La periartitrite scapolo-omerale è una malattia complessa, che si manifesta sotto diversi aspetti dal più subdolo ed insidioso dolore, alla crisi acuta che strappa urli al più feroce dei legionari.
Sarebbe più esatto chiamare questa patologia “sindrome spalla – mano”, primo perché questa definizione descrive bene la distribuzione del dolore, che può sia limitarsi alla sola spalla, sia irradiarsi fino alla punta delle dita; secondo, perchè nonostante la sua prima denominazione, non è per niente un’artrite bensì una infiammazione dei tessuti molli (e non delle ossa) che circondano la spalla, e che va dalla tendinite di vari muscoli alla capsula sinoviale, che avvolge l’articolazione della spalla. La periartrite, malattia subdola, inizia sempre con un dolore leggero, magari qualche fitta, che appare sopportabile, però, di notte lo stesso dolore permane e, anzi, diventa spesso una tortura. La persona fa sempre più fatica ad alzare il braccio. Si installa così un circolo vizioso: la persona ha paura di muovere il braccio e, aumentando l’immobilità, aumenta il dolore.
Purtroppo, con la somministrazione di un antinifiammatorio, il dolore può tornare ad essere sopportabile e ciò fa sì che la persona si trascini per settimane, peggio per mesi, con un’alternanza logorante di sedazione e di episodi dolorosi. Entra in gioco il medico per la seconda volta per ordinare o “infliggere” la solita infiltrazione di cortisone; gran sollievo per uno, due, o tre giorni e dopo avanti di nuovo con l’inferno, che può trasformarsi in “banchisa” con una spalla cosiddetta “congelata”, ossia paralizzata, che rende necessario lo sblocco sotto anestesia.
Cosa fare? Dunque prima di tutto bisogna avere subito la diagnosi corretta e capire da cosa è stata causata la malattia: nel 60/70 % dei casi la causa è psico – somatica (stress, paura, perdita di un caro, bocciatura agli esami, angoscia per il lavoro, abbandono amoroso, problemi con i figli . etc.). Il resto è conseguenza di traumi, incidenti, lavori non abituali; dopo la diagnosi è opportuno eseguire una cura a base di movimenti precisi di ginnastica specifica, passiva, detta di Sohier, ad opera del terapista.
Lo scopo di questo intervento è quello di rompere il circolo vizioso dell’immobilità. In parallelo, bisogna applicare l’elettroterapia e quella del freddo, perlomeno in fase acuta.
A questo proposito, è da sottolineare che la PSO è una malattia che si cura soprattutto in fase acuta, aspettare è assolutamente controindicato. Quanto alle infiltrazioni, tutti sanno che decalcificano le ossa, rendono fragili i tendini e mettendo pericolosamente a riposo le ghiandole surrenali. Esse infatti possono non funzionare più adeguatamente dopo ripetute cure di cortisonici. Una periartrite, anche dolorosissima, presa in tempo, può svanire in una sola seduta, essa si risolve nel 99% dei casi, con quanto descritto, ma a condizione di non aspettare troppo a lungo e di non limitarsi ad ingerire carriolate di farmaci. Sono 25 anni che predico questo iter, evidentemente in un deserto dove emergono solo le case farmaceutiche.
Dr. Claude Andreini, Fisioterapista
[print_link]