Nell’antica Grecia Ovidio raccontava che Dafne, per sfuggire alle insistenti e non gradite attenzioni di Apollo, preferì trasformarsi in un albero di alloro, concludendo drammaticamente l’inseguimento del Dio, pur di non diventare sua preda. Eppure Apollo non si percepiva come nemico: –“E’ per amore che ti inseguo”– diceva all’amata.
Le parole che il Dio rivolge alla ninfa in fuga esemplificano un concetto ricorrente nello “stalking”, un termine anglosassone che letteralmente significa “fare la posta”, preso dal linguaggio tecnico-gergale della caccia e che indica lo stato in essere di atteggiamenti persecutori di un individuo verso un’altra persona.
Stalking riferisce a quella serie di comportamenti continuativi, molesti come telefonate, lettere anonime, e-mail, pedinamenti, appostamenti, minacce, aggressioni e intrusioni nella vita privata e lavorativa, che finiscono per determinare gravi e sistematiche violazioni della libertà personale (1).
Secondo i dati dell’indagine ISTAT del 2007 (condotta su un campione di 25.000 donne) nel nostro paese 2 milioni 77 mila donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni hanno subito comportamenti persecutori.
Ma chi è lo stalker?
Cosa spinge una persona a perseguirne un’altra che afferma di amare? Come si vede dal grafico, il gruppo più numeroso con la problematica è quello degli ex partner che non si rassegnano alla fine della relazione. Dal punto di vista psicologico, alcuni studi riferiti alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) sostengono che nello stalker c’è la presenza di un modello di attaccamento insicuro (ansioso – ambivalente, evitante o disorganizzato) per cui non può fare a meno dell”altra persona, la quale diventa necessaria per la propria esistenza: il soggetto lasciato non riesce a pensare ad altro che all’amore perduto.
Pur diffusissimo, è un fenomeno malcompreso e frainteso: in Italia, solo con la legge n. 38 di febbraio del 2009, lo stalking acquisisce una definizione e viene a costituire fattispecie di reato contro la libertà morale della persona, previsto dall’art 612 bis del codice penale, quando prima era inserito in modo generico nel reato di molestie.
Certo è, che nei meccanismi ideaffettivi posti in essere, lo stalker sembra non tenere in considerazione i sentimenti della donna: ed è qui interessante partire per considerare la dimensione sociale del fenomeno, cioè quanto questo tipo di violenza nel nostro paese è legata ad una cultura caratterizzata da disparità di genere e quindi alla condizione subordinazione della donna rispetto all’uomo.