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Incontro NO-TAV Venezia Trieste, giovedì 24 marzo 2011

Salve a tutti!

Dopo l’articolo di Michele Zanetti, riteniamo opportuna una serata informativa sulla nuova ferrovia ad alta velocità (T.A.V.) in via di progettazione e sviluppo, che interesserà anche la tratta Venezia Trieste e quindi la zona del portogruarese.

Nonostante la fondata sfiducia nelle istituzioni e nella politica, crediamo infatti sia importante far sentire il più possibile la propria opposizione a tale scelleratezza.

Proponiamo pertanto un incontro con il comitato NO TAV Venezia Trieste nel quale sarà possibile firmare la petizione all’Unione Europea contro la nuova T.A.V. (si può firmare anche online, andando in questa pagina).

E’ l’unica possibilità che abbiamo di dire la nostra su questo progetto.

Vi attendiamo numerosi giovedì 24 marzo 2011, presso la Villa Ronzani di Giai di Gruaro.

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Emma Marrone ad Annozero

Ebbene sì. Ammetto la mia ignoranza. Prima di ieri sera ed Annozero, non ero consapevole dell’esistenza (e fama) di una giovane cantautrice rispondente all’appellativo di Emma Marrone.

La puntata di ieri sera della trasmissione di Michele Santoro parte infatti spumeggiante, con una ballata dedicata a Sacco e Vanzetti, da ella cantata.

Sono entusiasta, e non solo per le nostalgiche attrazioni bakuniane di gioventù, “Wow, una giovine anarchica all’interno dello showbiz!”, mi sono detto. Visto poi lo scarso seguito che da sempre le “eretiche” idee anarcoidi hanno avuto nella storia e vista la rappresentazione che oggi se ne fa (anarchico = black bloc), ho ammirato dentro me la scelta di ospitare una rappresentante di un mondo così distante da quello “consuetudinario”.

Purtroppo i primi dubbi di aver frainteso qualcosa li ho avuti poco dopo, quando, a precisa domanda di Giulia Innocenzi se fosse anarchica, la signorina ha risposto: “l’unica cosa in cui credo da qualche tempo è Dio, che è l’unica cosa certa”… e lì qualche sospetto m’è venuto.

Però ero ancora emozionato dalla rievocata (almeno da me) vicenda di Sacco e Vanzetti, quindi ho concluso che se dopotutto adesso ci si può definire “comunisti e cattolici” (Vendola dixit), magari si potrà pure dirsi “anarchici e credenti”. Massì, mi sono detto: ci sono tanti preti “anarchici”, pensa a Don Gallo, Padre Zanotelli, Don Ciotti, insomma l’importante è ciò che fai, non ciò che senti.

Inoltre mi piaceva, quel suo parlare terra terra, da “donna del popolo”, di una che non ha potuto studiare molto… (si scusava continuamente della sua scarsa proprietà lessicale) ed ero proprio incuriosito dal sentire cosa avesse da dire.

Poi ho letto che è diplomata al liceo classico, ed un po’ mi son sentito imbarazzato, perchè evidentemente la scuola non trasmette granchè; poi ahimè ho ascoltato cosa avesse da dire, e mi son sentito ancor più imbarazzato, per le seguenti ragioni.

Partendo da un'”arguta” osservazione sui giovani libici, a suo dire arrabbiati perchè cresciuti in famiglie sfinite dal clima di oppressione e dittatura, la signorina Marrone ha analizzato la situazione dei giovani italiani, i quali, sempre a suo dire, sarebbero cresciuti in famiglie dove la sterile e continua contrapposizione tra “destra” e “sinistra” ha impedito loro di ragionare, di parlarsi e di combattere uniti “per un futuro migliore” (diciamo così…).
Tralasciando i classici stereotipi sul vestiario di destra e sinistra, o le poco felici battute: “Alla fine siamo disoccupati di destra e disoccupati di sinistra, ma sempre disoccupati siamo”:  la cantautrice suggerisce che “noi” giovani dobbiamo unirci sopra qualsiasi differenza od opinione politico-ideologica (già trovarne, di giovani con idee politiche definite…).

Spietato, Santoro le ha ripetutamente chiesto: “ma uniti per fare che? Per ottenere cosa?”… e la risposta è stata: “la libertà di dire una cosa senza essere etichettati”… cioè il problema dei giovani sarebbe quello di essere definiti via via “fascisti” o “comunisti”…

Conclude infine il proprio intervento con un’altra geniale proposta: “facciamo un partito unico e cerchiamo di salvare l’Italia”. Cioè una bella dittatura e via!

Scusate, ma veramente: che pena… potrei capire se fosse una ragazzina, ma da quel che leggo è donna fatta e matura.

Quando sento discorsi come questo mi viene sempre in mente Nanni Moretti in Ecce Bombo: “te lo meriti Alberto Sordi, te lo meriti!”.

L’intervento di Emma Marrone ad Annozero, 3 marzo 2011

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Donne né perbene né permale

Nel disperato tentativo di far sembrare la manifestazione di domenica 13 febbraio una piccola cosa, sono scesi in campo le cortigiane di Silvio e i sostenitori dell’Arcore style, quelli che sostengono che ogni donna è seduta sulla sua fortuna.
Li sentiamo, li leggiamo su tutti i media sostenere che le donne scese in piazza sono femministe, comuniste, radical chic, moraliste, bigotte….

Ma di cosa e di chi parlano?

Utilizzano etichette che rispondono ad un linguaggio pubblicitario, per semplificare e banalizzare concetti storici complessi riducendoli a slogan.

Scorciatoie linguistiche, probabilmente suggerite da uno staff che tenta in tutti i modi di alzare una cortina fumogena attorno al proprio leader ormai in mutande. Scorciatoie per chi non vuole o non riesce ad entrare nel merito di ragionamenti.
E’ questo il circo mediatico messo in atto da una corte preoccupata, non tanto dalla caduta del loro protettore, quanto dal doversi risvegliare in una vita normale, cittadini senza più privilegi.

Domenica 13 febbraio alla manifestazione “Se non ora quando?” un cartello che girava tra la folla mi ha fatto riflettere, diceva: “BASTAVA NON VOTARLO”.

Ricordate il malloppone patinato che è arrivato nelle case con foto e descrizione spettacolarizzata della vita del futuro leader, ecco probabilmente molti si sono fatti ammaliare da tanta luminosità, da un pifferaio che distogliendo l’attenzione dai problemi veri ha condotto un popolo al ridicolo planetario.
Bastava non votarlo, certo facile a dirsi oggi, ma in molti hanno creduto a promesse di sviluppo e benessere perché il linguaggio usato, entrato nel pensiero comune grazie alle sue televisioni e ai suoi settimanali, ha addomesticato le menti e pur coscienti che quella non era la vita reale, ha donato momenti di spensierata leggerezza.

Ma il suo smisurato ego l’ha tratto in inganno e ora il re è nudo.

Gli si vede il pisello, il suo sedere flaccido, la sua ridicola tinta ai finti capelli e l’abbondante cerone fanno di lui un povero uomo e nulla di più.
Lasciamolo nella sua triste vecchiaia, ignoriamolo, rispondiamo con il silenzio a chi ancora cerca di difendere lui e la sua politica, un silenzio che urla disprezzo.
Non perdiamo altro tempo, parliamo invece con i nostri giovani, i nostri figli, con i nostri colleghi, riportiamo la società in un mondo civile dove il lavoro è si fatica, ma anche soddisfazione, dove il rispetto per l’uomo bianco, nero, maschio o femmina che sia, è un valore imprescindibile in una società civile. Lavoriamo  per far emergere i talenti che ognuno di noi ha, facciamo politica ma di quella vera, di quella che serve a farci dire, prima di addormentarci, nel mio piccolo ho contribuito a costruire un futuro in cui legalità, opportunità, equità e giustizia sono alla portata di tutti.

Sì ho partecipato alla manifestazione “Se non ora quando”.
Perché ho goduto i frutti delle lotte del secolo scorso, ma so bene che i diritti non sono dati per sempre, vanno difesi: con la cultura e con la consapevolezza.
Ero a Venezia a difendere le idee in cui credo. Perché non c’è niente di peggio che tacere il proprio pensiero per paura di venire giudicate.

Francesca Battiston
Capogruppo “Cittadini di Gruaro”

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TAV (VE-TS): soluzione o problema?

Il titolo dell’articolo è tratto dal tema del convegno svoltosi a San Donà di Piave nel dicembre 2010, con la partecipazione di docenti universitari e di tecnici di livello regionale e nazionale. Se la Ferrovia ad Alta Velocità sia infatti una soluzione o un problema è un quesito a dir poco affascinante, anche se assai poco coinvolgente; almeno a giudicare dal livello d’attenzione sino ad ora suscitato nei cittadini del Veneto Orientale.

Per capire se lo stesso quesito sia o meno ozioso (oltre che affascinante) si propone di partire dalla “soluzione” che la stessa TAV andrebbe a rappresentare. Già, soluzione; ma soluzione a che cosa? Non esiste, nel Veneto e nel Friuli (stiamo parlando della tratta Venezia-Trieste) una “emergenza trasporti ferroviari”. Nel senso che, se è vero che i treni italiani sono indecenti e in perenne ritardo, è altrettanto vero che la linea a due binari esistente è sfruttata appena al 70 % della propria capacità. Si potrà obbiettare, a questo punto, che non esiste neppure un’emergenza abitativa o di capienza balneare, eppure si continua a costruire allegramente consumando territorio a ritmi impressionanti.

Qualcuno, disinformato e in vena di facezie come l’Assessore regionale alle infrastrutture Chisso, ha quindi sostenuto che la TAV avrebbe potuto smaltire parte del traffico merci attualmente su gomma. Peccato che gli esperti dello stesso Ministero sostengano che le merci non possono viaggiare sugli stessi binari dell’Alta Velocità; non solo, ma che le sole merci che attualmente conviene trasportare in ferrovia e su lunghe tratte, sono quelle povere (materie prime quali carbone, sabbia, legnami, ecc.): giusto quelle di cui l’Italia non dispone.
Come se non bastasse tutto questo è stata appena avviata la realizzazione della terza corsia autostradale, fortemente voluta dalla Regione Friuli (che detiene l’80% delle azioni di Venetostrade e che dal traffico autostradale trae un utile annuo che si aggira intorno ai 20-25 milioni di euro) e dalla Regione Veneto. Si potenzia cioè il traffico su gomma (che è in buona parte di puro attraversamento) e si dice, contestualmente, di volerlo trasferire in parte sull’Alta Velocità.

Ecco allora che l’espressione “soluzione”, riferita alla TAV, assume un significato diverso. Soluzione la TAV lo è per l’apertura di cantieri, ovvero per la movimentazione di montagne di denaro a beneficio dei soliti, noti e ignoti. E poco importa se la criminalità organizzata si inserisce nel colossale affare (che per i cittadini oltretutto è soltanto fonte di un maggiore debito pubblico): l’importante è che il denaro possa circolare (con buona pace del ministro leghista Maroni che si offende quando Saviano dice che la Mafia e la Camorra fanno affari al nord, dove la Lega comanda).
Fin qui l’asserita soluzione, trascurando volutamente le facezie della presidente della Provincia di Venezia Zaccariotto, che in una intervista televisiva ha avuto il coraggio di affermare che la TAV “avrebbe potuto determinare benefici al traffico balneare” (!).

Veniamo ora al problema; perché se non è soluzione, problema la TAV lo è eccome.
Si tratta invero di un problema articolato e di drammatiche dimensioni; ovviamente non percepito o soltanto in minima parte dai cittadini, che sono stati tenuti accuratamente all’oscuro di tutto questo, sia dalle istituzioni locali che dai partiti, ovvero dagli stessi che dovrebbero garantire la democrazia.

Il problema principale è costituito dalla devastazione territoriale. Dalla distruzione irreversibile della sola, vera risorsa che questa società lascerà in eredità al futuro e che appare ancora costituita dall’ambiente, dal territorio, dalla naturalità residua e dal paesaggio.
Qualcuno ha sostenuto (non manca mai il Vauro di turno, ovvero il cittadino in vena di facezie) che con qualche barriera arborea si risolve il problema estetico. Noi siamo di diverso avviso, perché un viadotto di altezza oscillante fra i tre e i dieci metri attraverso le campagne di Altino, Cà Tron, Marteggia, Millepertiche, Caposile, Palazzetto, Stretti, Busatonda, Sant’Elena, San Stino, Lison, ecc. ecc. andrà a determinare un impatto devastante e irreversibile. Uno sfregio destinato a durare per l’eternità (quella degli uomini, ovviamente) e a cambiare la vita e la percezione del proprio ambiente a migliaia e migliaia di cittadini. Come a dire che Attila, al confronto, era un alunno del collegio delle Suore, un bimbetto innocente, essendo che gli effetti delle sue terribili scorribande si cancellavano nel volgere di uno, due decenni.

Ci sono poi i problemi idrogeologici, ovvero quelli legati alla capacità portante di terreni imbevuti d’acqua perché di bonifica; o, ancora peggio, quelli dovuti ai passaggi sotterranei (vedi Mestre-Marghera-Tessera), con l’interruzione del deflusso di falda che sorregge i territori lagunari e litoranei.
Ci sono i problemi connessi con l’apertura di cantieri destinati a durare una generazione (un quarto di secolo appena!). Cantieri che andranno a significare nuove strade, migliaia di automezzi in transito, nuove cave e i bambini che cresceranno avendo la percezione di essere nati in un gigantesco cantiere, anziché nella leggendaria “Venezia Orientale”, tanto declamata quanto vituperata.

Infine, ma non certo da ultimo, nella scala attuale di valori della politica locale e nazionale, il problema economico. Problema che può essere tradotto in sintesi in un quesito: chi pagherà la TAV?

Bella domanda; anche questa estremamente suggestiva, perché la risposta è: non saranno l’assessore Chisso e il presidente Zaia a pagare, ma saremo noi. Saranno i cittadini, saranno cioè proprio coloro che la TAV la vedranno passare e basta e che a Kiev non andranno mai (a Kiev sembra non ci sia una grande domanda di badanti e quanto al turismo, langue).

A questo punto riteniamo che il quadro, anzi l’affresco (perché questo è il paese di Michelangelo e noi, nonostante tutto, siamo i suoi discendenti) sia abbastanza dettagliato. Questo significa, concludendo, che chi ha occhi per vedere, sensibilità per percepire e cultura per capire, potrà farsi un’idea della TAV. Un’idea che non significa “l’altra TAV”, ovvero una soluzione meno impattante, che esiste soltanto nella fantasia di qualcuno; ma che significa che il solo tracciato possibile della TAV è quello che non esiste.

Riferimenti:

Wikipedia

Ferrovie a nordest

Comitato NO TAV Venezia Trieste

Movimento 5 Stelle Basso Piave

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Acqua. Che altro?

È partita la raccolta di firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, cioè per l’abrogazione del cosiddetto “Decreto Ronchi”. Che cosa significa privatizzare l’acqua? Padre Alex Zanotelli, parlando a nome del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, ha usato questa espressione: “Avete mai pensato di privatizzare vostra madre? Privatizzando l’acqua è come se voi lo faceste”. La madre ci dà la vita, quindi è come se privatizzassimo la nostra vita, che, quindi, non ci appartiene più ma appartiene a coloro che hanno il potere di aprire o chiudere il rubinetto. Sillogismo ardito? Vediamo.

Per la legge italiana l’acqua è un bene pubblico (Legge 36/1994, c.d. “Legge Galli”). Enunciato questo principio fondamentale, la legge declina una serie di norme mirate alla razionalizzazione di ciò che viene chiamato servizio idrico integrato, ovvero la gestione, secondo criteri di economicità efficienza ed efficacia, degli impianti, delle reti e delle strutture che consentono da un lato l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua, dall’altro il suo smaltimento e depurazione. L’Ente pubblico preposto alla gestione del servizio viene chiamato A.T.O. (Ambito Territoriale Ottimale). Sino ad oggi gli A.T.O. hanno assorbito le competenze dei consorzi acquedottistici di interesse locale con l’obiettivo di accorparli e di assumere una competenza territoriale coincidente con quella della provincia di appartenenza.

Quindi, subdolamente, la legge del 1994 salva in maniera farisaica il principio di acqua come bene pubblico ma sposta radicalmente gli obiettivi sulla gestione del servizio idrico che è un servizio pubblico e come tale va affidato sulla base delle normative europee in materia di appalti pubblici di servizi. Dal 1994 ad oggi il settore è stato oggetto di una miriade di provvedimenti da parte della CE e da parte dei Governi italiani che si sono nel frattempo succeduti con il risultato di legittimare un principio che appare inaccettabile: con l’acqua si fanno profitti. I famigerati “combinati disposti” dei vari provvedimenti legislativi, ultimo il c.d. Decreto Ronchi, prevedono infatti l’affidamento del servizio idrico integrato con gara d’appalto di rilevanza europea a soggetti privati e la possibilità, da parte dei privati aggiudicatari del servizio, di intervenire sulle tariffe aumentandole per conseguire profitti. Assurdo: io Stato ti legittimo ad aumentare il prezzo dell’acqua a tuo piacimento perché tu possa fare profitti!

Fare profitti significa disporre di una quantità di denaro (molto) che deriva dalla differenza fra i ricavi e le spese. I ricavi sono dati dai soldi che ogni utente versa pagando la bolletta, le spese sono le spese di gestione degli impianti, del personale, dell’energia elettrica, del consiglio di amministrazione, dei vari presidenti, segretari, ecc. e degli investimenti. Come si fanno i profitti? Aumentando le bollette e non facendo investimenti (monsieur de Lapalisse ringrazia infinitamente). Perché, in nome del mercato, del liberismo, della libera impresa e di tutte le menzogne che ci stanno raccontando da almeno trent’anni, non si possono certo obbligare i poveracci che fanno profitti con le nostre bollette a reinvestirli nel miglioramento delle reti. Le quali reti, secondo l’ultimo rapporto del Comitato per la Vigilanza sull’Uso delle Risorse Idriche, sono un vero e proprio colabrodo. Lo stato di usura è tale da provocare la perdita media del 34% dell’acqua immessa nelle tubature ed il 30% della popolazione italiana è sottoposto ad approvvigionamento idrico discontinuo ed insufficiente. Vi sono, anche nel nostro territorio, centinaia di chilometri di reti costituite da tubazioni in acciaio ormai bucate dal fenomeno delle cosiddette micro pile geologiche o costituite da eternit.

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Relazioni asimmetriche: lo stalking nella società

Nell’antica Grecia Ovidio raccontava che Dafne, per sfuggire alle insistenti e non gradite attenzioni di Apollo, preferì trasformarsi in un albero di alloro, concludendo drammaticamente l’inseguimento del Dio, pur di non diventare sua preda. Eppure Apollo non si percepiva come nemico: –“E’ per amore che ti inseguo”– diceva all’amata.

Le parole che il Dio rivolge alla ninfa in fuga esemplificano un concetto ricorrente nello “stalking”, un termine anglosassone che letteralmente significa “fare la posta”, preso dal linguaggio tecnico-gergale della caccia e che indica lo stato in essere di atteggiamenti  persecutori di un individuo verso un’altra persona.

Stalking riferisce a quella serie di comportamenti continuativi, molesti come telefonate, lettere anonime, e-mail, pedinamenti, appostamenti, minacce, aggressioni e intrusioni nella vita privata e lavorativa, che finiscono per determinare gravi e sistematiche violazioni della libertà personale (1).

Secondo i dati dell’indagine ISTAT del 2007 (condotta su un campione di 25.000 donne) nel nostro paese 2 milioni 77 mila donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni hanno subito comportamenti persecutori.

Ma chi è lo stalker?

Cosa spinge una persona a perseguirne un’altra che afferma di amare? Come si vede dal grafico, il gruppo più numeroso con la problematica è quello degli ex partner che non si rassegnano alla fine della relazione. Dal punto di vista psicologico, alcuni studi riferiti alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) sostengono che nello stalker c’è la presenza di un modello di attaccamento insicuro (ansioso – ambivalente, evitante o disorganizzato) per cui non può fare a meno dell”altra persona, la quale diventa necessaria per la propria esistenza: il soggetto lasciato non riesce a pensare ad altro che all’amore perduto.

Pur diffusissimo, è un fenomeno malcompreso e frainteso: in Italia, solo con la legge n. 38 di febbraio del 2009, lo stalking acquisisce una definizione e viene a costituire fattispecie di reato contro la libertà morale della persona, previsto dall’art 612 bis del codice penale, quando prima era inserito in modo generico nel reato di molestie.
Certo è, che nei meccanismi ideaffettivi posti in essere, lo stalker sembra non tenere in considerazione i sentimenti della donna: ed è qui interessante partire per considerare la dimensione sociale del fenomeno,  cioè  quanto questo tipo di violenza nel nostro paese è legata ad una cultura caratterizzata da disparità di genere e quindi alla condizione subordinazione della donna rispetto all’uomo.

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Io non ci sto

Qualche tempo fa il comune di Adro (BS) è salito alla ribalta della cronaca per un provvedimento che ha fatto molto discutere: ha privato della mensa scolastica i bambini delle famiglie che non pagavano la retta. Tra tante reazioni riportiamo quella di un cittadino dello stesso comune che con la sua presa di posizione ha fatto pensare molti.

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film L’albero degli zoccoli. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.

È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica. A scanso di equivoci, premetto che: non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona. So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina. Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male. I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, rna potrei portare molti altri casi.

Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino…). Ma dove sono i miei sacerdoti? Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.

Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”. Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro mese (regolari).

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Il Lemene o il Kwai!?

Dopo anni di difficoltà di passaggio per i pedoni, è stata costruita una passerella parallela al ponte di Boldara.
Avevo proposto di farla progettare e costruire gratuitamente da generosi sponsor, ma L’Amministrazione locale ha pensato fosse meglio  realizzarla con i nostri soldi.
Ormai è stata costruita. Ormai è praticamente distrutta come quella sul famoso fiume Kwai…. L’assenza di rallentatori, i dossi che chiedo invano da 25anni, favorisce una velocità eccessiva da parte dei veicoli in transito.

Molti hanno cozzato contro le paratie ed il tubo in uscita alla curva.
Come si può evincere dalla foto 1, il tubo è piegato in più parti e le ringhiere su tutti i lati del ponte sono storte, a causa delle centinaia di scontri con camion, vetture, furgoni,
trebbie, trattori e scavatori.

Osservando bene si può altresì notare che la stessa lamiera del ponte, di spessore un centimetro, è sollevata e crepata.

I tanti coperchi dei pilastri di legno sono scomparsi (erano sigillati solo con un po’ di silicone).

Si può inoltre osservare come la deviazione sotto il ponte sia spesso ingombra di materiale galleggiante, quali: tronchi, cadaveri di animali, vegetazione acquatica, e finanche sacchi di pattumiera, lattine, borse, polistirolo, bottiglie di plastica e vetro.
Mi chiedo  perché si trovino lì: perché non si pulisce o perché la gente è fondamentalmente sporca e incivile?

Perché quando si visitano i paesi a noi limitrofi, come Austria, Slovenia o  Croazia, non si trova quanto devo sopportare (e pulire) ogni giorno a Boldara?
Ossia la vergognosa consuetudine, almeno da 25 anni a questa parte, di usare il proprio fiume come pattumiera? (vedi foto 2)

Ovviamente, per pulire il fiume, è necessario l’uso di una macchina operatrice che deve lavorare sul fianco sinistro del fiume.
Mi ero reso disponibile presso il progettista (Arch. Daneluzzi) per l’ancoraggio di una sponda  mobile su un mio robusto palo di confine (foto 3): una sponda unica che, una volta aperta, avrebbe enormemente facilitato l’accesso al fiume.

Invece il progettista ha preferito elaborare una sponda mobile in tre tronconi (foto 4) con 4 lucchetti (ormai arrugginiti come quelli del Titanic), articolati su tre pali di cui uno fisso nel bel mezzo della sponda!

Senza contare il posizionamento assurdo dell’illuminazione pubblica proprio in quel posto, per complicare ulteriormente le manovre della macchina operatrice.
Un progetto di certo fatto più a tavolino che su conoscenza del posto.
Ormai la struttura esiste, ma mi chiedo: che sia stata collaudata ufficialmente (a me non risulta)?

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Alla fine di un lungo viaggio… c’è sempre un viaggio da ricominciare

Che prima o poi mi sarei occupata in qualche modo di politica l’ho sempre saputo.

Per me politica significa vivere la vita cercando un significato, non lasciarsi sorprendere dagli eventi e soprattutto legarli ad un contesto, non accontentarsi del detto o scritto ma andare alle radici dell’informazione, non considerarsi come unico essere vivente del globo ma un insieme, dove la partecipazione attiva permette la crescita e a volte anche la sopravvivenza.

Sono diventata coordinatrice del Partito Democratico di Gruaro e ho trovato un gruppo di persone che mi hanno insegnato tanto, mi hanno incoraggiato e sostenuto, fino a propormi il ruolo di candidato sindaco. Persone che hanno lavorato per la comunità presenziando senza mai un’assenza ai consigli comunali, persone che hanno dato la loro esperienza per farmi crescere senza mai guardare al passato. Ringrazio tre persone per tutti. Sante, la memoria storica di Gruaro, preparatissimo amministratore, mi ha sostenuto e tuttora mi sostiene nel duro ruolo dell’opposizione. Gino, mi ha insegnato la necessità della resistenza, mi ha raccontato delle eterne e fumose riunioni, quelle dove si vinceva per lo sfinimento della controparte, a lui alla sua cultura e al suo “mondo schifoso” devo molto. E, infine, ma non per importanza, Luisella, una combattente, una donna che vive la politica con passione e lealtà.

Il periodo delle elezioni è stato intenso, totalizzante. Fatto di tante riunioni con la mia lista, di tentate alleanze e di presenze a manifestazioni con gli altri candidati sindaci dei Paesi vicini.
Ma soprattutto è stato un periodo dedicato all’incontro di più di 100 famiglie, un mese di conoscenza dei miei concittadini, senza pensare alle appartenze, con la convinzione che il comune non si amministra con i partiti ma con le persone.
Mi sono trovata a parlare di anziani e dei loro bisogni, sotto ad un albero di tiglio bevendo un bicchiere di vino, ascoltando ricordi di una Gruaro diversa, con altri ritmi e priorità.

Ho parlato con i giovani, incuriositi dalla mia idea di politica giovane e non per i giovani, spesso scontrandomi con idee in cui non mi riconoscevo, ma mai con le loro speranze. Ho incontrato giovani coppie, ho ascoltato le loro difficoltà, le loro preoccupazioni, riconoscendomi nelle loro parole. Ho parlato con donne e uomini straordinari, che non hanno perso la speranza e la fiducia nel futuro, nonostante la vita li abbia messi davanti a sfide difficile e dolorose. Uomini che gestiscono attività diverse, accomunati dallo stesso sentimento di paura per il rischio di un declino economico, ma che fanno di tutto per mantenere i posti di lavoro ai loro operai. Due sole le porte chiuse in faccia, ma che mi hanno dato ancora più energia dei tanti caffè offerti dalla famiglie che ho incontrato.

Ho conosciuto meglio il mio territorio, la gente del mio territorio.
So cosa si aspetta chi mi ha votato e non tradirò la loro fiducia. L’opposizione consiliare, che intendo portare avanti sarà puntuale nella critica, costruttiva, stimolante e propositiva, collaborando con la maggioranza affinché amministri meglio e nell’interesse di tutto il paese.

Mi aspettano anni di opposizione, un ruolo difficile, dove il mio voto non ha un peso e dove le mie proposte vengono, da alcuni, recepite con sorrisi e indifferenza.
Ma farò in modo che sia un tempo fertile, un tempo in cui si possa parlare di Gruaro e della sua gente; un’occasione, per me, di conoscere e comprendere di più questa terra a cui sono legata e per mettere insieme i futuri amministratori del nostro Comune.

“Alla fine di un lungo viaggio… c’è sempre un viaggio da ricominciare”.

Francesca Battiston, capogruppo “Cittadini di Gruaro”

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Com’è morto Stefano Cucchi?

“Ho avuto modo di vedere le foto della salma di Stefano Cucchi, 31 anni, morto in circostanze tutte ancora da chiarire nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma. È difficile trovare le parole per dire lo strazio di quel corpo, che rivela una agonia sofferta e tormentata. È inconfutabile che il corpo di Stefano Cucchi, gracile e minuto, abbia subito a partire dalla notte tra il 15 e 16 ottobre numerose e gravi offese e abbia riportato lesioni e traumi. È inconfutabile che Stefano Cucchi – come testimoniato dai genitori – è stato fermato dai carabinieri quando il suo stato di salute era assolutamente normale ma già dopo quattordici ore e mezza il medico dell’ambulatorio del palazzo di Giustizia e successivamente quello del carcere di Regina Coeli riscontravano lesioni ed ecchimosi  nella regione palpebralebilaterale; e, la visita presso il Fatebenefratelli di quello stesso tardo pomeriggio evidenziava la rottura di alcune vertebre indicando una prognosi di 25 giorni. È inconfutabile che, una volta giunto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, Stefano Cucchi non abbia ricevuto assistenza e cure adeguate e tantomeno quella sollecitudine che avrebbe imposto – anche solo sotto il profilo deontologico – di avvertire i familiari e di tenerli al corrente dello stato di salute del giovane: al punto che non è stato nemmeno possibile per i parenti incontrare i sanitari o ricevere informazioni da loro. È inconfutabile che l’esame autoptico abbia rivelato la presenza di sangue nello stomaco e nell’uretra. È inconfutabile, infine, che un cittadino, fermato per un reato di entità non grave, entrato con le proprie gambe in una caserma dei carabinieri e passato attraverso quattro diverse strutture statuali (la camera di sicurezza, il tribunale, il carcere, il reparto detentivo di un ospedale) ne sia uscito cadavere, senza che una sola delle moltissime circostanze oscure o controverse di questo percorso che lo ha portato alla morte sia stata ancora chiarita.”

Luigi Manconi

Quando mi è stato chiesto di scrivere  per la Ruota, mi si è posto un problema: cosa scegliere fra i problemi della cultura sottoposta a faziosità politica, della  politica concentrata sul sesso e sulla sua richiesta di disuguaglianza istituzionale, dell’affondamento della democrazia e della libertà di espressione, dei drammi idro-geologici in quanto cronache di morti annunciate o della bella ripresa di potere della mafia che continua a “trattare” con i Governi eletti da decenni.

Tuttavia, osservando l’elenco appena steso, mi sono reso conto che  la morte di Stefano Cucchi poteva rappresentare la quintessenza, la somma di quanto citato prima: l’inesistenza dello STATO DI DIRITTO.
Cucchi era un ragazzo senza potere, senza soldi, senza amici alto locati, senza amici mafiosi. Esattamente come la stragrande maggioranza di noi. Entrato in una caserma per un reato minore  sulle proprie gambe, in buona salute, è uscito poco dopo da un ospedale morte per gravi contusioni e fratture vertebrali non sottoposte ad adeguate cure.

Stefano è morto come tanti altri nelle prigioni di Pinochet, come nella famigerata Lubjanka del KGB, trattato come i prigionieri di Guantanamo o i fellagha della guerra d’Algeria. Ma dove siamo? A Guantanamo?
No, siamo in Italia, dove un’altra morte  di prigioniero non dovrebbe essere messa a tacere come quella del povero vigile trasportato d’urgenza dalla Sardegna, per una scazzottata, con tanto di elicottero militare, caduto in mare prima del suo arrivo in carcere!

Domande:

  1. Ricordando lo scandalo  provocato dalle manette messe ad un parlamentare ai (bei) tempi di Mani Pulite, come posso accettare che un cittadino non solo venga ammanettato, ma anche ucciso da chi lo ha fermato?
  2. Il ragazzo è stato duramente picchiato: da chi? Ma la domanda altrettanto importante è: che non ci sia nemmeno un solo testimone che abbia tentato di impedirlo, di salvarlo? Insomma una giustizia di “branco”?
  3. Chi ha colpito rappresenta lo Stato, che dovrebbe essere il mio garante?
  4. Portato in ospedale, non è stato sottoposto a cure e lasciato morire. I medici cosa o chi stanno coprendo?
  5. Il ragazzo non ha nemmeno potuto contattare la famiglia. Una famiglia che affida il suo ragazzo allo Stato e lo recupera sfigurato e con sangue nello stomaco e nell’uretra (calci nella pancia e sicuramente nel basso ventre) Ma che razza di medico lavora in quelle Istituzioni!!!? Per fortuna che il detenuto era ricoverato nella struttura sanitaria del Fatebenefratelli!!! Hanno fatto bene le cose, certo!

La lettura delle varie domande non lascia spazio a dubbi: siamo in uno Stato che non riconosce l’uguaglianza dei cittadini: c’è chi  è rispettato e chi non lo è.

Quali sono i parametri di rispettabilità in Italia?
Siamo in uno Stato che è rappresentato in da persone indegne, persone che dovrebbero loro essere dietro le sbarre. Che ci finiscano.
Siamo quasi certi che mai la luce completa sarà fatta. Solo uno Stato forte ammette le proprie colpe. Qui abbiamo solo uomini forti che usano uno Stato debole.
Che sia un dramma annunciato? Quando si sa che la mafia  tratta con i Governi per gestire le carceri e la disciplina interna, mi sembra ovvio.
L’evento sarà rapidamente insabbiato sotto una crosta di scandali politici a base di soubrette, di partite di calcio,  di gare di auto ed eventi porno mondani, ciò che proverà non solo il controllo politico della Giustizia, ma anche la scarsa libertà di espressione, confermata dalla nostra 77esima posizione in materia nella graduatoria internazionale.

In teoria, la speranza dovrebbe nascere da una presa di posizione chiara, forte,  inderogabile di una Chiesa che si dice  protettrice dei deboli. Purtroppo nemmeno da questa parte sento parole dure e richieste di indagini immediate.

Cucchi è morto. Speriamo che non si  “accerti” che è caduto dalle scale o che si è suicidato.
La prima ricostruzione assolverebbe lo Stato e la seconda chi fa più politica che applicazione del Vangelo.

il blog di Ilaria Cucchi

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