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Il Muro (di Berlino…) 1989-2009

Attenti, perché a quel muro tutti noi eravamo aggrappati. Con questo ammonimento Giulio Andreotti smorzò il giustificato entusiasmo che contagiò il mondo occidentale nei giorni che seguirono la caduta del muro di Berlino. Il coro dei media, dei politici, degli intellettuali non perdevano l’occasione per cantare le magnifiche sorti e progressive del mondo ora liberato dall’incubo rappresentato dal comunismo. Fine della tensione internazionale, della minaccia nucleare, la pace duratura come orizzonte, apertura dei mercati, opportunità di ricchezza e occupazione per tutti, insomma: un futuro più roseo di ogni ottimistica previsione sino ad allora propagandata.

Ma quel muro materializzava l’equilibrio precario del mondo. Ad esso erano aggrappati la Casa Bianca e il Cremlino, la CIA e il KGB, i paesi satelliti aggregati nel Patto Atlantico e nel Patto di Varsavia, israeliani e palestinesi, gli sceicchi arabi, i dittatori sudamericani, i guerriglieri, i paesi non allineati. Le tensioni fra questi soggetti restavano in qualche modo confinate in territori limitati. Appena tentavano di sconfinare si alzava il sipario della liturgia costituita da immagini terrorizzanti quali missili nucleari pronti al lancio, sommergibili e cacciatorpedinieri in movimento, aerei con ordigni nucleari pronti al decollo. Sullo sfondo conflitti terribili ma locali dove le superpotenze si misuravano, a vicenda, dalle opposte fazioni: Vietnam, Afghanistan, Cuba, Medio Oriente. Nel frattempo, in Estremo Oriente crescevano le tigri finanziarie e tecnologiche pronte ad occupare, nel giro di qualche anno, il vuoto lasciato dal muro. L’Africa, come al solito, interessava, e interessa, solo come lucroso mercato delle armi necessarie alle guerre tribali o come contenitore di materie prime.

Sbriciolato il muro, l’equilibrio subì la medesima sorte e come prevedibile si stratificò in livelli. Per quelli determinati dal denaro, l’equilibrio si ristabilì in tempi ragionevoli dato l’esiguo numero dei soggetti coinvolti e perlopiù appartenenti alle oligarchie preesistenti la caduta del muro. Per quelli, più numerosi, determinati dalla domanda di indipendenza di popolazioni sino ad allora prevaricate anche nella sfera privata, l’equilibrio non si ristabilì. La circostanza offrì alla politica l’occasione per mostrare il suo volto peggiore. Avventurieri dei primi anni novanta cavalcarono con criminale superficialità i destrieri dell’autonomia e del rancore materializzando, a livello sociale, i fantasmi mai sopiti della paura del diverso oltre a presunti torti “storici” subiti da etnie fino ad allora pacificamente conviventi.

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L’acqua resti pubblica!

Il 19 novembre 2009, il governo ha ottenuto la fiducia sul controverso decreto Ronchi, che prevede la privatizzazione dell’erogazione dell’acqua. Questo provvedimento pone dei problemi fondamentali di tipo etico, sociale, giuridico (l’acqua è un diritto di tutti e deve essere fruibile  da tutti e a tutti garantita ad un prezzo equo). Ora secondo le associazioni dei consumatori, questa scelta, la privatizzazione appunto, farà crescere in media del 30-40% le bollette nel giro di tre anni, vanificando i principi inderogabili esposti sopra. Per richiamare l’attenzione su tutto ciò, il gruppo di minoranza, Cittadini di Gruaro, ha presentato in data 28-12-2009, al Consiglio comunale, la seguente mozione che è passata in Commissione regolamento, dove il testo verrà esaminato ed elaborato in collaborazione con la maggioranza.

Oggetto: RICONOSCIMENTO DELL’ACQUA COME BENE COMUNE E DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO COME SERVIZIO PRIVO DI RILEVANZA ECONOMICA

IL CONSIGLIO COMUNALE

premesso che:

  • L’acqua rappresenta fonte di vita insostituibile per gli ecosistemi, dalla cui disponibilità dipende il futuro degli esseri viventi.
  • L’acqua costituisce un bene comune dell’umanità, un bene comune universale, un bene comune pubblico, quindi indisponibile, che appartiene a tutti.
  • Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile: l’acqua non può essere proprietà di nessuno; l’accesso all’acqua deve essere garantito a tutti come un servizio pubblico.

SI IMPEGNA

1. a costituzionalizzare il diritto all’acqua, attraverso le seguenti azioni:

  • riconoscere anche nel proprio Statuto Comunale il Diritto Umano all’acqua;
  • confermare il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
  • riconoscere anche nel  proprio Statuto Comunale che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità a tutti i cittadini, e quindi la cui gestione va attuata attraverso gli artt. 31 e 114 del d.lgs. n. 267/2000;

2. a promuovere nel proprio territorio una Cultura di salvaguardia della risorsa idrica attraverso le seguenti azioni:

  • informazione della cittadinanza sui vari aspetti che riguardano l’acqua sul nostro territorio, sia ambientali che gestionali;
  • promozione dell’uso dell’acqua dell’acquedotto per usi idropotabili, a cominciare dagli uffici, dalle strutture e dalle mense scolastiche;
  • promozione di una campagna di informazione/sensibilizzazione sul risparmio idrico;
  • promozione, attraverso l’informazione, incentivi e la modulazione delle tariffe, della riduzione dei consumi in eccesso;

3. a sottoporre all’Assemblea dell’Ambito Territoriale Ottimale l’approvazione delle proposte e degli impegni sopra richiamati.

IL CONSIGLIO COMUNALE

VISTA la proposta di deliberazione posta all’ordine del giorno;
UDITA la relazione del capogruppo e la conseguente discussione;

DELIBERA

DI DICHIARARE l’acqua:

  • un bene comune, essenziale ed insostituibile per la vita di ogni essere vivente;
  • un diritto inviolabile, universale, inalienabile ed indivisibile dell’uomo, che si può annoverare fra quelli di riferimento previsti dall’art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana.

DI DICHIARARE il servizio idrico integrato un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini.

DI TRASMETTERE il presente provvedimento all’ATO del Lemene e a tutti i Sindaci del suo ambito.

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Umiliate e offese

Perché tanta violenza sulle donne? Come mai si ripetono con tanta frequenza gli stupri? Forse che noi donne siamo diventate le prede su cui sfogare l’aggressività primordiale da parte dei maschi?

Sono passati invano gli anni della rivoluzione sessuale e dell’emancipazione femminile! Non si parla dei soli uomini “datati”, ma delle nuove generazioni che sembrano affette da un “male incurabile”: la sottocultura emotivo-affettiva.

Dagli anni ’80 in poi si è registrata una latitanza, un vuoto educativo in famiglia e nella società tutta, attente soprattutto alla  tensione lavorativa e alla legittima ricerca del benessere.
Probabilmente le conquiste femminili hanno dato per scontato l’aspetto educativo nella falsa illusione che la legislazione potesse in qualche modo sostituire “naturalmente” il ruolo della famiglia.
Inconsapevolmente questo compito spesso è stato delegato ad altri sostituti, prima fra tutti, la Tv che come stiamo verificando quotidianamente, ci dà, della donna, un’immagine pessima, vista solo come oggetto di “consumo”.

Purtroppo la maturazione culturale e la responsabilità personale non si evolvono con gli stessi tempi dell’evoluzione sociale e dello sviluppo tecnologico. L’individuo ha percorsi più lunghi e complessi per poter sperare che si autoeduchi.
Si sente spesso parlare di valori da parte di tutti: psicologi, sociologi, religiosi, politici, ma in realtà ciò che viene trasmesso e recepito dai più è il degrado che parte dall’alto: la politica stessa chedovrebbe fungere da motore nel promuovere linguaggi, comportamenti e legislazioni rispettosi della dignità di tutte le categorie sociali, si presenta ipocritamente guidata da sole mire di potere o con battute tipo:- Dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle donne in Italia!

C’è da stupirsi anche della modesta reazione da parte dei movimenti femminili e soprattutto delle giovani generazioni delle quali si vuol far passare solo l’inseguimento del facile successo su modelli veicolati dai “mass-media”; non esenti quest’ultimi dal riportare  pure fatti violenti con una certa morbosità.
La riflessione sui valori riporta anche al ruolo del cosiddetto branco, poiché frequentemente la violenza sulla donna e sul debole, è frutto di “bravate” di gruppo proprio perché in questo modo viene a mancare la responsabilità individuale. Quest’ultima infatti costa in quanto comporta il porsi delle domande, il dover valutare e scegliere, perciò risulta più facile delegare e scaricare su altri la responsabilità.

Non  possiamo continuare ad attribuire alla sola società tutti i mali che ci affliggono, non dobbiamo rifugiarci nel nostro piccolo mondo sperando che a noi le cose vadano sempre bene poiché ciascuno di noi è società e ciò che accade all’altro sempre prima o poi ci coinvolgerà.

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Acqua… che fare?

Dal 16 al 22 marzo, si è tenuto ad Istanbul il quinto Forum mondiale dell’acqua, un summit importante, anche se da più parti criticato, al quale è approdata anche la battaglia dei gruppi che combattono per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano universale e contro la privatizzazione della gestione idrica. I lavori del Forum si sono conclusi però con un nulla di fatto e con il riconoscimento generico, senza alcun peso legale, che l’acqua è un “bisogno” di tutti, non un diritto.

È stata bocciata anche la proposta di Sarah Ahmad, presidente della Gender and Water Alliance, secondo la quale “il ruolo dei governi è proteggere la propria gente, proteggere i più deboli, i più vulnerabili, i poveri e chi non riesce a pagarsi i servizi minimi per avere acqua potabile, ad es. fornendo gratuitamente una quantità minima garantita cadauno”. È stato quindi disatteso il principio che “l’acqua -come dice Emilio Molinari presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua- è di tutti e va con tutti condivisa e gestita e non si può agire solo a livello nazionale”. Del resto lo stesso ONU, ha rinviato il riconoscimento del diritto all’acqua al 2011, ricorda sempre Molinari “lanciando un brutto segnale proprio nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.

Partecipando, a fine novembre, ad un convegno su questi temi a Milano Molinari ha ricordato come “in Italia una legge obbligherà le amministrazioni locali a privatizzare i servizi idrici” mentre nel mondo le cose vanno diversamente. In America Latina, per esempio, le lotte contro la privatizzazione e per il diritto all’accesso dell’acqua sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali (Uruguay, Bolivia, Venezuela, Ecuador hanno rescisso i contratti con le grandi multinazioni e inserito nelle proprie costituzioni l’acqua come principio umano universale e la gestione partecipativa e comunitaria al servizio servizio idrico); in Francia, il Comune di Parigi ha deciso che entro il 2010 solo il pubblico garantirà tutto il ciclo dell’acqua, dalla produzione alla distribuzione, togliendola a Suez e Veolia, i due più importanti operatori mondiali privati del settore.

Nel nostro Paese è stato messo sotto accusa l’articolo 23 bis della legge 133 che rende sempre più difficile per i Comuni evitare la privatizzazione delle loro reti entro il 2010. Una legge duramente contestata dalle decine di comitati per l’acqua nati in tutta Italia e che hanno raccolto 440mila firme, depositate nel luglio 2007, per presentare una proposta di legge che favorisca “la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale” (Art.1, comma 2).

E mentre gli esperti discutono delle soluzioni da trovare per una gestione intelligente delle acque a livello locale, si moltiplicano le proteste: in Lombardia, per esempio, 144 Comuni hanno chiesto un referendum per cancellare una legge della giunta Formigoni del 2006 che anticipava il 23 bis e separava l’erogazione e gestione del servizio; ad Aprilia 7000 famiglie continuano a pagare le bollette al Comune, mantenendo la tariffa pubblica e respingendo quella di Acqualatina (la S.p.A. mista controllata dalla multinazionale Veolia) che comporta aumenti del 300%.

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Referendum elettorale del 21 giugno 2009

    • Quesito 1: Premiata la lista con più voti alla Camera
      Il premio di maggioranza va alla lista più votata alla Camera dei deputati e si innalza la soglia di sbarramento. Attualmente la legge prevede un sistema proporzionale con premio di maggioranza, attribuito su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato. Viene attribuito alla “singola lista” o alla “coalizione di liste” che ottiene più voti.
      • Quesito 2: Premio di maggioranza al Senato
        Anche al Senato, come alla Camera, il premio di maggioranza va alla lista più votata. Di fatto, il referendum, abrogando la norma sulle coalizioni, innalzerebbe le soglie di sbarramento. Le liste minori, per ottenere una rappresentanza dovrebbero superare lo sbarramento. Resterebbero in vigore le norme sull’indicazione del premier e del programma elettorale.
        • Quesito 3: Abrogazione delle candidature multiple
          Il quesito prevede l’abrogazione della norma sulle candidature multiple e la cooptazione oligarchica della classe politica. Oggi ci sono candidati che si presentano in più circoscrizioni, creando un bacino di “primi non eletti” che subentrando nella circoscrizione dove il pluricandidato rinuncia. Oggi 1/3 dei parlamentari sono stati scelti dopo le elezioni.

          fonte: l’Unità

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          Il potere, le regole e… la crisi

          Può sembrare pretestuoso affrontare un argomento così impegnativo e complesso nelle poche righe del nostro foglio. Ma anche il nostro piccolo foglio senza pretese ha il dovere di proporre qualche riflessione soprattutto se stimolata dalla drammaticità dell’attuale crisi economica e finanziaria. Dunque, consapevoli delle inevitabili semplificazioni, accantoniamo i timori e incominciamo.

          Esiste una relazione fra il potere politico, le sue regole e la crisi economica? Se la relazione esiste, la crisi economica significa anche crisi del potere politico?

          È noto che il potere è strettamente connaturato all’organizzazione sociale che gli uomini hanno costruito nel corso della storia: ogni organizzazione sociale si articola e si sviluppa secondo regole che vengono date, e gestite, da un gruppo ristretto di individui che detengono il potere.
          Perché questo gruppo ristretto di individui detiene il potere? In termini specifici: chi, o che cosa, legittima il potere? La risposta potrebbe essere questa: il potere è legittimato dalle regole che vigono in quel momento e quindi chi determina le regole detiene il potere.

          È appena il caso di sottolineare che storicamente la prima regola è stata la violenza: il più forte dominava sugli altri (fatte le debite considerazioni va constatato che, purtroppo, è così anche oggi in molte parti del mondo dominate da regimi totalitari). Ma la sola violenza non è di solito sufficiente e funzionale, nel lungo periodo, al mantenimento del potere perché esso ha la necessità di essere accettato da chi gli è sottoposto.

          La religione, per questo, ha svolto un ruolo formidabile: nell’antico Egitto il Faraone era figlio di Ra, il dio sole, e quindi la sua legittimazione derivava direttamente dalla divinità; Mosé, capo del popolo ebraico errante, ricevette direttamente da Dio le tavole della Legge, come se Dio gli avesse delegato il compito di far applicare le sue leggi. Quindi Mosé, applicando quelle regole, era direttamente legittimato da Dio. Dopo il periodo oscuro seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente la dinastia dei Merovingi, i cui discendenti reggono ancora oggi le residue monarchie europee, fu storicamente considerata diretta discendenza di Cristo.
          La corona ferrea, così nominata perché secondo la tradizione contiene al suo interno un chiodo della croce di Cristo, fu solennemente posta dai papi sul capo degli imperatori, a partire da Carlo Magno. Anche in questi casi, e per secoli, la legittimazione del potere derivava direttamente da Dio.

          Il lungo processo storico, culturale e politico che ha determinato la formazione delle moderne democrazie, ha avuto come risultato l’individuazione del popolo quale soggetto legittimante il potere. Il popolo possiede la sovranità ed esercita questa funzione delegando ai suoi rappresentanti democraticamente eletti la funzione legislativa, ovvero la determinazione delle regole.
          Le regole, quindi, sono il prodotto della volontà popolare espressa attraverso i suoi rappresentanti.
          La rappresentanza come metodo democratico ha potuto concretizzarsi, nell’ultimo secolo, grazie a quelle organizzazioni sociali costituite da aggregazioni di persone che condividevano ideali, valori e interessi: i partiti politici.

          La combinazione fra crisi del sistema dei partiti e dei meccanismi di rappresentanza (in sostanza: la legge elettorale) ha influito in maniera significativa sulla crisi del sistema delle regole e quindi, in ultima analisi, sulla legittimazione del potere. Infatti se il potere è legittimato dalla volontà popolare espressa attraverso l’elezione dei suoi rappresentanti e il sistema della rappresentanza va in crisi, ciò non può non avere conseguenze sulla legittimazione stessa del potere. Il quale continuerà a produrre nuove regole, o a modificare quelle esistenti, al di fuori dell’effettivo controllo popolare e con lo scopo di conservare sé stesso o di elargire benefici alle oligarchie e favori a gruppi di cittadini a scapito di altri.

          La progressiva perdita di significato di parole quali diritti, doveri, ideali, valori sostituite da termini come favori, delega, opportunità, convenienza, rappresenta un indicatore significativo della nostra modernità, che Z. Bauman definisce “liquida”. Ciò che sta nella modernità liquida muta continuamente i propri riferimenti in funzione del contesto che, a sua volta, muta continuamente privando così il tutto di qualsiasi riferimento. Paradossalmente le uniche costanti si chiamano oggi precarietà e flessibilità.

          Il delicato e sottile equilibrio che sta alla base della democrazia, consenso popolare – rappresentanza – regole – gestione del potere per il bene comune – è ormai compromesso. L’unica speranza potrebbe essere rappresentata dall’acquisizione di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica. Ma la manipolazione dell’informazione permea il vivere quotidiano e impedisce così il riscatto delle coscienze.

          E l’economia? Incominciamo con il dire che l’economia è una scienza anomala che in certi periodi o in certe collocazioni geografiche viene applicata in base al furore ideologico. Se dal punto di vista teorico, infatti, lo scopo del mercato è quello di aumentare il benessere (cioè il soddisfacimento dei bisogni) dell’universalità degli individui, secondo la teoria della “mano invisibile” di A. Smith, dal punto di vista pratico tutti noi assistiamo all’iniqua distribuzione delle risorse fra individui di una nazione e fra nazioni diverse.

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          Cos’è il testamento biologico, ovvero “dichiarazione anticipata di volontà”

          Oggigiorno la medicina è talmente progredita, che può mantenere in vita persone gravemente malate che soffrono dolori atroci e destinate a morire perché senza possibilità di contenere la malattia, tanto meno di guarire. Sono pazienti idratati, alimentati artificialmente, spesso stimolati nella funzione cardiaca e respiratoria da macchine sofisticate; malati che esistono in uno spazio intermedio tra vita e morte (di cui poco si sa ancora) non per scelta e senza alcuna tutela giuridica dei loro interessi.

          Il testamento biologico consiste in una dichiarazione anticipata di volontà: un atto che permette a chi lo vuole,  finché si è nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, di dare disposizione riguardo a futuri trattamenti sanitari nel caso in cui tali facoltà venissero meno. Disposizioni che devono risultare vincolanti per gli operatori sanitari anche se non in contrasto con la deontologia medica e con la realistica previsione di cura.

          Si tratta di un atto che può essere revocato in qualsiasi momento e che può prevedere l’indicazione di un fiduciario.

          Con il testamento biologico si possono intendere cose diverse: dal solo rifiuto dell’accanimento terapeutico, o di determinate terapie, o alla richiesta di interruzione delle cure in caso di gravi patologie; tutte garantiscono la consapevolezza del singolo e l’autodeterminazione individuale. Da sottolineare che tale atto niente a che vedere con il procurare la morte, poiché interessa piuttosto la salvaguardia di un confine naturale della vita intesa, non come tempo protratto, bensì come una vita degna di essere vissuta, una vita che abbia un senso e che non si esaurisca in un dolore intollerabile ed irreversibile.

          Il testamento biologico in Italia,  non è ancora legge per una serie  di ragioni:

          • Nella cultura cattolica la sofferenza è ancora vista come espiazione del male e quindi quale mezzo di salvezza futura.
          • Lo squilibrio storico tra medico e paziente, per cui prevalgono gli obiettivi del medico su quelli del malato: solo il medico sa e dunque solo il medico può decidere.
          • La difficoltà di affermare il primato della libertà individuale nel nostro ordinamento e nella nostra vita associata. Se la libertà del soggetto ha come unico limite il rispetto della libertà altrui, la facoltà di decidere del proprio corpo deve trovare garanzia di inviolabilità nel diritto pubblico.
          • Si attribuisce alla Chiesa cattolica italiana, la responsabilità della mancata approvazione di una legge sul testamento biologico. Questo dato, pur fondato, è contraddittorio. La Chiesa teme che, con una legge si metta in discussione il principio dell’indisponibilità della vita umana; resta il fatto che la dottrina della Chiesa da molti anni si sia pronunciata contro l’accanimento terapeutico. (“L’interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti, può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia dell’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”, dal Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica- giugno 2005).

          La legge sul testamento biologico, in corso di approvazione dall’attuale maggioranza, probabilmente escluderà la nutrizione e l’idratazione artificiale dalle scelte sulle quali il malato potrà esercitare la sua volontà. Si avrebbe così una legge più arretrata rispetto all’attuale vuoto legislativo a cui  la magistratura deve supplire.

          Da aggiungere che purtroppo il Parlamento che dovrebbe legiferare su materie eticamente sensibili è stato desautorato, privato pertanto del libero confronto che si dovrebbe svolgere al di là dell’appartenenze e maggioranze politiche, come avvenne per le leggi sul divorzio e sull’aborto.

          Credo comunque che la classe politica italiana, arroccata in posizioni di principio, in una società che si evolve,  sia ancora troppo lontana dai reali bisogni e dalle concrete richieste dei suoi cittadini.

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          Cronaca di un disastro meritato

          Come al mio solito, tento di portare all’attenzione della comunità locale -Gruaro- argomenti trattati genericamente dai media.

          Quando nel 1977 approdai in questa zona del Veneto, a Boldara in particolare, paesaggisticamente mi era sembrato tornare agli albori dell’800. Era uno splendido susseguirsi di prati, di appezzamenti di terra -i “campi”- ben protetti dalla bora da siepi e separati da profondi fossati adibiti al drenaggio, le “scoline”. Cosa rimane adesso di questa “gestione intelligente e responsabile del territorio”?

          I Francesi, negli anni settanta, si sono resi conto dell’importanza fondamentale delle siepi e dei fossati. Erano le fondamenta dell’agricoltura biologica e della difesa del territori per impedirne l’erosione e l’aridità. Il Governo francese ha legiferato e imposto l’immediata protezione ed il ripristino  di queste strutture agricole. Negli anni novanta hanno festeggiato il ventimillesimo chilometro di siepi restaurato (20.000Km)!
          Non posso esprimere un giudizio che si riferisca alla vasta superficie italiana ma è certo che a Gruaro siamo lontani dall’aver capito quanto scritto sopra.

          Nella nostra zona si continua ad eliminare, far scomparire, a “tombare” (lugubremente più adatto) siepi e fossati. Ormai non resta che il ricordo dei centinaia di chilometri di fossati che fino a poco tempo fa ricevevano e convogliavano le piogge. Milioni di metri cubi d’acqua rimangono in superficie e si accumulano prima di finire direttamente nei fiumi i cui letti non possono che allargarsi a dismisura e inondare campi e zone abitative. Dopo oltre 50 modifiche al piano regolatore firmate dalla Giunta attuale e precedente (senza variazioni nella gestione del problema) per permettere una lottizzazione sfrenata, spesso inutile, il territorio è stato impermeabilizzato su centinaia e centinaia di ettari  grazie a catramazioni, cementizzazioni e costruzione di abitazioni, condomini e capannoni.

          Contemporaneamente, non solo i fossati sono quasi completamente scomparsi ma quei pochi rimasti sono stati lasciati all’abbandono o sono divenuti oggetto di “strani” interventi. In effetti, ogni anno, lungo le nostre strade, si può osservare un mezzo meccanico che, accuratamente, ricrea l’alveolo del fossato colmo di vegetazione e sedimentato e, a pochi centinaia di metri a monte, un altro mezzo meccanico, quello dell’agricoltore, che con impietosa incuranza per il lavoro d’altri appena svolto, menefreghismo totale e ovvia inciviltà a favore di un guadagno del tutto personale, ara talmente vicino al fossato appena ripristinato da provocare la caduta di zolle di terra al suo interno. Zolle che, in primo luogo impediranno il deflusso delle acque ed in seguito la sedimentazione che farà diminuire la profondità dello scavo. Il tutto a nostre spese e pericolo.

          Ma c’è di meglio: qualche giorno fa, curando l’impiegato di un Comune limitrofo a Gruaro mi sono lasciato scappare che a me non servono gli avvisi elettorali per conoscere la data delle elezioni: basta osservare la frequenza delle catramazioni delle strade: entro pochi giorni ci saranno le elezioni!

          -“Ha ragione”- mi ha risposto molto seriamente l’impiegato – “… e lo facciamo troppo spesso laddove non serve proprio a nulla.”-
          Solo propaganda populista.

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          Agli elettori mancini!

          Consigli utili: come sopravvivere a B&B

          (Riportiamo alcuni suggerimenti sintetici del giornalista Roberto Cotroneo ai delusi del 15 aprile da qui fino al 2013.)

          1. Evitare le trasmissioni televisive politiche.
          2. Darsi un’anima internazionale evitando con cura le prime tre pagine di qualsiasi quotidiano e i primi 15 minuti dei telegiornali.
          3. Pensare il meno possibile.
          4. Evitare le vacanze in luoghi amministrati dal centro sinistra e dal centro destra; meglio starsene a casa.
          5. Molta natura: la natura funziona sempre, e soprattutto non l’ha inventata Berlusconi.
          6. Evitare le passeggiate per la pianura padana, lungo il Po e la Costa Smeralda.
          7. Trovarsi un hobby o uno sport non attinente con la cronaca politica. Per chi non riesce a fare a meno di pensarci a B&B, potrebbero andar bene gli scacchi, la dama o i videogiochi.
          8. Allontanarsi il più possibile dalla contemporaneità. Non leggere saggi sull’Italia di oggi. Darsi alla letteratura. Imparare a ballare; per i balli di coppia scegliere partners che non siano di sinistra.
          9. Iscriversi a una stagione di concerti rigorosamente di musica classica; meglio la musica barocca che ti fa illudere di vivere in un Paese migliore.
          10. Per chi è single, trovarsi un fidanzato o una fidanzata, meglio stranieri, perché non pensano troppo a Berlusconi e non sanno chi siano Bossi o Maroni.
          11. Niente cultura. Leggere libri certo.  Meglio non frequentare presentazioni di testi impegnati, cineforum, teatro sperimentale. Finisce che ti senti di nicchia.
          12. Attendere con pazienza; non c’è altra possibilità. Ascoltare la radio di notte. E’ raro che a quell’ora telefoni Berlusconi. Provare a sorridere, nonostante tutto.

          da “l’Unità” del 16 aprile 2008

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          (Riportiamo alcuni suggerimenti sintetici del giornalista Roberto Cotroneo ai delusi del 15 Aprile da qui fino al 2013.)

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          Delle “invasioni barbariche” (ovvero, nuove forme di povertà)

          Essendo donna e lavoratrice (pensate quante cose si possono fare a questo mondo) ogni mattina inforco la mia utilitaria, vado al lavoro e accendo la radio, tanto per non prender sonno al primo semaforo.

          L’altro giorno, una botta di vita. Dal profondo del mio stadio larvale, sento una notizia effetto sveglia. Un intelligentone, pare pure al governo del suo territorio, dice che per ogni torto subito da un cittadino italiano, dieci extra comunitari dovrebbero venir puniti (mancava solo un “Ja wohl!” per connotare meglio il suo intervento).

          In un primo momento resto allibita, dopo penso se indignarmi o no, perché esternazioni del genere non si dovrebbero neppure commentare, visto che non han senso di esistere. Poi, quando nei successivi tre chilometri rischio di tamponare più volte l’auto di fronte a me, decido di indignarmi: riguardo certe cose non si può far finta di niente. Toccano corde profonde nel cuore e nel cervello.

          Mi lascio quindi andare ad alcune riflessioni di tipo politico (ma chi l’avrà scelto questo individuo?), religioso  (non esiste una giustizia divina che fulmini all’istante chi proferisca parole del genere?) e legale (non esistono i crimini umanitari?).

          Secondo questa corrente di pensiero dobbiamo guardarci dalle invasione del barbaro straniero. Siamo forse alle soglie di un nuovo Medioevo? L’impero sta andando a rotoli? Meno male che c’è chi ci illumina, ci protegge e ci guida. E soprattutto trova capri espiatori.

          Crolla l’economia? Colpa dei cinesi. Aumenta la criminalità? Colpa degli albanesi e rumeni. La famiglia va a catafascio? Colpa degli omosessuali. Si surriscalda il pianeta? Colpa degli eschimesi….
          Caro amico della porta accanto, guarda che c’è qualche cosa che non va. Troppo facile e comodo cadere in queste mistificazioni. Non offendiamo l’intelligenza delle oneste persone. Andiamo oltre.
          Viviamo sicuramente nella società del benessere, ma siamo molto vulnerabili sul piano dell’educazione emotiva. Percepiamo forme di malessere intorno a noi, c’è carestia di valori, di significati e di sicurezze. In questo senso sì ci troviamo di fronte ad un nuovo Medioevo e posso capire che, come le streghe all’epoca, si cerchino i responsabili in chi è più esposto ed emarginato; ciò accade perché sta emergendo una nuova forma di povertà non economica ma più pericolosa: quella emotiva, relazionale e culturale.

          La fiducia nell’altro è lacerata perché si sono interrotti i canali comunicativi più importanti, cioè quelli che si basano sul concetto di accettazione; manca la volontà di rispettare come interlocutore chiunque, soprattutto chi è diverso, perché riconoscere i bisogni degli altri, significa ridimensionare i propri. Si è stabilita invece una relazione basata sull’imposizione di autorità e forme di potere  in risposta ad episodi di violenza che comunque vanno condannati. Ma chi delinque lo fa perché assume comportamenti errati e non perché è cinese, albanese, rumeno, omosessuale o, peggio ancora, eschimese.

          I conflitti vengono risolti trincerandosi in biechi meccanismi di difesa come l’accusa o la generalizzazione reciproche, non si accetta più la mediazione che salva e dignifica le individualità a confronto.

          E perché?

          • E’ difficile comunicare perché significa uscire dal proprio egocentrismo.
          • E’ difficile comunicare perché le proprie sicurezze entrano in crisi.
          • E’ difficile comunicare perché significa cambiare, cosa che all’essere umano costa fatica e frustrazione.

          Perciò quando sentiamo certe “sentenze” dette, fatte, mostrate ogni giorno in ogni luogo, non affrontiamole con superficialità o peggio indifferenza. Indignamoci, perché l’indignazione viene da dentro ed è solo dentro di noi che possiamo trovare  gli strumenti per modificare le cose.

          Come ha detto di recente qualcuno che di questo se ne intende: “il vero nemico non è molto lontano, spesso è seduto sul divano di casa tua … e non ha gli occhi a mandorla”.

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