Il sogno di molte persone, me compreso, è quello di scoprire le origini della propria famiglia e del proprio cognome.
Una volta la genealogia era tenuta in grande considerazione e veniva usata anche per scopi pratici, come verificare eventuali eredità, combinare i matrimoni più opportuni tra famiglie di pari condizione sociale, reali, nobili, benestanti; ma le ricerche genealogiche si possono fare su tutte le famiglie, aristocratiche e no, perché tutti noi abbiamo una storia e tutti, indistintamente, abbiamo degli ascendenti. È bene infatti tener presente che ognuno di noi ha 2 genitori, 4 nonni, 8 bisnonni, 16 trisavoli e così via; con questa progressione dopo 12 generazioni i nostri avi sarebbero 4096, (questa è la “ricerca per quarti”, la più completa); bisogna ricordare poi che, più si va indietro nel tempo, per l’incrociarsi dei rami genealogici, ognuno dei componenti l’albero è molte volte nostro avo.
La mia passione per le ricerche genealogiche è nata grazie a mia madre che, con i suoi racconti sulle vicende della nostra famiglia, ci ricordava chi eravamo e da dove venivamo. Ma non bastava: ho ancora viva nella mia mente l’immagine di me bambino che, andando con lei a Giai in bicicletta, (lei era di lì) la subissava di domande sui proprietari dei campi che si estendevano ai lati della strada e lei allora mi raccontava, con dovizia di particolari, la storia di quelle persone, ed io ascoltavo incantato e, senza saperlo, immagazzinavo informazioni e mi creavo un mio piccolo archivio.
Una volta cresciuto, la curiosità mi ha spinto a verificare sui documenti l’attendibilità dei racconti ascoltati a partire dall’infanzia ed ho sentito il bisogno di approfondire ulteriormente le mie conoscenze sui miei antenati e, cammin facendo, ho fatto ulteriori scoperte.
Concretamente le mie ricerche sono iniziate nel 1994 quando in famiglia abbiamo avuto bisogno di risalire alla data di nascita del bisnonno e nessuno la ricordava, neanche mia zia Nina, altra fonte inesauribile, dopo mia madre, di notizie.
Ho dovuto così affrontare, esaurito il filone della tradizione orale, pur supportato da tutta la documentazione (fotografie, dati anagrafici, lettere, atti notarili ecc.) presente in ogni famiglia, il problema delle fonti scritte. Eccomi quindi approdare ai registri parrocchiali, a quelli depositati in Curia, agli atti notarili custoditi negli Archivi di Stato, agli atti di stato civile, reperibili in quelli comunali. A proposito dei primi è opportuno ricordare che, in seguito ad una disposizione della Chiesa, adottata dopo il Concilio di Trento (1563), le Parrocchie furono tenute a registrare tutti i battesimi e matrimoni che si celebravano nel loro territorio; in seguito ai già citati, si affiancarono altri due registri, quello dei morti e quello del cosiddetto “Stato delle anime”, censimento vero e proprio, fatto dal sacerdote, che recandosi nelle famiglie per la benedizione pasquale chiedeva appunto quante “anime”, persone, facessero parte del nucleo familiare. Per inciso, ricordo che quest’ultimo registro non c’è a Gruaro e che i primi atti registrati nell’archivio parrocchiale risalgono al 1602. Nel fare queste consultazioni non mancano certo le difficoltà: gli atti hanno una grafia spesso difficile da decifrare e quindi bisogna fare una minuziosa opera di confronto e di controllo, molte parole poi sono scritte in forma abbreviata (forse per risparmiare inchiostro e carta); ci sono poi i casi di omonimia, per cui per identificare con certezza una persona bisogna rintracciare, accanto all’Atto di battesimo anche quello di matrimonio e di morte per poter fare dei controlli incrociati e per evitare di inserire al posto sbagliato un parente omonimo ma non appartenente al filo genealogico desiderato.
Succede poi che uno stesso individuo appaia nei vari atti con variazioni nel cognome (es: Barbui-Barbuio) e non è possibile servirsi, per dirimere la questione, della firma dello stesso, perché questa è stata introdotta nei nostri territori, dall’Austria, solo nel 1815, quando fu dato l’incarico alla Chiesa di tenere, accanto a quello canonico, anche il registro civile; è molto importante poi non trascurare nessuna parola, lettera o segno riportati negli atti, perché possono essere fondamentali per collocare con precisione nel tempo un soggetto.
Nel fare queste ricerche emergono alcune consuetudini ben radicate nella vita della comunità: la maggior parte dei matrimoni ad es. venivano celebrati a novembre, dopo San Martino, che segnava la fine dell’anno agrario e la conseguente chiusura dei conti; in genere gli sposi appartenevano poi allo stesso paese o a paesi limitrofi; si cercava, con l’intervento di un sensale di matrimoni, moglie /marito fuori paese, quando si restava vedovi; non venivano celebrati matrimoni in Avvento e in Quaresima.
Inevitabilmente il mio lavoro, pur imperniato sulla mia famiglia, per le caratteristiche metodologiche sopra illustrate, ha coinvolto altri nuclei familiari per cui, a poco a poco si è dipanata davanti a me una rete di relazioni in cui, a tratti, faceva capolino come fattore condizionante la storia, che, toccando la vita di individui che andavo riconoscendo, assumeva ai miei occhi una concretezza ed una pregnanza mai avvertite prima e mi traghettava alla comprensione del presente; la genealogia, a mio avviso, può avere anche per altri questa funzione e non deve quindi essere guardata come una bizzarria, ma come un ulteriore strumento di conoscenza.
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