Quest’anno “La Ruota”, dopo nove anni, non celebrerà con una sua iniziativa, la “Giornata della Memoria” e non per un improvviso attacco di negazionismo, ma perché sente forte il bisogno di una pausa di riflessione alla ricerca di forme nuove e significative di comunicazione sul tema della Shoah. Il nostro timore infatti è quello di cadere nel cliché del rito che si ripete, anno dopo anno, sempre uguale a se stesso. “Oggi Auschwitz è un simbolo, una metafora del male assoluto. E come tutte le metafore rischia di perdere la sua fisicità, diventa una figura stilizzata, estetizzante, oggetto di opere d’arte e pellegrinaggi” (WLODEK GOLDKORN – l’Espresso n. 4, 31 gennaio 2013, pag. 74-76).
Nel tentativo di sfuggire a questo pericolo, noi della Ruota, negli ultimi due anni, abbiamo cercato di contestualizzare la celebrazione, raccontando storie di internati locali; ma sentiamo che questo non basta, rimane il problema di cosa raccontare e come raccontare l’indicibile ai più giovani soprattutto, non perché manchino le testimonianze dirette o indirette, ma perché c’è la responsabilità di scegliere per essere efficaci e non retorici, per far riflettere e non solo commuovere e perché si capisce, grazie a Primo Levi, che il vero racconto su Auschwitz è impossibile perché l’avrebbero potuto fare solo coloro che non ci sono più: “i sommersi”.
“Ma il tempo passa -dice Goldkorn- …ed elaborare le parole dei testimoni scomparsi e in via di estinzione, significa guardare al futuro e non al passato. L’unico possibile insegnamento che si possa trarre da una vicenda indicibile, inenarrabile, inimmaginabile è questo. Ognuno è responsabile per ogni suo gesto. Si deve scegliere. La memoria significa azione.” E ancora Goldkorn, esplicita ulteriormente il suo pensiero e si chiede che differenza ci sia tra gli stupri di Bosnia e quelli perpetrati dagli ucraini sulle ragazze in Polonia. E come si sia potuto non intervenire con tutti i mezzi in Ruanda. O come si possano non trovare analogie tra la vicenda dei desaparecidos e la Shoah. “Non tradire la memoria di Auschwitz è in fondo semplice. Basta stare con i fatti, non con le parole, dalla parte degli oppressi, delle vittime, di coloro che hanno sete di giustizia” in tal modo la memoria si rivitalizza, si attualizza e rende possibile la speranza.
Ed è da questo invito ad andare avanti, includendo in questo percorso la memoria, che noi vorremmo ripartire.