Acqua… che fare?

Esiste poi indubbiamente un problema acqua legato ai consumi: essi sono aumentati negli ultimi tempi a dismisura e in maniera discriminante tra paesi ricchi e paesi poveri: all’inizio del’900 nel mondo si consumava un decimo dell’acqua che si consuma attualmente, con l’aggravante che adesso l’inquinamento ne rende inutilizzabile all’uso una sempre maggiore quantità.

Che fare dunque? Si può tentare, senza disconoscere le questioni fondamentali di principio, di ragionare su problemi concreti e “definire una strategia per un uso sostenibile delle risorse idriche, basata sul principio che l’acqua non costituisce solo un bene di tutti, ma una necessità di tutti quindi l’unica politica possibile è l’applicazione di una gestione integrata dell’acqua che significa una gestione del ciclo idrologico secondo logiche tecnico-economiche spiega Marina Prisciandaro, professore associato, titolare a L’Aquila del corso di Impianti Biochimici e di Ingegneria Chimica Ambientale alla Facoltà di Ingegneria.

La svolta per risolvere concretamente il problema acqua “è passare dal concetto di ciclo aperto a quello di ciclo integrato chiuso e questo implica un cambiamento di prospettiva che si pone come obiettivo la costanza nel tempo delle riserve idriche”. In altre parole, il mantenimento delle riserve d’acqua diviene l’indicatore di una corretta gestione integrata del ciclo. Per garantire ciò, il consumo d’acqua deve uguagliare il flusso di precipitazioni, al quale si aggiungono la quantità necessaria di acqua riutilizzata e/o dissalata.

Quella della gestione integrata delle risorse idriche è l’unica strada percorribile e la più realisticamente proponibile, in questo momento, a livello mondiale, nazionale e soprattutto locale. Sembra infatti improbabile, attualmente, che essa possa essere imboccata dalla comunità internazionale sotto la guida della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile, perché ciò significherebbe partire da due condizioni al momento difficili: un generale consenso tra tutti i Paesi rappresentati, praticabile solo se si considerano strategie e programmi attuativi sulle sostenibilità e disponibilità delle risorse idriche, al di là dei singoli interessi nazionali e politici; in secondo luogo il poter contare su adeguate risorse finanziarie, costantemente ridotte peraltro dai vari Paesi. Per questo diventa prioritario e realistico operare a livello locale.

Diverse sono le strategie per sopperire alla mancanza d’acqua; la Prisciandaro suggerisce:

  1. Costruzione di acquedotti per il trasferimento dell’acqua da bacini idrografici ricchi a zone con deficienza idrica (canale di Provenza in Francia, che collega la regione con il Tajo-Segura in Spagna). Si tratta però di progetti dispendiosi e di grande impatto ambientale.
  2. Limitazione delle perdite degli acquedotti.
  3. Dissalazione dell’acqua marina e salmastra. Soluzione anche questa molto costosa e per questo sostenibile da pochi Paesi.
  4. Riutilizzo delle acque reflue, cioè delle acque di scarico dei depuratori che attualmente finiscono in mare o nei fiumi, mediante tecnologie che hanno subito sviluppi tali da renderle industrialmente affidabili e largamente impiegate.

Il riuso delle acque reflue ha l’importante beneficio di basarsi su una risorsa supplementare affidabile e comporta il contenimento dell’impatto ambientale dovuto alla riduzione o eliminazione degli scarichi.
Inoltre il riuso in agricoltura riduce la necessità dei fertilizzanti chimici, in quanto i nutrienti sono già contenuti nell’acqua anche  se questa abbisogna di essere ulteriormente trattata.

Nel nostro Paese questo tipo di strategia è stato promosso da un Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (12 giugno 2003, n. 85) che intende “limitare il prelievo delle acque superficiali e sotterranee”. Il lavoro di ricerca in questo ambito deve però, dice la Prisciandaro, andare di pari passo con la cura delle condutture idriche, perché “in Italia la rete idrica disperde il 40% dell’acqua dolce per l’inadeguatezza delle condutture”.

Lavorare su questo fronte non è da poco, se si calcola che gli Stati Uniti e il Canada, per modernizzare le loro reti di distribuzione dell’acqua, dovranno spendere, nei prossimi venticinque anni, 36 miliardi di dollari.

riduzione e adattamento da “Un mondo che ha sete” di Virginia Guarino, Messaggero di Sant’Antonio, marzo 2009

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