguardo alle varie voci che si sentono o quantomeno fare un po’ di luce sui punti più scottanti, demandando l’approfondimento delle problematiche macroscopiche o delle situazioni specifiche ad altre sedi e modi.

In Rete (internet) le informazioni sono moltissime, ma tra le fonti che mi son parse più serie ed accreditate cito le seguenti:
http://www.tfr.gov.it/tfr/homeTFR.htm –> il sito istituzionale della Riforma previdenziale complementare.
http://www.beppescienza.it –> sito del prof. Beppe Scienza, autore de “Il risparmio tradito”, professore di matematica all’università di Torino.
http://www.asterisk.it –> Associazione Tutela Risparmiatori e Consumatori di Bolzano.

Innanzitutto delineiamo il quadro:

  1. La riforma della previdenza complementare nasce dall’esigenza da parte delle istituzioni di rispondere all’inevitabile decrescimento del valore della quota pensionistica della previdenza obbligatoria (INPS), effetto scaturito dalla riforma Dini del 1995 (il famoso passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo), o almeno questo è il motivo ufficiale.
  2. E’ importante ricordare a questo proposito che l’INPS sta pagando le pensioni con i contributi dei lavoratori attualmente attivi e che per i pensionati di domani (quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995) la pensione garantita s’aggirerà all’incirca intorno al 40% dell’ultimo stipendio, quota ritenuta certamente poco dignitosa.
  3. Ai fini di cui sopra, s’è pensato di “chiedere” ai lavoratori di rinunciare al proprio TFR (ex-liquidazione) hic et nunc, per aderire a dei fondi (cioè “sistemi di gestione finanziaria del denaro”, cioè “il mercato”, cioè “la borsa”) con i quali gestire tali versamenti e con il ricavato (?) di tale gestione andare così ad integrare la propria pensione garantita di vecchiaia o anzianità, quando sarà il momento.

Quali i problemi principali di questa “proposta”?

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Di muri e viaggi

Avevo deciso, già da un po’ di tempo, che in questo spazio avrei parlato di muri, metaforici naturalmente, da abbattere per cercare di leggere ed interpretare, fuori da schematismi, in modo più aperto e libero tutto ciò che  ci accade attorno. A questo punto, il pensiero va immediatamente, per analogia, al muro di Berlino la cui caduta, nel 1989, ha inaugurato una stagione di speranze di rinnovamento che non sono però durate molto, perché dinanzi alla complessità della nuova realtà che si è andata delineando, non più divisibile nettamente in due, molti hanno trovato più comodo erigere nuove barriere, mentali questa volta, piuttosto che tentare di adottare nuovi metri di giudizio. Mentre riflettevo su questo aspetto e cercavo di elaborarlo in modo più compiuto, mi sono imbattuta in un’altra parola, altamente evocativa, viaggio, ed ho pensato che i due termini, apparentemente antitetici, potevano servire ottimamente a sviluppare un ragionamento, che poteva diventare programmatico per la nostra associazione e per tutte le altre consimili, che si definiscono culturali. Una volta abbattuti i muri, bisogna, ho pensato, intraprendere un viaggio, metaforico anche questo naturalmente, dentro di sé e fuori di sé, alla ricerca di motivazioni e significati autentici e nuovi che ci aiutino a comprendere una realtà che cambia velocissimamente e che pone problemi ed interrogativi mai incontrati prima. In questa prospettiva muro-viaggio non esistono più argomenti tabù, che non possono essere affrontati e discussi e, se non ci sono più comode e facili certezze, c’è una ricchezza di opinioni e punti di vista stimolanti e vitali.
Certamente questo, che ho delineato, è un percorso faticoso ma necessario, da tener presente se si vuole uscire dall’impasse in cui spesso ci si imbatte nell’analizzare i fenomeni contradditori e complessi di questa nostra epoca. Per concludere, questa nostra riflessione vuole diventare, in questo momento dell’anno aperto ai programmi e ai propositi, un augurio e un pungolo per tutti, noi compresi.

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dicembre 2006

I prossimi appuntamenti:

  • 7 gennaio 2007: visita guidata a Padova alla Cappella Ovetari, nell’ambito della mostra dedicata al Mantegna, e alla Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto.
  • 3 febbraio 2007: presentazione del libro di Cecilia Gentile “Buongiorno Senegal”, Ediciclo Editore, sarà presente l’autrice.
  • 23 febbraio 2007: presentazione del libro di Anna Mazzolini “L’altro Iraq”, Nuova Dimensione, sarà presente l’autrice.

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A N I M A – LI

Da molti anni studio il comportamento dei lupi, dei cani e dei gatti, questi ultimi due in relazione all’uomo. Trovo sia necessario comprendere ed approfondire la comunicazione con gli animali con i quali condividiamo la nostra quotidianità. Ristabilire armonia tra due specie è assai difficile, quando siamo sbilanciati verso un rapporto utilitaristico (cani da lavoro, etc.), o verso una relazione non rispettosa delle caratteristiche specifiche del cane, ad esempio cani considerati come bambini o peggio, una relazione basata sul “io comando, tu obbedisci”.

Purtroppo le relazioni su cui intervengo sono spesso ricche di luoghi comuni come: “il cane deve essere trattato da cane”.
Mi chiedo cosa significhi una affermazione di questo tipo, visto che non si sa il perchè di certe risposte da parte del cane, e non si sa come rendere giustizia alla  mente di un grande predatore (il cui progenitore è il lupo). Forse non è chiaro che il cane è un animale che vive il branco come noi la famiglia, ha bisogno degli altri componenti per cooperare e quindi per sopravvivere.

Vivere fuori in un giardino, magari da soli, non è ciò che si aspetta da noi, non è ciò che desidera da una relazione basata sulla fiducia. Quando decidiamo di vivere 10-15 anni della nostra vita con un cane è necessario essere responsabili del suo benessere, non solo nel fornirgli un ottimo e caldo riparo, una adeguata alimentazione non fatta di avanzi, ma bilanciata nei suoi ingredienti, assicurargli una profilassi sanitaria, anche per la salute pubblica (vaccini, sverminazione, disinfestazione contro pulci e zecche), ma soprattutto comprendere, come faremmo con chi consideriamo amico, il suo punto di vista. Non ha alcuna giustificazione l’uso di tecniche violente per farlo smettere di abbaiare e  farci obbedire per situazioni che in natura non esistono (uso del collare a strangolo, collare elettrico), quando in natura, sicurezza e protezione sono alla base della crescita di una cucciolata di lupi fino al raggiungimento dell’anno di età. Il potere in una relazione non risolve nulla, spesso acuisce i problemi.

Conoscere la mente del cane significa non solo costruire un rapporto fatto di fiducia, ma affinare anche la sintonia per prevenire comportamenti indesiderabili, significa evitare l’istigazione all’aggressività (con inutili giochi di lotta o manovre dolorose), conoscere le caratteristiche ed essere responsabili per la sua e altrui incolumità.
Essere competenti vuol dire conoscere, non in modo grossolano e superficiale, quella miriade di segnali che il cane ci manda, risolvere i conflitti e soprattutto evitare l’uso della punizione (spesso alla base di vecchi e inutili sistemi di addestramento)
La punizione fa perdere fiducia, “congela” la personalità e spesso promuove comportamenti aggressivi.

Ricordiamoci che la maggior parte di reazioni violente da parte del cane, compresi i morsi, avviene nei confronti della famiglia che vive con lui.

Per approfondimenti, informazioni e corsi: http://www.puca.eu

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