“Ho avuto modo di vedere le foto della salma di Stefano Cucchi, 31 anni, morto in circostanze tutte ancora da chiarire nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma. È difficile trovare le parole per dire lo strazio di quel corpo, che rivela una agonia sofferta e tormentata. È inconfutabile che il corpo di Stefano Cucchi, gracile e minuto, abbia subito a partire dalla notte tra il 15 e 16 ottobre numerose e gravi offese e abbia riportato lesioni e traumi. È inconfutabile che Stefano Cucchi – come testimoniato dai genitori – è stato fermato dai carabinieri quando il suo stato di salute era assolutamente normale ma già dopo quattordici ore e mezza il medico dell’ambulatorio del palazzo di Giustizia e successivamente quello del carcere di Regina Coeli riscontravano lesioni ed ecchimosi nella regione palpebralebilaterale; e, la visita presso il Fatebenefratelli di quello stesso tardo pomeriggio evidenziava la rottura di alcune vertebre indicando una prognosi di 25 giorni. È inconfutabile che, una volta giunto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, Stefano Cucchi non abbia ricevuto assistenza e cure adeguate e tantomeno quella sollecitudine che avrebbe imposto – anche solo sotto il profilo deontologico – di avvertire i familiari e di tenerli al corrente dello stato di salute del giovane: al punto che non è stato nemmeno possibile per i parenti incontrare i sanitari o ricevere informazioni da loro. È inconfutabile che l’esame autoptico abbia rivelato la presenza di sangue nello stomaco e nell’uretra. È inconfutabile, infine, che un cittadino, fermato per un reato di entità non grave, entrato con le proprie gambe in una caserma dei carabinieri e passato attraverso quattro diverse strutture statuali (la camera di sicurezza, il tribunale, il carcere, il reparto detentivo di un ospedale) ne sia uscito cadavere, senza che una sola delle moltissime circostanze oscure o controverse di questo percorso che lo ha portato alla morte sia stata ancora chiarita.”
Luigi Manconi
Quando mi è stato chiesto di scrivere per la Ruota, mi si è posto un problema: cosa scegliere fra i problemi della cultura sottoposta a faziosità politica, della politica concentrata sul sesso e sulla sua richiesta di disuguaglianza istituzionale, dell’affondamento della democrazia e della libertà di espressione, dei drammi idro-geologici in quanto cronache di morti annunciate o della bella ripresa di potere della mafia che continua a “trattare” con i Governi eletti da decenni.
Tuttavia, osservando l’elenco appena steso, mi sono reso conto che la morte di Stefano Cucchi poteva rappresentare la quintessenza, la somma di quanto citato prima: l’inesistenza dello STATO DI DIRITTO.
Cucchi era un ragazzo senza potere, senza soldi, senza amici alto locati, senza amici mafiosi. Esattamente come la stragrande maggioranza di noi. Entrato in una caserma per un reato minore sulle proprie gambe, in buona salute, è uscito poco dopo da un ospedale morte per gravi contusioni e fratture vertebrali non sottoposte ad adeguate cure.
Stefano è morto come tanti altri nelle prigioni di Pinochet, come nella famigerata Lubjanka del KGB, trattato come i prigionieri di Guantanamo o i fellagha della guerra d’Algeria. Ma dove siamo? A Guantanamo?
No, siamo in Italia, dove un’altra morte di prigioniero non dovrebbe essere messa a tacere come quella del povero vigile trasportato d’urgenza dalla Sardegna, per una scazzottata, con tanto di elicottero militare, caduto in mare prima del suo arrivo in carcere!
Domande:
- Ricordando lo scandalo provocato dalle manette messe ad un parlamentare ai (bei) tempi di Mani Pulite, come posso accettare che un cittadino non solo venga ammanettato, ma anche ucciso da chi lo ha fermato?
- Il ragazzo è stato duramente picchiato: da chi? Ma la domanda altrettanto importante è: che non ci sia nemmeno un solo testimone che abbia tentato di impedirlo, di salvarlo? Insomma una giustizia di “branco”?
- Chi ha colpito rappresenta lo Stato, che dovrebbe essere il mio garante?
- Portato in ospedale, non è stato sottoposto a cure e lasciato morire. I medici cosa o chi stanno coprendo?
- Il ragazzo non ha nemmeno potuto contattare la famiglia. Una famiglia che affida il suo ragazzo allo Stato e lo recupera sfigurato e con sangue nello stomaco e nell’uretra (calci nella pancia e sicuramente nel basso ventre) Ma che razza di medico lavora in quelle Istituzioni!!!? Per fortuna che il detenuto era ricoverato nella struttura sanitaria del Fatebenefratelli!!! Hanno fatto bene le cose, certo!
La lettura delle varie domande non lascia spazio a dubbi: siamo in uno Stato che non riconosce l’uguaglianza dei cittadini: c’è chi è rispettato e chi non lo è.
Quali sono i parametri di rispettabilità in Italia?
Siamo in uno Stato che è rappresentato in da persone indegne, persone che dovrebbero loro essere dietro le sbarre. Che ci finiscano.
Siamo quasi certi che mai la luce completa sarà fatta. Solo uno Stato forte ammette le proprie colpe. Qui abbiamo solo uomini forti che usano uno Stato debole.
Che sia un dramma annunciato? Quando si sa che la mafia tratta con i Governi per gestire le carceri e la disciplina interna, mi sembra ovvio.
L’evento sarà rapidamente insabbiato sotto una crosta di scandali politici a base di soubrette, di partite di calcio, di gare di auto ed eventi porno mondani, ciò che proverà non solo il controllo politico della Giustizia, ma anche la scarsa libertà di espressione, confermata dalla nostra 77esima posizione in materia nella graduatoria internazionale.
In teoria, la speranza dovrebbe nascere da una presa di posizione chiara, forte, inderogabile di una Chiesa che si dice protettrice dei deboli. Purtroppo nemmeno da questa parte sento parole dure e richieste di indagini immediate.
Cucchi è morto. Speriamo che non si “accerti” che è caduto dalle scale o che si è suicidato.
La prima ricostruzione assolverebbe lo Stato e la seconda chi fa più politica che applicazione del Vangelo.
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Nichilismo e speranza: riflessione sui giovani
Si tratta di un atteggiamento che ha attraversato la storia dell’umanità, dai Greci (con Gorgia) fino ai giorni nostri (Heidegger, E. Severino) e che ha assunto nei secoli forme diverse e contestualizzate allo spirito di ogni epoca.
Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie al nichilismo russo che si espresse prevalentemente in forma narrativa anziché concettuale, il termine divenne di uso comune. A dargli il nome fu lo scrittore I. S. Turgenev, l’autore di “Padri e figli” (1862).
Da qui il nichilismo esce dall’ambito propriamente filosofico e incomincia a contaminare il pensiero sociale e politico francese e tedesco, ad animare l’anarchismo e il populismo del pensiero russo, proclama, con Nietzsche, la morte di Dio e apre alla cultura della crisi connotata da relativismo, scetticismo e disincanto.
Il nichilismo, l’ospite inquietante che è entrato nelle nostre case e che fatichiamo a riconoscere, si aggira tra i giovani, “penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca le loro anime, intristisce le passioni rendendole esangui” (U. Galimberti).
Genericamente parliamo, leggiamo e ascoltiamo di disagio giovanile: quasi un luogo comune percepito nella nostra società senile come un rimbrotto paternalistico e comunque limitato alla sfera esistenziale. Ma il disagio non è esistenziale, bensì culturale: Dio è morto e con lui la visione ottimistica della storia che vedeva il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza.
La cultura occidentale, abbandonata la visione pessimistica degli antichi greci e abbracciata la tradizione giudaico – cristiana, ha guardato al futuro sorretta dalla convinzione che la storia dell’umanità è una storia di progresso e quindi di salvezza. Ma anche l’omologa moderna della triade male – redenzione – salvezza e cioè scienza – utopia – rivoluzione ha mancato la promessa. Disuguaglianze sociali sempre più evidenti, disastri economici, inquinamenti di ogni tipo, comparsa di nuove malattie, intolleranze e fanatismi, pratica abituale della guerra testimoniano il venir meno della promessa.
La mancanza di senso, di fine e di scopo ha ridotto l’orizzonte a un deserto pietrificato dove dominano i miraggi. Così la nostra società contemporanea è pervasa dalla tristezza diffusa e percorsa dal sentimento permanente della precarietà e dell’insicurezza.
Il futuro come promessa è scomparso e questo determina l’arresto del desiderio al presente. Con il rischio che, negli adolescenti, non si verifichi più il naturale passaggio dall’amore di sé all’investimento sugli altri e sul mondo con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali.
Genitori e insegnanti sono disorientati perché la mancanza del futuro come promessa li priva dell’autorità di indicare la strada.
Questa circostanza induce l’instaurarsi di un rapporto contrattuale, quindi egualitario, fra genitori e figli, insegnanti e allievi. Ma questa relazione è lungi dall’essere paritaria perché priva l’adolescente dei riferimenti necessari a contenere, con equilibrio, le proprie pulsioni e l’ansia che ne deriva.