Riceviamo e volentieri pubblichiamo…
Il mio primo incontro con il vino risale a quando, ragazza, lavoravo nei campi, a fianco degli uomini ed era logico, naturale, che assaggiassi con loro qualche goccia di quel “ tiramisù”. Spesso il vino aveva dei difetti quali la “fioretta”, era acido, filava, ma nessuno ci faceva caso, erano caratteristiche comuni, anzi ogni famiglia si faceva vanto del proprio prodotto, destinato peraltro all’autoconsumo e solo in caso di eccedenza alla vendita (frasca).
Si bevevano prevalentemente vini come il Clinto, il Bacò, il Fragola, il Fruttignan, il Nostran, tutti ottenuti da vitigni autoctoni sostituiti a poco a poco da quelli innestati sul selvatico e che erano risultati resistenti alla filossera che aveva distrutto le vigne dell’Europa alla fine dell’800, ma la qualità rimaneva bassa, addirittura scadente. Spesso mi chiedevo se non si potesse fare qualcosa per migliorare il prodotto, ma né io né quelli attorno a me avevano le conoscenze tecniche adeguate. Non c’erano quindi al momento risposte ai miei interrogativi, ma mi cresceva dentro la curiosità, l’interesse così, quando nei primi anni ’80, a Pordenone venne istituito un corso per sommelier, io mi iscrissi con entusiasmo e mi appassionai talmente che feci tutto l’iter di formazione che prevedeva 3 corsi ed un master.
In seguito ho lavorato nei migliori locali del Friuli e del Veneto, ottenendo grandi soddisfazioni. Anche se ho smesso l’attività professionale, partecipo ancora a degustazioni di cibo e vino, perché questo campo affascinante è in continua evoluzione ed ha risvolti infiniti. La cosa che più mi entusiasma ancora oggi è la scelta dell’abbinamento perché lascia spazio a molte interpretazioni personali; c’è una scala dei valori delle sensazioni del cibo ed una scala di quelle del vino a cui si fa riferimento per valutare l’insieme dei sapori cibo-vino.
Faccio un piccolo es.: si può abbinare un cibo ed un vino per contrapposizione a patto che il risultato finale sia armonico; ad es. posso accostare l’anguilla, pesce, un po’grasso, a del vino rosso a temperatura di 14˚, l’abbinamento risulterà ben calibrato e gradevole; o una torta alle mandorle con un prosecco che non è dolce, ancora una volta gioco sulla contrapposizione ma il risultato finale sarà soddisfacente e la sensazione che se ne riceverà sarà di armonia.
Tralasciando la teoria, voglio ora suggerirvi un piatto tipico delle nostre parti con relativo abbinamento del vino.
Tutti sanno che per tradizione, nelle nostre case il 2 agosto si mangiava il “gal de semensa”; era infatti usanza tenere dalla covata primaverile un gallo da riproduzione che ad agosto, esaurita la sua funzione, in una specie di rito propiziatorio per gli uomini, finiva in pentola.
Eccone la ricetta:
Ingredienti:
- un gal de semensa;
- 100 gr. di pancetta del maiale di casa;
- 1 grossa cipolla rossa;
- 2 spicchi d’aglio;
- un rametto di rosmarino;
- salvia;
- un gambo di sedano;
- una carota;
- un cucchiaio di conserva di pomodoro doppio concentrato;
- vino rosso;
- sale e pepe (adesso anche un po’ di dado).
Tagliare il “gal de semensa” a tocchi, rosolare con un battuto di pancetta; versare mezzo bicchiere di vino rosso e ridurre; aggiungere poi le erbe e cucinare adagio per due ore e mezza aggiungendo la conserva diluita nell’acqua.
Passare il sugo al setaccio e alla fine servire con polenta.
Vediamo ora il vino con cui accompagnare il piatto; esso sarà rosso naturalmente. Analizziamo le sensazioni gustative del piatto: quella della carne è succulenta, il grasso poco percettibile, tendenza al dolce, saporito.
Polenta – tendenza al dolce.
Il vino quindi deve avere un profumo tenue, rotondo, sapido, poco tannico, leggero d’alcool e giovane. Tutti pensiamo ai nostri grandi Merlot che però si differenziano da zona a zona: più rotondi nella zona Lison e più secchi in quella delle Grave del Friuli. Personalmente un Merlot – Grave è il giusto abbinamento. Ai lettori la valutazione finale.
Gilberta Antoniali
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