archivio articoli
0

Paolo Caliari detto il Veronese

Dopo la mostra sul Veronese, tenutasi al Museo Correr, mi è venuta la curiosità di andare a visitare le opere che questo artista ha lasciato a Venezia. Tappa obbligata di questo tour è sicuramente la chiesa di San Sebastiano, uno dei più importanti luoghi dell’arte veneziana, riunendo il più straordinario corpus di opere di Paolo Caliari detto il Veronese. La sensazione che si prova entrando in questa chiesa è di dispersione perché lo sguardo si perde nell’osservare le molte opere presenti e non si sa davvero dove guardare, vista la bellezza di ciò che è conservato in questo edificio. L’intervento del Veronese, voluto dal Priore veronese frà Bernardo Torlioni, a cui spetta la concezione tematica dell’impresa intesa come allegoria del trionfo della fede sull’eresia, si articola in tre momenti, di cui il primo ha inizio nel 1555, ed ha per tema la decorazione del soffitto della sacrestia con Scene dell’Antico Testamento (Vergine Incoronata ed Evangelisti), a cui fa seguito la complessa decorazione del soffitto a cassettoni della chiesa, protrattasi fino al 1556 e ispirata al Libro di Ester (Ester incoronata da Assuero, Ester incontra Assuero e il Trionfo di Mardocheo).

Tra il 1558 e il 1559 Veronese realizza il secondo intervento, decorando con affreschi la parte superiore della navata centrale (Padri della Chiesa, Profeti, Sibille e personaggi biblici) e il coro dei frati (episodi della Vita di San Sebastiano) e realizzando le portelle d’organo e il parapetto (Presentazione di Gesù al Tempio, Piscina Probatica e Natività). L’ultimo intervento risale infine al periodo 1565-70, con l’esecuzione della grande pala d’altare con la Madonna in gloria con San Sebastiano e altri santi e dei due teleri laterali del presbiterio raffiguranti i Santi Marco e Marcellino condotti al martirio e il Martirio di San Sebastiano. La chiesa conserva anche le spoglie del Veronese (a sinistra del presbiterio).

Prendendo in considerazione una parte della decorazione del soffitto dipinto dall’artista, cioè Ester incoronata Da Assuero, mi sono posta il problema di capire quale sia il suo stile e che cosa accomuni tutta la sua attività. Quest’opera che, essendo, come già detto, dipinta per il soffitto della Navata, deve tener conto della posizione elevata, dell’ampiezza del luogo e della distanza dallo spettatore. Questi fatti portano ad un accentramento di quelle caratteristiche già presenti in Veronese: la monumentalità e la ricerca dello scorcio particolare.

Una costante di questo pittore è inoltre l’uso dei colori complementari, che accostati, pur restando distinti, generano l’equivalente della luce bianca, determinando un’intesa luminosità chiara.

[print_link]

0

Presentazione

Prima di chiedere a qualcuno di condividere un viaggio reale o metaforico è doveroso presentarsi.
Siamo l’Associazione culturale “La Ruota” di Gruaro, che ha per scopo, come da statuto, “la promozione sociale della cultura”. Siamo peraltro una associazione giovane e perché siamo nati da poco, precisamente il 23-09-04, e perché giovane, non tanto anagraficamente quanto di idee, è il nostro target di riferimento.

Questo non è il nostro primo contatto con il pubblico, abbiamo avuto già modo  di farci conoscere, sia pure in ambito locale, attraverso una serie di attività diverse ed articolate, tutte accompagnate da una riflessione e da un confronto aperti, sulle pagine del nostro bollettino, sul significato da dare al termine “cultura” che, sotto forma di aggettivo, campeggia nel nostro logo. Siamo così giunti ad individuare alcune linee guida che possiamo così riassumere:

  1. coesistono, nel nostro tempo, tante culture tra le quali bisogna orientarsi;
  2. ogni epoca ne ha una sua;
  3. la cultura/e va condivisa e diffusa;
  4. il fenomeno culturale è qualcosa di complesso, fatto di conoscenze ma anche di esperienze concrete e collettive;
  5. spesso una nuova cultura collide con quelle che l’hanno preceduta, ma dal contrasto nasce un fermento vitale.

Il quadro di riferimento uscito dal dibattito è pertanto dinamico e non univoco e a questo abbiamo fatto riferimento nell’impostare e programmare le nostre attività che si presentano molto diversificate tra di loro e per ambiti disciplinari e per tematiche, e questa varietà non è casuale, ma nasce  con lo scopo di focalizzare bisogni ed esigenze del nostro pubblico.

[print_link]

0

“Sete d’Africa – Mali e e Burkina-Faso in bicicletta” di Claudia Perugini

Per cercare di ridurre le distanze fisiche e mentali che ci separano dal Burkina Faso, può essere utile la lettura di “Sete d’Africa”, libro scritto da Claudia Perugini ed edito da Ediciclo nel 2004.

Non si tratta di un testo scientifico o tecnico, o di indagine socio-economica, ma è il diario di un viaggio in bicicletta, fatto dall’autrice con il marito Max nel paese subsahariano, e  in cui essi riescono a coniugare la passione per il cicloturismo con la solidarietà. Max e Claudia, concependo la loro impresa , infatti avevano deciso  che ” la ( loro ) pedalata  doveva essere qualcosa di diverso da una semplice vacanza” ed avevano incominciato , prima del viaggio, a cercare contatti e fondi, approdando ad aderire al progetto ” Acqua è vita” dell’associazione di volontariato internazionale L.V.I.A.

Il libro è quindi la cronaca di questo percorso, fatto dai due protagonisti, fuori e dentro di sè, per costruire e realizzare qualcosa di concreto e utile per  gli altri, oltre che per vivere un’esperienza ciclistica intensa, straordinaria, radicale. Il resoconto del viaggio si snoda in modo diretto, lineare incisivo ed appare scritto con gli occhi, con la mente e con il cuore, per aiutarci non solo a vedere luoghi lontani, colti nella loro complessa realtà, senza alcuna concessione all’esotismo e alla retorica, ma anche a rivedere il nostro mondo e modo di vivere in un’ottica di essenzialità ed autenticità.

[print_link]

0

Un fotografo dall’occhio da scultore

Il 24 giugno 2005, è stata inaugurata a Chicago, alla FLATFILEgalleries, la mostra fotografica personale di Claude Andreini, nostro concittadino, dal titolo evocativo “METROPOLIS”.
Riportiamo di seguito la critica della curatrice Susan Aurinko, in collaborazione con il Dr. Michael Weinstein – Prof.  di Scienze Politiche alla Purdue University di Chicago.

“Claude Andreini è un modernista, che realizza immagini nella più grande tradizione lineare, con una composizione formale e senza necessità di spiegazioni.
Nonostante l’autore dichiari a proposito del lavoro METROPOLIS che esso è nato da considerazioni ambientaliste, alla fine risulta che Andreini realizza delle foto assolutamente magnifiche della stessa realtà, quella urbana, che intendeva criticare. A lui è impossibile scattare una fotografia che non sia equilibrata alla perfezione. È in questo modo che funziona il suo occhio ultrapreciso. Che siano fotografati nudi, elementi architettonici, ambientazioni urbane o lugubre camere di campo di concentramento, Andreini rappresenta i suoi soggetti con una purezza e un rispetto estremi. Affiora nell’insieme della sua opera una comprensione della forma e della superficie che nasce dai suoi studi di scultore.

Il corpo del lavoro intitolato METROPOLIS, rivolto all’evocazione di distese urbane e dell’assenza di natura, osanna invece la bellezza lineare della città. Gli angoli sono utilizzati al meglio per creare immagini che mostrano il paesaggio urbano come un mondo di strutture monumentali di acciaio e di vetro, simili nella loro essenza, a delle sculture che si drizzano verso il cielo. Immensi pannelli pubblicitari, mostrando visi enormi, giustapposti all’architettura aggiungono una strana umanità a questo ambiente peraltro sterile. Quando appaiono individui, le loro sagome sono indistinte, spettrali, e si muovono dietro una lastra di vetro traslucido lavorato. In un caffè all’aria aperta, ombrelloni sistemati in cerchi concentrici nascondono ogni essere  suscettibile di pranzare al loro riparo, mostrando di nuovo una versione surrealista della città, priva dalla gente che la crea e l’abita. Un po’ come se la città sorgesse dalla terra completamente formata, senza l’aiuto delle popolazioni, tanto le sue strade sono vuote in queste fotografie sconcertanti.” (…)

(trad. Selim e Indira Chanderli)


0

A proposito di “Metropolis”… intervista a Claude Andreini

Ho incontrato Claude Andreini al ritorno da Chicago e gli ho posto alcune domande, allo scopo di evidenziare e di meglio capire la genesi, le motivazioni e le intenzioni comunicative ed artistiche che stanno alla base di questo suo lavoro di fotografo ed artista.

Come è nata Metropolis?
“L’ispirazione per questo mio lavoro è nata visitando tante città europee, grandi e piccole, dove ho avuto la sensazione che l’architettura moderna, rigorosa, funzionale, fatta di materiali  lisci e duri, come l’acciaio, brillanti e trasparenti come il vetro, non fosse affatto accettata. Idem per altre strutture, magari antichizzanti, segni di passata ricchezza, ma non certo di socializzazione; perciò al piede di slanciate torri di cristallo, l’impiegato si rifugia a sorseggiare una bibita sotto ombrelloni di paglia; lo stesso avviene nel cortile, circondato da imponenti colonne greco-romane, di un museo; sui muri poi di centinaia di appartamenti, appollaiati gli uni sugli altri, campeggiano manifesti di persone sorridenti… e così via.”

Mi sembra di capire che quello che rappresenti nelle tue foto è un ambiente urbano, alienante, che genera disagio.
“Sì, le immagini vogliono evidenziare proprio il malessere dell’uomo a vivere in strutture che non sono consone per la vita naturale a cui aspira. Esse tentano di dimostrare che la scelta è stata sbagliata e che, individualmente, nel suo piccolo, ogni individuo cerca di ricrearsi un angolo a sua misura.”

Hai colto questo stesso disagio di abitare anche a Chicago?
“La stessa domanda mi è stata fatta anche da Michael Weinstein, giornalista-filosofo americano, nel corso di una intervista, ed ho dovuto rispondere che no, non avvertivo nel paesaggio urbano americano quel disagio palpabile che avevo testimoniato con le mie foto. In effetti, la vista delle formidabili torri di Chicago, città simbolo dell’architettura americana, (grazie alle opere di Van Der Mies e Wright, fra gli altri), non mi ha fatto cogliere la stessa sensazione che mi aveva colpito in Europa. Lì, il cittadino non sembra per niente soffrire dell’assenza di dimensione umana, nonostante tutto sia enorme, gigantesco, smisurato. Forse per l’assenza di radici antiche, la modernità è totale, dalla testa ai piedi, senza compromessi: niente ombrelloni di paglia, niente bar “esotizzanti”, nessuna nostalgia affidata a poster di Lawrence d’Arabia. E quindi non ho potuto confermare la mia tesi con altri scatti americani.”

Questa tua affermazione mi sembra un po’ controcorrente.
“Ribadisco che questa esaltata struttura architettonica non ha tolto umanità ai rapporti tra cittadini. Da tanto tempo avevo dimenticato il saluto sistematico di sconosciuti quando entri in un negozio; la conversazione con estranei che, curiosi, ti chiedono cosa stai fotografando sul marciapiede; la moneta che ti rendono sul palmo della mano e non sul freddo vetro del banco; o lo scambio di biglietto da visita quando inviti una persona, mai vista e conosciuta prima, alla tua mostra. Insomma ho avuto la sensazione che effettivamente ci sia a Chicago un “homo diversus” da quello europeo, adattato alla struttura della città. Di conseguenza, per integrare e sviluppare, per contrasto, la mia tesi, ho fatto foto di quella architettura, di quelle persone, di quella modernità.”

Sarà possibile vedere allestita anche qui da noi qualche tua mostra?

“Ottobre 2005: New York. 2006: Chicago e Ginevra.
Sono quindici anni che le mie opere sono inserite in collezioni pubbliche e private internazionali e che insegno ed espongo fotografia in giro per il mondo, ma mai ho avuto la possibilità di farlo a Gruaro. Il perchè…”

Ultimo lavoro visibile: http://www.photodigitalgrosseto.com

Sito ufficiale

[print_link]

0

Una goccia d’acqua nel deserto del Burkina-Faso

Superficie: 274.471 Km²
Popolazione: 13 milioni abitanti (2005)
Reddito procapite: 1040 $ (2005)
Speranza di vita: 46 anni (2003)
Popolazione con meno di 1 $ al giorno: 45% (2002)
Accesso all’acqua da bere: 51% (2002)
Bambini sottopeso sotto i 5 anni: 34% (2003)
Spesa per salute: 7% P.I.L. (2005)
Spesa per difesa: 14% P.I.L. (2005)

Leggendo un quotidiano locale sono venuta a conoscenza dell’esistenza di un’associazione di volontariato a Quarto d’Altino, Oltreiconfini,  che ha messo in piedi un ambizioso progetto d’aiuto per il villaggio di Pendogo situato  in uno dei più poveri paesi dell’Africa sub-sahariana, il Burkina-Faso.

Il progetto consiste nella trivellazione di un pozzo che possa fornire alla popolazione del villaggio, di circa 450 persone, almeno 20 litri d’acqua potabile al giorno per abitante. Poiché  nella scuola dove insegno, l’ISIS “Luzzatto” di Portogruaro, con la collaborazione d’alcune colleghe, da un paio d’anni abbiamo messo appunto, per le classi prime e seconde, un progetto d’educazione ambientale, lo scorso mese d’Aprile due volontari dell’associazione Oltreiconfini sono venuti nel nostro Istituto a presentare il loro progetto che dovrebbe essere terminato entro il 2005.

Durante la conferenza, sia io che gli alunni invitati, abbiamo potuto toccare con mano la terribile situazione in cui versa un continente enorme come l’Africa sia per quel che riguarda la carenza cronica d’acqua potabile sia per la situazione sanitaria che è spaventosa: si pensi che nel villaggio di Pendogo, un bambino su cinque non raggiunge i sei anni d’età a causa di malattie derivanti dall’uso d’acqua non potabile. In questo villaggio, che ha un territorio compreso in un’area di 10 km per 3 km, esistono solo due pozzi dai quali possono essere prelevate scarse quantità d’acqua per lo più inquinata sia dal punto di vista chimico che biologico. L’insufficienza d’acqua potabile, aggravata da una cattiva gestione dei punti d’acqua esistenti, è all’origine di molte malattie trasmesse dall’acqua come infezioni alla pancia, diarree infantili, la dracunculosi (verme di Guinea).

L’idea di questo progetto è nata in seguito all’analisi del contesto socio-economico del dipartimento; da quest’analisi è emerso che, nonostante l’esistenza di punti d’acqua, vi sono seri problemi di mancanza di questa per il consumo umano e animale, soprattutto durante la stagione secca. Infatti, durante questo periodo, la maggior parte dei punti d’acqua esistenti si esauriscono e le donne devono percorrere 5-10 km a piedi per cercarne di nuovi. Il progetto permetterà di risolvere le difficoltà d’approvvigionamento d’acqua potabile, di lottare contro le malattie idriche, di contribuire a risolvere i conflitti sociali attorno ai pozzi e di permettere alle popolazioni di impiegare meglio il loro tempo in attività economiche più remunerative.

Infatti basta pensare che la maggior parte delle bambine non può frequentare la scuola, che nel paese sarebbe in teoria obbligatoria, perché alla famiglia serve acqua per la sopravvivenza e quindi sono proprio le bambine che più volte al giorno,  a piedi o su sgangherate bici, si recano ai pozzi per recuperare quella poca acqua disponibile. Come precisato nel titolo questo progetto è paragonabile ad una goccia di pioggia che cade nel deserto ma se si pensa che questa iniziativa ha un costo di solo € 11.000 e che permetterà sia di salvare molte vite umane dalle malattie legate all’uso di acqua non potabile  sia un migliore uso del tempo delle popolazioni, ci si convince che anche un  piccolo intervento per alleviare le sofferenze di almeno un villaggio nella sterminata Africa, senza avere la presunzione di risolvere problematiche antiche, legate alla colonizzazione del continente, alla corruzione e alla cattiva gestione politica ed economica, perpetuata dagli odierni governi locali.

[print_link]

Superficie: 274.471 Km²

Popolazione: 13 milioni abitanti

Reddito procapite: 1040 $

Speranza di vita: 46 anni (2003)

Popolazione con meno di 1 $ al giorno: 45% (2002)

Accesso all’acqua da bere: 51% (2002)

Bambini sottopeso sotto i 5 anni: 34% (2003)

Spesa per salute: 7% P.I.L.

Spesa per difesa: 14% P.I.L.

0

ottobre 2005

Abbiamo esordito in modo accattivante e giocoso, per tentare di fugare il pregiudizio di pedanteria che accompagna spesso la cultura, con una serata di poesia, “Pensieri DIvini”, curata dalla prof.ssa Mariella Collovini e animata dagli attori della compagni “Altre voci “, che ha voluto essere un brindisi metaforico, di buon augurio per l’attività della neo-nata associazione.

Abbiamo poi proseguito con un seminario dal titolo “Comunicare in modo costruttivo”, tenuto dal dott. Ezio Ciancibello.

Non abbiamo trascurato neanche il campo tecnico scientifico, ecco allora la serata sull’energia sul tema “Utilizzo dell’energia solare in edilizia civile”, che ha avuto come relatori il p.i. Vittorio Bearzi e il dott. Paolo Ziliotto. C’è stato in seguito un approccio alla medicina, con l’incontro su “Medicina e sport”, animato da una équipe di medici.

Abbiamo iniziato poi la collaborazione, che continua e che ci vede presenti ad “Eticamente”, con la “Pro loco” di Teglio Veneto in occasione dell’incontro del 25-02-05 con la Banca etica, ed abbiamo preparato per l’occasione, un numero speciale del nostro bollettino, tutto imperniato sull’economia equo solidale.

Siamo tornati poi a proporre la poesia, coniugando dialetto e messaggio poetico attingendo al ricco patrimonio letterario della nostra zona, con una serata, curata dalla prof.ssa Mariella Collovini, dal titolo “Le voci della terra, le parole dell’uomo- amore e nostalgia nella lingua dei poeti tra Isonzo e Piave”.

Abbiamo affrontato anche il problema della gestione e della salvaguardia dell’ambiente, calandolo concretamente nel nostro territorio, organizzando un incontro, tenuto dal socio Claude Andreini, in collaborazione con l’Associazione “Un parco per Boldara”, dedicato al progetto “Un percorso naturalistico sulla riva sinistra del Lemene a Boldara di Gruaro”, a cui ha fatto seguito una escursione conoscitiva in loco.

[print_link]

0

Il “parco” di Boldara – Scheda tecnica

  • Classificazione: oasi naturale, cioè zona che gode di un certo livello di protezione: sono vietate alcune attività come la caccia. Questo livello non è sufficiente per impedire lo sfruttamento edilizio ed alcune attività anche di peso antropico importante.
  • Posizione geografica: geologicamente la zona è inclusa nel bacino del Tagliamento e si estende da Portovecchio a Cintello, lungo il fiume Lemene, su una larghezza di circa 1 km.
  • Estensione: complessivamente sono circa 140 ettari di superficie.
  • Tipologia: zona di pianura con porzioni umide, lungo il fiume Lemene.
  • Origine: a tutt’oggi il parco in quanto tale non è stato ancora istituito ufficialmente, ma è stato ideato dopo accordi verbali con i proprietari dei fondi. Esso però esiste, dal 1995, con un nome diverso: “Oasi di protezione” ed è riconosciuto dalla LIPU, dal WWF, da Soroptimist e dal Lion’s Club.
  • Flora: la flora caratteristica spazia dal carice alla felce, dall’arbusto all’albero e si annida ormai laddove può, ossia nelle ristrette nicchie di territorio non sfruttato dalle coltivazioni intensive o dall’edilizia.
  • Fauna: essa è caratterizzata, dove il peso antropico non è eccessivo, da uccelli acquatici e di pianura. Attualmente, per molteplici motivi, sta cambiando, con l’arrivo o la stabilizzazione di specie più consone al litorale adriatico. La fauna ittica si limita quasi esclusivamente alla trota, spesso nemmeno indigena.
  • Aspetti significativi: è un caso pressoché unico di gestione di un territorio da parte di un gruppo di privati, senza alcun sostegno politico locale. La Provincia però ha riconosciuto l’assoluta valenza ambientale del lavoro svolto e agisce per proteggerlo.
0

Un Parco a Boldara?

L’idea di un “foresto”, un lavoro da pazzi (pochi)… Un piacere per tutti (tanti).

Il mio primo intervento sull’ambiente di Boldara, che nel frattempo era diventato il mio luogo di residenza, risale all’autunno 1989, quando, stanco di vedere la zona abbandonata all’incuria ed usata palesemente come discarica abusiva incominciai, con l’aiuto della mia famiglia, la pulizia del bosco accanto al mulino. Ebbe così inizio il recupero di quel sito naturale che un giorno, forse, diventerà ufficialmente il Parco di Boldara.
Per anni, con pochi aiuti e risorse, sono stati piantati centinaia, meglio, migliaia di alberi autoctoni, arbusti e carici. Sono state così reinserite piante scomparse da decenni; ancora adesso poi, ogni anno, sono estirpati a mano rovi ed altri infestanti. Inoltre, annualmente, vengono raccolti centinaia di oggetti abbandonati disinvoltamente nell’ambiente, assieme a contenitori di vetro o di plastica. Se non lo fa l’Associazione, nessuno lo fa. Mi sono spesso chiesto il perchè di questo comportamento ed ho concluso che forse si pensa che se si nascondono le immondizie esse non esistono.
Nel 1995 poi, grazie ad un gruppo di amici portogruaresi entusiasti dell’idea e dell’iniziativa, è nata ufficialmente l’associazione “Un parco per Boldara”, riconosciuta dalla Provincia di Venezia. Alla fine degli anni ’90, l’Associazione è riuscita a far classificare un territorio di 140 ettari come “oasi naturale”.
In questo ambito  ormai serpeggia una passeggiata ecologica, curata con rigore scientifico e arricchita da schede botaniche e faunistiche e anche da testi letterari, per permettere al visitatore di capire meglio l’ambiente in cui si trova, la sua unicità, che va salvaguardata, e per guidarlo ad individuare, con certezza, i suoi abitanti naturali, animali e piante.
Nonostante questo lavoro incessante e dispendioso, in energie e denaro, sostenuto esclusivamente dall’ideatore, nonostante il posto sia visitato da turisti di tutta Europa e da centinaia di alunni, provenienti da tutto il Veneto, da Fossalta a Mirano, da Mestre a San Donà, socialmente parlando, l’Associazione è fallimentare: non è mai stata accettata né dalla popolazione né dalle istituzioni locali. Perchè?
Forse questa è un’altra delle domande che troverà risposta nella serata, che sarà dedicata alla presentazione e descrizione, mediante la proiezione di diapositive, del progetto e delle fasi della sua realizzazione, dalla nascita ad oggi. Forse troveremo poi, nel dibattito,  risposte a tanti altri interrogativi concernenti le difficoltà che hanno costellato questo tipo di volontariato e, mi auguro, cercheremo insieme le soluzioni che garantiscano il decollo, in futuro, del parco che è stato pensato a beneficio di tutta la popolazione di Gruaro.

Claude Andreini
Presidente dell’Associazione “Un Parco Per Boldara”

0

A contatto con la natura

Boldara è sicuramente la zona più verdeggiante di Gruaro, perciò meta di scolaresche desiderose di conoscenza e anche di adulti in cerca di pace. Essendo attraversata dal Lemene, è rifugio e casa per uccelli, anatre, oche e cigni depongono le uova nelle rive del fiume, ma purtroppo i piccoli non sempre nascono perchè dei “visitatori indesiderati” toccano le uova.
Comunque la passeggiata è un posto dove si può rimanere a contatto con la natura. Per me, le stagioni più adatte per visitare il parco, sono la Primavera e l’Estate. La Primavera, porta con sè profumi e suoni gradevoli: le piante in fiore colorano le ormai tiepide giornate primaverili che sono accompagnate dai canti degli uccelli innamorati. L’Estate è la stagione giusta per trovare refrigerio sulle rive ombrose del Lemene, oppure se si viene in bicicletta, si può fare una capatina al mulino di Boldara, non meno incantevole della passeggiata. In Autunno ci possono essere dei funghi, ma anche lo splendore multicolore degli alberi ti incanta; mentre in Inverno l’erba è piena di brina e tutto ghiaccia: sembra che si ghiacci persino il tempo.
Il Lemene è, purtroppo, il più ambito sogno di tutti i pescatori: nelle sue acque i pesci guizzano contenti e si riproducono ogni anno, e sono cibo per gli uccelli che si fermano a Boldara per fare una “pausa”.
A volte, mentre riposo sotto un albero, mi pare di sentire la sua voce, che mi ricorda quella di un ruscello che scorre impetuoso, il grido di un albero che viene abbattutto, oppure il fruscio delle ali di un uccello. Per me, la cosa più affascinante di Boldara, è guardare che cosa ha scolpito la natura: alberi incavati che ospitano humus e funghi e penso che la natura ha impiegato molti anni per creare queste meraviglie, mentre noi, in pochi anni riusciamo a distruggerle. Il caldo estivo che arroventa la testa, qui trova il posto ideale: distendersi sotto una quercia e dipingere, ecco cosa immagino, oppure creare un erbario, con tutte le piante che ci sono. A volte mi assopisco e sogno che tutto il mondo è di nuovo verde e l’uomo ha trovato il modo per non inquinare.
Quando piove, penso anche alla passeggiata e alla bicicletta: vorrei inforcarla per andare a Boldara, a vedere gli uccelli e ad ammirare il Lemene che sembra diverso quando le gocce di pioggia increspano le sue acque tranquille.

Giulia Bozza
Classe V “Edmondo De Amicis” Gruaro

[print_link]