Elogio della normalità

Scorrendo gli articoli del giornale, mi sono imbattuta per ben due volte nell’aggettivo “epocale”, anche se usato con accezioni e sfumature diverse: una volta in senso letterale, come sinonimo di “periodico”, un’altra in quello di “eccezionale” anche se con un’intensa connotazione ironica, ma tant’è il vocabolo, nella sua pregnanza e nella sua frequenza mi ha spinto ad alcune riflessioni.

Mi sono resa conto innanzitutto che il termine è molto di moda ed è usato frequentemente nel linguaggio giornalistico e nel politichese per indicare avvenimenti, provvedimenti e riforme presentate come capaci di segnare un’epoca appunto, naturalmente migliorandola.
Ed è proprio questo esclusivo significato positivo, attribuito al succitato aggettivo che suscita un moto di diffidenza e sollecita la mia analisi; continuando quindi nel mio esame della parola da un punto di vista lessicale e connotativo, osservo, ripetendomi che esso può essere correttamente sostituito da “eccezionale”, “straordinario” ed allora la sottolineatura enfatica, celebrativa appare ancora più evidente.

Ad “epocale” poi io associo istintivamente il sostantivo “evento” che mi porta, dritto dritto, al mondo dello spettacolo, di cui è diventato, nel linguaggio comune, sinonimo, ed allora il cerchio è chiuso.
Considerando che il linguaggio è lo specchio di una determinata società in un determinato momento storico, non riesco a sottrarmi al pensiero di una spettacolarizzazione della vita pubblica, sociale e politica con tutte le implicazioni negative o discutibili che questo comporta ed allora ho l’impressione di trovarmi immersa in una comunità separata, in cui ci sono da una parte cittadini-spettatori e dall’altra politici-attori.

A questo punto penso che mi piacerebbe tanto che l’aggettivo in questione venisse usato con meno enfasi compiacente, o venisse sottaciuto, o meglio sostituito, anche implicitamente, da “normale”, termine meno ridondante certo, dal significato forse non del tutto univoco, ma più aperto a valutazioni ed interpretazioni e che fa pensare ad una società in cui leggi e riforme rispondono a bisogni reali dei cittadini che non sentono la necessità di essere stupiti con “effetti speciali”.

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