L’economista statunitense Jeremy Rifkin, autore di diversi best seller come “L’era dell’accesso” e “Economia all’idrogeno”, ha presentato a Parigi la sua idea. Per realizzarla, è necessaria una sinergia tra la rete delle telecomunicazioni e l’uso dell’idrogeno, trainata dalla sensibilità europea per lo sviluppo sostenibile e la tutela ambientale.
L’Europa è, oggi, nella posizione migliore per condurre la nuova rivoluzione industriale guidata dall’energia, prodotta con fonti rinnovabili ed immagazzinata e distribuita attraverso l’idrogeno. Il quadro negativo che abbiamo davanti oggi è chiaro: riscaldamento globale, crisi petrolifera, debito del Terzo Mondo, terrorismo. Secondo l’economista, siamo alla fine dell’era del petrolio.
La cosa veramente interessante è che Rifkin, lungi da limitarsi a fornire delle previsioni sconfortanti, propone un punto di vista positivo, vede nella nuova situazione delle nuove opportunità e potenzialità: a suo avviso siamo all’inizio della terza rivoluzione industriale.
La nuova rivoluzione industriale partirebbe dalla riorganizzazione dei centri di comando e controllo delle informazioni, che oggi è sempre meno concentrato e sempre più distribuito. Basta pensare alle attuali forme di comunicazione ed elaborazione delle informazioni quali i personal computer, internet, i satelliti, il wi-fi, che oggi collegano già il 20% dell’umanità. Manca ancora (e qui risiede la rivoluzione industriale e l’opportunità possibile) l’aspetto relativo alla creazione, immagazzinamento e distribuzione di nuove forme di energia per produrre ed alimentare le nuove forme di comunicazione.
Rifkin ipotizza che questa rivoluzione partirà con le fuel cell (celle a combustibile), alimentate da idrogeno, che verranno distribuite in centinaia di milioni di personal computer, di auto, in milioni di case, in milioni di negozi e imprese di piccole medie dimensioni. Con le fuel cell ad idrogeno “verde” prodotto dall’acqua, da fonti rinnovabili e da biomasse, inizierà una terza rivoluzione che partirà dal basso, perché ognuno di noi, come in internet, diventerà fornitore ed utilizzatore di energia e di idee. Una rete energetica di questo genere è già stata sperimentata con successo da IBM in Germania e USA.
Infine, secondo Rifkin, l’Europa è oggi nella condizione ideale per sviluppare questo nuovo modello, e in Italia le potenzialità (partendo dal basso, dalle province e dalle regioni) per costruire un “bottom-up network” energetico sono enormi, e in grado di generare nel lungo periodo (nei prossimi 20 anni) milioni di nuovi posti di lavoro.
(riduzione da “La Repubblica” del 3 ottobre 2005)
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Nichilismo e speranza: riflessione sui giovani
Si tratta di un atteggiamento che ha attraversato la storia dell’umanità, dai Greci (con Gorgia) fino ai giorni nostri (Heidegger, E. Severino) e che ha assunto nei secoli forme diverse e contestualizzate allo spirito di ogni epoca.
Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie al nichilismo russo che si espresse prevalentemente in forma narrativa anziché concettuale, il termine divenne di uso comune. A dargli il nome fu lo scrittore I. S. Turgenev, l’autore di “Padri e figli” (1862).
Da qui il nichilismo esce dall’ambito propriamente filosofico e incomincia a contaminare il pensiero sociale e politico francese e tedesco, ad animare l’anarchismo e il populismo del pensiero russo, proclama, con Nietzsche, la morte di Dio e apre alla cultura della crisi connotata da relativismo, scetticismo e disincanto.
Il nichilismo, l’ospite inquietante che è entrato nelle nostre case e che fatichiamo a riconoscere, si aggira tra i giovani, “penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca le loro anime, intristisce le passioni rendendole esangui” (U. Galimberti).
Genericamente parliamo, leggiamo e ascoltiamo di disagio giovanile: quasi un luogo comune percepito nella nostra società senile come un rimbrotto paternalistico e comunque limitato alla sfera esistenziale. Ma il disagio non è esistenziale, bensì culturale: Dio è morto e con lui la visione ottimistica della storia che vedeva il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza.
La cultura occidentale, abbandonata la visione pessimistica degli antichi greci e abbracciata la tradizione giudaico – cristiana, ha guardato al futuro sorretta dalla convinzione che la storia dell’umanità è una storia di progresso e quindi di salvezza. Ma anche l’omologa moderna della triade male – redenzione – salvezza e cioè scienza – utopia – rivoluzione ha mancato la promessa. Disuguaglianze sociali sempre più evidenti, disastri economici, inquinamenti di ogni tipo, comparsa di nuove malattie, intolleranze e fanatismi, pratica abituale della guerra testimoniano il venir meno della promessa.
La mancanza di senso, di fine e di scopo ha ridotto l’orizzonte a un deserto pietrificato dove dominano i miraggi. Così la nostra società contemporanea è pervasa dalla tristezza diffusa e percorsa dal sentimento permanente della precarietà e dell’insicurezza.
Il futuro come promessa è scomparso e questo determina l’arresto del desiderio al presente. Con il rischio che, negli adolescenti, non si verifichi più il naturale passaggio dall’amore di sé all’investimento sugli altri e sul mondo con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali.
Genitori e insegnanti sono disorientati perché la mancanza del futuro come promessa li priva dell’autorità di indicare la strada.
Questa circostanza induce l’instaurarsi di un rapporto contrattuale, quindi egualitario, fra genitori e figli, insegnanti e allievi. Ma questa relazione è lungi dall’essere paritaria perché priva l’adolescente dei riferimenti necessari a contenere, con equilibrio, le proprie pulsioni e l’ansia che ne deriva.