E’ con piacere che approfitto dell’occasione offertami di poter parlare della mia esperienza nel mondo dell’università, ora che, trascorsi ormai quasi due anni dal giorno della mia laurea, mi trovo nella miglior posizione per valutarla a tutto tondo senza condizionamenti.
Anzi, ora che ho fatto il salto “dall’altra parte della barricata” passando dall’università alla ricerca, posso ancor meglio valutarne i punti deboli e di forza e poter capire se davvero i cinque anni trascorsi tra corsi, esami e laboratori mi hanno lasciato in eredità la preparazione di cui ho bisogno adesso.
Sono trascorsi ormai più di 7 anni da quando, nel settembre del 2001, mi iscrissi all’università; la sede scelta, per ragioni logistiche oltre che per qualità rinomata, Trieste, il corso di laurea Fisica.
Nonostante la mia formazione prettamente umanistica e classica che poteva far sembrare strana o quantomeno azzardata la mia scelta, nessuno di quanti mi erano vicini mi fece mai pesare questo aspetto, ma anzi un unanime coro di sostegno mi diede l’energia necessaria per iniziare un percorso che, di certo, non di prospettava come il più semplice possibile. E così infatti fu.
I primi mesi non furono per nulla semplici, non tanto per il carico di lavoro che la nuova realtà mi imponeva quanto per il notevole gap che mi divideva dalla maggior parte dei miei compagni di corso che, provenendo da background già di impronta scientifica, mostravano di trovarsi sin da subito a proprio agio nella nuova realtà, o almeno così credevo io.
Non mi sono però lasciato scoraggiare dalle prime difficoltà e sono andato avanti per la strada che mi ero prefisso cercando di colmare le mie lacune iniziali passando lunghe ore su libri ed appunti. A lungo andare, i risultati furono dalla mia parte e nel corso degli anni mi sono lasciato alle spalle o addirittura ho perso di vista compagni che ritenevo molto più quotati di me, i quali però peccando di supponenza o semplicemente incontrando maggiori difficoltà di quelle preventivate, non sono stati risparmiati dalle falci degli esami di fine trimestre.
In ogni caso, siccome mi è stato chiesto di parlare a tutto tondo della mia esperienza universitaria, non posso esimermi dallo spendere qualche parola su quello che, molto e forse troppo spesso, è uno degli aspetti più delicati nella vita universitaria dello studente, ossia il rapporto con l’organizzazione del proprio corso di laurea e con la “burocrazia”: professori, lezioni, segreterie, moduli… a volte ce n’è abbastanza per un vero teatro dell’assurdo. E le testimonianze di generazioni di studenti stanno li a dimostralo.
Ebbene, contrariamente all’esperienza di molti altri studenti in altre facoltà della mia università o in altre università, la mia esperienza in tal senso è stata tutto sommato positiva, in alcuni aspetti anche molto positiva. In oltre 5 anni, gli orari delle lezioni e le date degli esami sono state sempre rispettati e, nelle rarissime occasioni in cui non lo sono stati le comunicazioni al riguardo erano sempre tempestive e puntuali.
Molti dei miei professori non hanno mai avuto un orario di ricevimento fissato ma sono sempre stati disponibili a ricevere gli studenti pressoché in qualsiasi momento, e non ricordo di aver mai dovuto fare i salti mortali per poter parlare con un docente per chiarimenti, domande o fissare la data di un esame.
Ritengo che una fetta significativa di questo merito vada attribuito al fatto che il corso di laurea in Fisica non si è mai distinto per un numero spropositato di studenti iscritti, e pertanto il buon senso ha prevalso nel momento in cui si è capito che è bene tenersi vicini quei pochi studenti che ci sono onde evitare di ritrovarsi, entro qualche anno, con un corso di laurea senza iscritti.
Disabili – Una testimonianza
Parlare di persone “diversamente abili”… bella sfida… che posso dire?
Forse potrei partire dicendo che lo siamo tutti, in quanto ciascuno di noi ha delle abilità differenti (io per esempio sono bravo a fare la pizza, a quanto dicono…), delle qualità, delle doti, delle caratteristiche che lo rendono unico e insostituibile, assolutamente originale.
Tuttavia non mi sento così capace di “filosofeggiare” su questi concetti…
E allora mi conviene partire dalla mia esperienza personale a contatto con queste persone e cercare di raccontare quello che ho visto e sentito.
Vediamo un po’ …. Potrei chiedere a chi legge di fare così: chiudete gli occhi e pensate a cosa vi viene in mente se vi dico la parola “disabile” o “handicappato” o “ritardato” o “matto” (che fra l’altro sono tutte paroline scherzose e per nulla pesanti o offensive…, ma che appartengono al linguaggio comune…). Fatto? Bene.
È’ probabile che vi siano venute in mente immagini di persone sedute in carrozzina che si spingono con le mani… o che sbavano e vi guardano fisse… o che sono tutte deformi, con le mani, le braccia, le gambe, i piedi storti e contorti come rami di alberi… o persone che camminano avanti ed indietro in una stanza affermando ad alta voce di essere Napoleone… o persone che non parlano… o non vedono… o non sentono… insomma persone che quando le incontri per strada, spesso si fa finta di non vederle e ti fanno cambiare direzione mentre cammini… oppure li si fissa con curiosità morbosa.
Ebbene… a questo punto abbiamo solo due scelte: o ammettiamo che questo variegato campionario di umanità esista, con tutte le conseguenze e le responsabilità che questo comporta, oppure le mettiamo alla porta e ne ignoriamo l’esistenza o cerchiamo di sopprimerle rapidamente…
Ma in ogni caso il problema è nostro, perché stare a contatto con queste persone ci fa toccare con mano le nostre fragilità e debolezze e le nostre difficoltà nel riconoscere l’altro come diverso da me, ma allo stesso tempo uguale a me…
Francamente, dopo quasi dieci anni di volontariato, mi sento di dire, a coloro che fanno la seconda scelta, che non sanno cosa si perdono…
Sapete, la cosa più sorprendente e forse anche banale da dire è che da questo colorato pezzo di umanità io ho ricevuto molti più “doni” di quanti non ne abbia dati a loro. E sono in grado di ricordare tutte le persone, le situazioni, le esperienze nelle quali ho potuto ricevere tutto ciò.
Vi faccio degli esempi di questi “regali”: ho imparato ad essere Paziente. Delicato. Rispettoso. Attento. Sorridente. Allegro. Ad accarezzare e coccolare. Ad ascoltare. A stupirmi delle piccole cose. A giocare. Ad essere Spontaneo… Insomma un sacco di cose… che mi hanno sicuramente reso migliore di quello che ero…
Ho sperimentato – con mia grande meraviglia e stupore – cosa può voler dire essere amici di qualcuno, sentire che l’altro ti accoglie per quello che sei, che non pretende niente da te se non quello che tu gli vuoi dare, che ti accoglie sempre e che non ti giudica, che esprime le sue emozioni in modo spontaneo e invita te a fare altrettanto…
Quindi quando mi capita di andare per strada spingendo una persona in carrozzina e di incontrare la classica signora di mezz’età che ci ferma e dice “che bravo che te sì…”, dentro di me penso sempre che questo significhi “che bravo che sei tu – seduto su quella carrozzina – che permetti a questo essere umano che ti spinge di avere l’onore di relazionarsi con una persona speciale come te”.
Se a chi legge, potranno sembrare retoriche o “buoniste” queste mie parole… non importa… il mio intento non è di far cambiare idea o convincere nessuno… ma esprimere ciò che per me è importante e prezioso…
Poi se – per caso – qualcuno leggendo fosse interessato a saperne di più o fosse incuriosito… andate a vedere questo sito internet: www.arca93.it ; è il sito dell’associazione di volontariato di cui faccio parte…
Ecco, ho fatto pure un po’ di pubblicità…
Ringrazio l’Associazione “La Ruota” per lo spazio concessomi…
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