Salve a tutti.
Venerdì 28 febbraio 2011 alle ore 21 riprendiamo le nostre attività con una serata musicale (ma non solo…), curata dal nostro compagno e sodale dandazz.
Di seguito la descrizione della serata:
Il titolo riprende le parole di un Lied di Mahler (“Dove suonano le belle trombe”), ma vuol riferirsi a un’epoca in cui la musica era determinante nell’incanalare e rafforzare passioni e ideali forti: le “belle trombe” sono i suoni che richiamano la condivisione dell’utopia, la tensione immaginativa; il “quando suonavano”, al passato, è un riferimento alla perdita di una dimensione compartecipata di ideali e speranze.
L’incontro si avvarrà di spezzoni filmici e frammenti musicali, sia per vedere la storia di ieri con gli occhi di oggi, sia per sottolineare quali dimensioni della musica vengono di volta in volta utilizzate (razionalmente o inconsciamente) per creare legami o suggerire significati…
La serata si terrà presso la Villa Ronzani di Giai di Gruaro.
Allego la locandina dell’evento ed invito tutti a segnalare la serata.
'Quando suonavano le belle trombe', a cura di Daniele Dazzan (308,0 KiB, 11 download)
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una foto della serata…
Serata impegnativa e un po’ frammentaria, a parer mio.
Buona la prima parte relativa all’importanza della musica lirica e dell’Opera nella costruzione di un immaginario popolare e comune. In particolare significativa la proiezione della scena iniziale di “Senso” (1954) di Luchino Visconti (una fantasiosa rappresentazione de “Il trovatore” di Giuseppe Verdi alla Fenice di Venezia, nel 1866), per cogliere la portata politica che la lirica ha avuto nella costruzione risorgimentale del nostro paese.
Meno chiara la metodica di “diffusione sintetica” dell’Opera lirica tramite le bande musicali di paese, con il conseguente passaggio da una cultura “alta” ad una popolare; interessante invece la puntualizzazione sul connotato militaresco delle bande, sulle trombe come strumenti tipici delle marce militari ed in quanto tali fondamenti di creazione della retorica patriottica.
Oscuro il motivo per il quale la musica strumentale non abbia avuto la stessa forza di coinvolgimento della lirica.
Confuso il motivo per il quale la musica agisca sull’ideale francese della fratellanza.
Divertente gli aneddoti intorno al canto patriottico “La Bella Gigogin” (1858) e al beffardo apprezzamento dei soldati austroungarici.
Utile la proiezione de “La canzone del destino” (1957) di Marino Girolami, per comprendere l’evoluzione della retorica patriottica durante la prima guerra mondiale e per conoscere l’esistenza dello “stornello romanesco”, di cui fu campione Claudio Villa, e che tanto influenza ancora oggi la musica popolare italiana (vedasi alla voce “festival di Sanremo”).
Poi il relatore affronta Mahler, con un passaggio improvviso e disarmante, privo di alcuna introduzione biografica o artistica.
Ciò che ho capito è che:
– “Dove suonano le belle trombe” demolisce il sacrale militare, introducendo la doppiezza della guerra;
– le trombe di Mahler sono quelle della morte;
– “Revelge” (“Sveglia”) aggiunge al senso di morte la perfida ironia dello sghignazzo;
– “siamo figli di Mahler più che di Verdi”.
Però, sinceramente, mi sarebbe piaciuto capirne di più…
Mi dispiace di aver letto solo l’altro ieri il puntiglioso commento sulla serata delle “Belle trombe”, come mi dispiace che alla fine dell’incontro non si sia pensato di aprire uno spazio a domande e risposte che potevano chiarire e raccogliere i vari frammenti del discorso rivelandone la modesta ma unitaria trama di fondo.
Quando si parla di musica si corrono due rischi grossi: banalizzare (come è accaduto a Pordenone a Odifreddi, per altre cose gustosissimo e insuperabile) o nascondersi dietro un linguaggio tecnicistico e “reservato”. Nel primo caso le parole hanno significato ma poco senso; nel secondo il significato ce l’hanno sicuramente, ma per pochi: e quindi ai più risultano ancora una volta del tutto prive di senso. È comunque un dato di fatto che di ciò che uno dice tendiamo a ricordarci le cose che sapevamo già, o quelle che riusciamo a legare con ciò che sappiamo: se però per le altre resta almeno una curiosità, o un punto di domanda, mi sembra che lo scopo di un incontro sia raggiunto.
Ma veniamo giustamente ai punti che, almeno in un caso, sono risultati poco chiari.
“Oscuro il motivo per il quale la musica strumentale non abbia avuto la stessa forza di coinvolgimento della lirica”.
Senza citare Weber e i fattori climatici che avrebbero permesso ai Nordici di sviluppare in modo molto più cospicuo una pratica (e di conseguenza una letteratura) strumentale pura, non sembra molto difficile da capire che la musica provvista di parole risulta a un pubblico normale più “sensata “ (significativa?) di quella senza testo. Del resto la musica nasce “impura”: o è accompagnata da testo, o dal movimento del corpo, o da entrambi. Quando comincia anche a non esserlo, richiama la memoria dell’uno e/o dell’altro (si potrebbe immaginare una musica più “pura” di quella di Bach? Eppure le partite e le Suites sono fatte di movimenti di danza, i corali e le cantate sono rivestimenti di parole…).
La banda che suona i brani operistici fa la stessa cosa: allude ai testi proprio in assenza di essi, che sono conosciuti e ricostruiti nella memoria a partire dal loro simulacro sonoro.
Su un altro versante (per rimanere nell’ambito della “comunicabilità”), i libretti delle opere liriche non sono quasi mai altissima letteratura. Per la maggior parte sono feuilleton che vogliono conquistare l’immaginario popolare…
“Confuso il motivo per il quale la musica agisca sull’ideale francese della fratellanza”.
Questo mi sembrava di averlo anche sufficientemente spiegato, ricordando come tra gli ideali di cui siamo debitori alla rivoluzione francese e che ispirarono le lotte risorgimentali, quello della libertà e quello dell’uguaglianza siano stati agevolmente materia di negoziazione e, nel tempo, oggetto di riconoscimento costituzionale o di concessione legislativa.
La fratellanza ha invece a che fare con qualcosa di più intimo: o la senti o non la senti. È improbabile arrivarci per sola via logica: essa ha a che fare con la sfera emotiva e la percezione di una comune condizione concreta (tant’è che si parla di “vincolo di sangue” e di patti di sangue…).
Anche la musica agisce oltre la logica (pure quando accompagna la parola): agisce prima, e più in profondità. Senza scomodare il “cuore”, essa ha un effettivo impatto fisico, viscerale. Tanto che per esempio “Lili Marlene” ha accompagnato i soldati dei fronti avversi esaltandone la comune sensibilità umana, al di là delle distinzioni logiche e ideo-logiche (che sono quelle che creano confini e separazioni). Del resto una delle funzioni fondamentali della musica è proprio quella di “comunione” (canti rituali, cori alpini, inni nazionali e internazionali, “E forza Italia”…!): chi non si riconosce è fuori, non fa parte della “confraternita”.
Quale sia il motivo per il quale la musica possiede queste virtù penso che non sia agevole dirlo. È un po’ come se ci chiedessimo per quale motivo l’ottava ha un rapporto di frequenza doppio rispetto alla fondamentale (cfr. Philip Ball. L’istinto musicale, pagg. 305 e segg): questa è la fisica, ragazzi…, e quest’altra è la musica! (non sempre è sufficiente tirare in ballo la frequenza cardiaca e il suo rapporto con la pulsazione musicale; si tratta anche di risposte culturali e di risposte soggettive, di contesti sociali e strutture cognitive personali…).
“Poi il relatore affronta Mahler, con un passaggio improvviso e disarmante, privo di alcuna introduzione biografica o artistica”.
Il passaggio è stato forse improvviso (ho soltanto esplicitato lo spostamento di circa mezzo secolo) ma non casuale.
Il termine medio sono proprio le “belle trombe”, che l’occhio dei patrioti vede esclusivamente come simbolo di bellezza (ruolo, impegno civile, bontà e verità…), e che Mahler (cinquant’anni più tardi) percepisce invece nella loro realtà doppia di bellezza e orrore. L’orrore, che le “belle trombe” celano al loro interno, travolge la bellezza dei ricordi (i frequenti motivi popolari che Mahler usa a profusione, i ritmi di Ländler che diventano stridenti e triviali). Mahler dice che il “re è nudo”, e che tutti siamo inermi. Come scriveva Rumiz nell’articolo presentato, ciò che animava le giovanili lotte risorgimentali era esattamente il contrario della cupa atmosfera dei “vinti” che marciavano sulle montagne al passo del “Ta-pum” durante l’ultima guerra d’indipendenza (la prima guerra mondiale).
La musica di Mahler diventa una specie di grande “Ta-pum”, in cui però vibrano le corde di un pessimismo cosmico che non contempla più alcuna gioia terrestre, nemmeno quando vengono riesumate le spoglie di una vita infantile solo apparentemente innocente (cfr. per es. i Kindertotenlieder, o il terzo movimento della prima Sinfonia), vissuta ora come illusione di felicità, vuoto assoluto.
Il ricordo delle trombe “belle” rende l’orrore totale: è la consapevolezza opposta all’utopia, la coscienza del limite opposta alla sensazione di onnipotenza che pur permetteva azioni nobili e impossibili, e che tuttavia non poteva impedire l’errore.
Ora si può solo dire “Noi credevamo”.
dandazz