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Un fotografo dall’occhio da scultore

Il 24 giugno 2005, è stata inaugurata a Chicago, alla FLATFILEgalleries, la mostra fotografica personale di Claude Andreini, nostro concittadino, dal titolo evocativo “METROPOLIS”.
Riportiamo di seguito la critica della curatrice Susan Aurinko, in collaborazione con il Dr. Michael Weinstein – Prof.  di Scienze Politiche alla Purdue University di Chicago.

“Claude Andreini è un modernista, che realizza immagini nella più grande tradizione lineare, con una composizione formale e senza necessità di spiegazioni.
Nonostante l’autore dichiari a proposito del lavoro METROPOLIS che esso è nato da considerazioni ambientaliste, alla fine risulta che Andreini realizza delle foto assolutamente magnifiche della stessa realtà, quella urbana, che intendeva criticare. A lui è impossibile scattare una fotografia che non sia equilibrata alla perfezione. È in questo modo che funziona il suo occhio ultrapreciso. Che siano fotografati nudi, elementi architettonici, ambientazioni urbane o lugubre camere di campo di concentramento, Andreini rappresenta i suoi soggetti con una purezza e un rispetto estremi. Affiora nell’insieme della sua opera una comprensione della forma e della superficie che nasce dai suoi studi di scultore.

Il corpo del lavoro intitolato METROPOLIS, rivolto all’evocazione di distese urbane e dell’assenza di natura, osanna invece la bellezza lineare della città. Gli angoli sono utilizzati al meglio per creare immagini che mostrano il paesaggio urbano come un mondo di strutture monumentali di acciaio e di vetro, simili nella loro essenza, a delle sculture che si drizzano verso il cielo. Immensi pannelli pubblicitari, mostrando visi enormi, giustapposti all’architettura aggiungono una strana umanità a questo ambiente peraltro sterile. Quando appaiono individui, le loro sagome sono indistinte, spettrali, e si muovono dietro una lastra di vetro traslucido lavorato. In un caffè all’aria aperta, ombrelloni sistemati in cerchi concentrici nascondono ogni essere  suscettibile di pranzare al loro riparo, mostrando di nuovo una versione surrealista della città, priva dalla gente che la crea e l’abita. Un po’ come se la città sorgesse dalla terra completamente formata, senza l’aiuto delle popolazioni, tanto le sue strade sono vuote in queste fotografie sconcertanti.” (…)

(trad. Selim e Indira Chanderli)


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A proposito di “Metropolis”… intervista a Claude Andreini

Ho incontrato Claude Andreini al ritorno da Chicago e gli ho posto alcune domande, allo scopo di evidenziare e di meglio capire la genesi, le motivazioni e le intenzioni comunicative ed artistiche che stanno alla base di questo suo lavoro di fotografo ed artista.

Come è nata Metropolis?
“L’ispirazione per questo mio lavoro è nata visitando tante città europee, grandi e piccole, dove ho avuto la sensazione che l’architettura moderna, rigorosa, funzionale, fatta di materiali  lisci e duri, come l’acciaio, brillanti e trasparenti come il vetro, non fosse affatto accettata. Idem per altre strutture, magari antichizzanti, segni di passata ricchezza, ma non certo di socializzazione; perciò al piede di slanciate torri di cristallo, l’impiegato si rifugia a sorseggiare una bibita sotto ombrelloni di paglia; lo stesso avviene nel cortile, circondato da imponenti colonne greco-romane, di un museo; sui muri poi di centinaia di appartamenti, appollaiati gli uni sugli altri, campeggiano manifesti di persone sorridenti… e così via.”

Mi sembra di capire che quello che rappresenti nelle tue foto è un ambiente urbano, alienante, che genera disagio.
“Sì, le immagini vogliono evidenziare proprio il malessere dell’uomo a vivere in strutture che non sono consone per la vita naturale a cui aspira. Esse tentano di dimostrare che la scelta è stata sbagliata e che, individualmente, nel suo piccolo, ogni individuo cerca di ricrearsi un angolo a sua misura.”

Hai colto questo stesso disagio di abitare anche a Chicago?
“La stessa domanda mi è stata fatta anche da Michael Weinstein, giornalista-filosofo americano, nel corso di una intervista, ed ho dovuto rispondere che no, non avvertivo nel paesaggio urbano americano quel disagio palpabile che avevo testimoniato con le mie foto. In effetti, la vista delle formidabili torri di Chicago, città simbolo dell’architettura americana, (grazie alle opere di Van Der Mies e Wright, fra gli altri), non mi ha fatto cogliere la stessa sensazione che mi aveva colpito in Europa. Lì, il cittadino non sembra per niente soffrire dell’assenza di dimensione umana, nonostante tutto sia enorme, gigantesco, smisurato. Forse per l’assenza di radici antiche, la modernità è totale, dalla testa ai piedi, senza compromessi: niente ombrelloni di paglia, niente bar “esotizzanti”, nessuna nostalgia affidata a poster di Lawrence d’Arabia. E quindi non ho potuto confermare la mia tesi con altri scatti americani.”

Questa tua affermazione mi sembra un po’ controcorrente.
“Ribadisco che questa esaltata struttura architettonica non ha tolto umanità ai rapporti tra cittadini. Da tanto tempo avevo dimenticato il saluto sistematico di sconosciuti quando entri in un negozio; la conversazione con estranei che, curiosi, ti chiedono cosa stai fotografando sul marciapiede; la moneta che ti rendono sul palmo della mano e non sul freddo vetro del banco; o lo scambio di biglietto da visita quando inviti una persona, mai vista e conosciuta prima, alla tua mostra. Insomma ho avuto la sensazione che effettivamente ci sia a Chicago un “homo diversus” da quello europeo, adattato alla struttura della città. Di conseguenza, per integrare e sviluppare, per contrasto, la mia tesi, ho fatto foto di quella architettura, di quelle persone, di quella modernità.”

Sarà possibile vedere allestita anche qui da noi qualche tua mostra?

“Ottobre 2005: New York. 2006: Chicago e Ginevra.
Sono quindici anni che le mie opere sono inserite in collezioni pubbliche e private internazionali e che insegno ed espongo fotografia in giro per il mondo, ma mai ho avuto la possibilità di farlo a Gruaro. Il perchè…”

Ultimo lavoro visibile: http://www.photodigitalgrosseto.com

Sito ufficiale

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