africa Archivi

0

Ghana, Togo, Benin

Il mio viaggio in Ghana, Togo, Benin, non era finalizzato a visitare luoghi, ma ad incontrare etnie e tribù che vivono in quei territori. Ho così percorso quasi 2500km su strade per la maggior parte mal asfaltate o in terra battuta ed ho notato alcune diversità fra questi Paesi.

In Ghana (ex Costa d’oro, ex colonia inglese e primo stato africano a rendersi indipendente) ho visto molte scuole, coltivazioni intensive specialmente di cacao e manioca; negli altri due stati, ex colonie francesi, dove la lingua ufficiale è ancora il francese, mi è sembrato di vedere più miseria, poche scuole e molta carenza di energia elettrica. Questa mia impressione è stata confermata dalla nostra guida, un togolese, il quale diceva che le cose funzionano meglio in Ghana, in particolare per quanto riguarda scuola e sanità, tant’è che i Togolesi più benestanti vanno a curarsi nelle strutture ghanesi.

Ma ritorniamo al viaggio: Accra, la capitale del Ghana con circa 2 milioni e mezzo di abitanti mi si presenta con un traffico caotico di biciclette, motorini, carretti, auto scassate e camioncini sgangherati il tutto in un concerto assordante di clacson; qui tutta la vita sociale ed economica si svolge sulla strada, dove è possibile trovare di tutto, perfino casse da morto a volte dalle forme bizzarre.

Il giorno dopo parto, attraverso un paesaggio di colline e foreste, alla volta di Elmina. Questa cittadina, assieme a Cape Coast, è tristemente famosa per il suo castello-fortezza costruito dai Portoghesi, e poi usato anche dai Francesi e dagli Inglesi e che serviva come base per la tratta degli schiavi. Qui venivano imprigionati i neri destinati alla deportazione e quelle stanze divise per uomini e donne, le celle per i riottosi, le segrete, le ampie stanze per le truppe e il lussuoso appartamento per il governatore di turno  evocano l’orrore della prigione e la crudeltà dei carcerieri. Bella la cittadina di Elmina, un tipico porto di pesca con centinaia di piroghe colorate.

Proseguo poi per Kumasi, che è considerata la capitale degli Ashanti, numeroso e ricco popolo, ben integrato nella vita del Paese. Qui ho visitato il palazzo del re ed il relativo museo, che conserva una ricchissima collezione di gioielli ed insegne reali in oro massiccio. Nel pomeriggio ho assistito, nel palazzo reale, ad una festa “akwasdae”, cioè un’uscita pubblica del sovrano che avviene ogni 42 giorni. Sotto un ombrello colorato, portato dai sudditi, arriva il re, vestito di stoffe preziose e adornato di antichi gioielli d’oro e si siede sul trono; segue poi una cerimonia alla quale intervengono numerosi rappresentanti: dai dignitari, alle autorità civili del governo ghanese a quelle religiose, compreso il nunzio apostolico.

Il giorno dopo, cambiando totalmente registro, partecipo ad un funerale ashanti; a questa cerimonia assistono alcune centinaia di persone che sfoggiano dei bellissimi costumi tradizionale rigorosamente neri e rossi. Il rito, che avviene mesi dopo il decesso e la sepoltura è un evento festoso e segna il passaggio del defunto tra gli avi.
Sono entrato in questo grande cortile e per prima cosa, io e i miei compagni di viaggio, abbiamo stretto, in segno di partecipazione, la mano ai famigliari. Successivamente, al ritmo di musiche e danze tradizionali, gli ospiti presentano le loro offerte alla famiglia del defunto, che in questo caso, era una donna morta 4 mesi prima.

Dopo questo bagno di folla, proseguo il viaggio verso Nord e il paesaggio muta e da foresta diventa, a poco a poco, savana; costeggio il lago Volta ed incontro dei minuscoli villaggi, dalle belle capanne d’argilla appartenenti alla etnia Gondja. Verso la frontiera con il Togo visito i villaggi Dagomba: questa popolazione rappresenta un ottavo dell’intera popolazione ghanese.

I loro villaggi si caratterizzano per la numerosa presenza di case rotonde con i tetti di paglia. Gli abitanti, dediti all’agricoltura, condividono questi territori con altri gruppi fra cui i KonKomba e proprio in uno dei loro villaggi ho visto raggruppate delle donne sulle quali pesava l’accusa di stregoneria e solo il capovillaggio, una specie di santone può decidere quando liberarle da questo malocchio.

0

“Sete d’Africa – Mali e e Burkina-Faso in bicicletta” di Claudia Perugini

Per cercare di ridurre le distanze fisiche e mentali che ci separano dal Burkina Faso, può essere utile la lettura di “Sete d’Africa”, libro scritto da Claudia Perugini ed edito da Ediciclo nel 2004.

Non si tratta di un testo scientifico o tecnico, o di indagine socio-economica, ma è il diario di un viaggio in bicicletta, fatto dall’autrice con il marito Max nel paese subsahariano, e  in cui essi riescono a coniugare la passione per il cicloturismo con la solidarietà. Max e Claudia, concependo la loro impresa , infatti avevano deciso  che ” la ( loro ) pedalata  doveva essere qualcosa di diverso da una semplice vacanza” ed avevano incominciato , prima del viaggio, a cercare contatti e fondi, approdando ad aderire al progetto ” Acqua è vita” dell’associazione di volontariato internazionale L.V.I.A.

Il libro è quindi la cronaca di questo percorso, fatto dai due protagonisti, fuori e dentro di sè, per costruire e realizzare qualcosa di concreto e utile per  gli altri, oltre che per vivere un’esperienza ciclistica intensa, straordinaria, radicale. Il resoconto del viaggio si snoda in modo diretto, lineare incisivo ed appare scritto con gli occhi, con la mente e con il cuore, per aiutarci non solo a vedere luoghi lontani, colti nella loro complessa realtà, senza alcuna concessione all’esotismo e alla retorica, ma anche a rivedere il nostro mondo e modo di vivere in un’ottica di essenzialità ed autenticità.

[print_link]

0

Una goccia d’acqua nel deserto del Burkina-Faso

Superficie: 274.471 Km²
Popolazione: 13 milioni abitanti (2005)
Reddito procapite: 1040 $ (2005)
Speranza di vita: 46 anni (2003)
Popolazione con meno di 1 $ al giorno: 45% (2002)
Accesso all’acqua da bere: 51% (2002)
Bambini sottopeso sotto i 5 anni: 34% (2003)
Spesa per salute: 7% P.I.L. (2005)
Spesa per difesa: 14% P.I.L. (2005)

Leggendo un quotidiano locale sono venuta a conoscenza dell’esistenza di un’associazione di volontariato a Quarto d’Altino, Oltreiconfini,  che ha messo in piedi un ambizioso progetto d’aiuto per il villaggio di Pendogo situato  in uno dei più poveri paesi dell’Africa sub-sahariana, il Burkina-Faso.

Il progetto consiste nella trivellazione di un pozzo che possa fornire alla popolazione del villaggio, di circa 450 persone, almeno 20 litri d’acqua potabile al giorno per abitante. Poiché  nella scuola dove insegno, l’ISIS “Luzzatto” di Portogruaro, con la collaborazione d’alcune colleghe, da un paio d’anni abbiamo messo appunto, per le classi prime e seconde, un progetto d’educazione ambientale, lo scorso mese d’Aprile due volontari dell’associazione Oltreiconfini sono venuti nel nostro Istituto a presentare il loro progetto che dovrebbe essere terminato entro il 2005.

Durante la conferenza, sia io che gli alunni invitati, abbiamo potuto toccare con mano la terribile situazione in cui versa un continente enorme come l’Africa sia per quel che riguarda la carenza cronica d’acqua potabile sia per la situazione sanitaria che è spaventosa: si pensi che nel villaggio di Pendogo, un bambino su cinque non raggiunge i sei anni d’età a causa di malattie derivanti dall’uso d’acqua non potabile. In questo villaggio, che ha un territorio compreso in un’area di 10 km per 3 km, esistono solo due pozzi dai quali possono essere prelevate scarse quantità d’acqua per lo più inquinata sia dal punto di vista chimico che biologico. L’insufficienza d’acqua potabile, aggravata da una cattiva gestione dei punti d’acqua esistenti, è all’origine di molte malattie trasmesse dall’acqua come infezioni alla pancia, diarree infantili, la dracunculosi (verme di Guinea).

L’idea di questo progetto è nata in seguito all’analisi del contesto socio-economico del dipartimento; da quest’analisi è emerso che, nonostante l’esistenza di punti d’acqua, vi sono seri problemi di mancanza di questa per il consumo umano e animale, soprattutto durante la stagione secca. Infatti, durante questo periodo, la maggior parte dei punti d’acqua esistenti si esauriscono e le donne devono percorrere 5-10 km a piedi per cercarne di nuovi. Il progetto permetterà di risolvere le difficoltà d’approvvigionamento d’acqua potabile, di lottare contro le malattie idriche, di contribuire a risolvere i conflitti sociali attorno ai pozzi e di permettere alle popolazioni di impiegare meglio il loro tempo in attività economiche più remunerative.

Infatti basta pensare che la maggior parte delle bambine non può frequentare la scuola, che nel paese sarebbe in teoria obbligatoria, perché alla famiglia serve acqua per la sopravvivenza e quindi sono proprio le bambine che più volte al giorno,  a piedi o su sgangherate bici, si recano ai pozzi per recuperare quella poca acqua disponibile. Come precisato nel titolo questo progetto è paragonabile ad una goccia di pioggia che cade nel deserto ma se si pensa che questa iniziativa ha un costo di solo € 11.000 e che permetterà sia di salvare molte vite umane dalle malattie legate all’uso di acqua non potabile  sia un migliore uso del tempo delle popolazioni, ci si convince che anche un  piccolo intervento per alleviare le sofferenze di almeno un villaggio nella sterminata Africa, senza avere la presunzione di risolvere problematiche antiche, legate alla colonizzazione del continente, alla corruzione e alla cattiva gestione politica ed economica, perpetuata dagli odierni governi locali.

[print_link]

Superficie: 274.471 Km²

Popolazione: 13 milioni abitanti

Reddito procapite: 1040 $

Speranza di vita: 46 anni (2003)

Popolazione con meno di 1 $ al giorno: 45% (2002)

Accesso all’acqua da bere: 51% (2002)

Bambini sottopeso sotto i 5 anni: 34% (2003)

Spesa per salute: 7% P.I.L.

Spesa per difesa: 14% P.I.L.