Ho letto, su un settimanale, un interessante articolo di Maria Grazia Meda, che affronta il discorso della responsabilità personale, così come è avvertito oggi, in particolare in Italia e in America, ed il quadro che ne esce è preoccupante e desolante insieme, confermato da quanto noi viviamo nella quotidianità.
“Fumo? Colpa dell’industria del tabacco. Ingrasso? Colpa del fast food. Non studio? Colpa del prof. Psicologi e sociologi lanciano l’allarme. Si sta affermando una cultura dove nessuno si assume più responsabilità”.
Questa la tesi fatta propria dalla giornalista, che cita, sull’argomento, tutta una serie di studi di autorevoli studiosi, tra i quali François Ewald, docente al Conservatoire national des arts et metiers, che sottolinea come nella società globalizzata, con le sue interdipendenze di merci, uomini, informazioni che circolano liberamente, “le decisioni e le responsabilità siano atomizzate e sia lasciato all’individuo un margine d’azione e quindi di responsabilità ridotte…”.
Nasce da qui una sensazione di impotenza, di inadeguatezza a fronteggiare una realtà così complessa che finisce per spingerci a limitare al massimo il rischio o addirittura ad eliminarlo, il che è, continua la giornalista, citando Miguel Benasayag, autore di “Utopia e libertà”, “pericolosamente illusorio, perché una vita senza rischi è impossibile. E immaginare che lo sia, pur nella sua impossibilità, ha conseguenze nefaste: aumentano la violenza, l’intolleranza, la depressione e la paura.” È la fotografia del momento che stiamo vivendo!
La Meda indica poi questo rifiuto della corresponsabilità come una “nuova malattia sociale che si manifesta dall’infanzia, quando ogni persona deve essere protetta da tutto” con il risultato che questi ragazzi, non abituati a prendersi le loro responsabilità , diventeranno, da grandi, “fragili e insicuri”.
Che fare? Non abbiamo certo noi la ricetta sicura, ma si potrebbe incominciare con il ripensare, prima di tutto, ai nostri comportamenti di adulti: non limitarci ad essere meri esecutori di ordini, (button pushing, come si dice nel linguaggio tecnologico), responsabili solo nei confronti di un superiore, ma prendere delle decisioni, assumendosene rischi e responsabilità, e nell’ambito della sfera personale, educativa, sociale; insistere nuovamente sul binomio indissolubile diritti-doveri, o meglio, come dice Michele Serra, “desideri e il loro limite”; accettare la sfida di questa scelta e attendere, pazientemente ma non fatalisticamente, i risultati.
da “Gioventù a rischio zero” di Maria Grazia Meda, L’Espresso n°49 del 13/12/2007
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