Il potere, le regole e… la crisi

Il liberismo, ideologia prevalente nell’Occidente a partire dagli anni ’80, ha accelerato il processo di iniqua distribuzione delle risorse, ha incrementato i consumi delle materie prime secondo il falso assioma che le considera disponibili in quantità illimitata, ha privilegiato le speculazioni finanziarie a svantaggio della produzione di beni.
Sempre a partire dagli anni ’80 organismi mondiali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno acquisito sempre maggiore autorevolezza e capacità di influire sulle scelte economiche dei governi al punto di determinarle. Peccato che questi organismi, responsabili di disastri economici quali la bancarotta dell’Argentina e il buco nero dei finanziamenti alla Russia di Boris Eltsin, siano privi di qualsiasi legittimazione democratica.

La globalizzazione ha indubbiamente contribuito a rendere più liquida la nostra modernità. Rispetto a 20 anni fa il mercato dei beni al consumo è forse triplicato con l’ingresso di Paesi quali India e Cina.
Questo evento ha significato, tra l’altro, l’aumento esponenziale del consumo di materie prime e ha impresso un’accelerazione sinora sconosciuta alla velocità di circolazione del denaro.
Gli effetti sono drammaticamente attuali: cambiamenti climatici e collasso dei sistemi economici e finanziari più evoluti.

Numerosi commentatori e analisti attribuiscono la responsabilità del collasso economico e finanziario ad una sorta di trasgressione globale dalle regole del mercato, ammettendo così implicitamente che il mercato attuale non si può regolare. I commenti dei politici, poi, sono quasi patetici in quanto tentano di contrabbandare l’analogia con la crisi del 1929. Ma oggi le condizioni sono profondamente diverse sia per la dimensione assunta dal problema sia per la natura dei mercati. Ad esempio, nel 1929 il mercato dei beni cosiddetti immateriali era quasi sconosciuto. Ma oggi le idee, i progetti, internet, hanno rilevanza economica. E soprattutto si tende a scordare che dalla crisi del ’29 si è usciti con massicci investimenti pubblici, circostanza questa non proponibile oggi a causa delle dimensioni del debito pubblico e degli accordi sui vincoli di bilancio democraticamente sottoscritti.

Allora, come si possono spiegare questi fatti se non ammettendo che i governi delle singole nazioni non sono più in grado di governare l’economia di mercato? Si badi bene: i governi delle singole nazioni, indipendentemente dal fatto che questi siano o meno democratici. La vicenda cinese rappresenta la dimostrazione lapalissiana di questa affermazione. In altre parole: i governi delle singole nazioni sono attori delle politiche economiche in quanto possono destinare allo sviluppo economico risorse pubbliche o decidere politiche fiscali. Ma ormai non determinano le politiche economiche i cui centri sono globalmente diffusi e distribuiti fra lobbies che, è superfluo sottolinearlo, non godono certo di rappresentanza democratica e in quanto tali non perseguono il fine del benessere comune ma solo quello, peraltro legittimo in presenza di regole inadeguate, della massimizzazione del profitto.

A questo punto possiamo ragionevolmente rispondere alla domanda posta all’inizio: la relazione fra potere politico, le sue regole e la crisi economica esiste ed è determinata dalla progressiva perdita di legittimazione del potere politico, delle sue articolazioni a livello globale e quindi delle sue regole ormai inadeguate ad affrontare i problemi.

La questione è enorme e difficilmente risolvibile con le attuali forme e articolazioni del potere. La nostra classe dirigente attuale è stata giudicata inadeguata persino da un uomo saggio e prudente come il Presidente della Repubblica. La riproposizione pedissequa dei meccanismi di rappresentanza e di selezione della classe dirigente certamente non costituirà la soluzione del problema.

Ciò che ormai non è più eludibile è l’acquisizione della consapevolezza che, di fronte alla globalizzazione, il ruolo degli Stati Nazione è esaurito.

“Non esiste una maniera adeguata attraverso la quale uno solo o più Stati territoriali insieme possano tirarsi fuori dalla logica di interdipendenza dell’umanità. Lo Stato sociale non costituisce più una valida alternativa; soltanto un “Pianeta sociale” potrebbe recuperare quelle funzioni che, non molto tempo fa, lo stato cercava di svolgere con fortune alterne. Credo che ciò che può essere in grado di veicolarci verso questo immaginario “Pianeta sociale” non siano gli Stati territoriali e sovrani, ma piuttosto le organizzazioni e le associazioni extra territoriali, cosmopolite e non governative, tali da raggiungere in maniera diretta chi si trova in una condizione di bisogno, sorvolando le competenze dei governi locali e sovrani e impedendogli di interferire” (Zygmunt Bauman).

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Bibliografia di Zygmunt Bauman:

* 1989: Modernity and the Holocaust (trad. it.: Modernità e olocausto, Bologna 1992).
* 1996: Alone Again – Ethics After Certainty (trad. it.: Le sfide dell’etica, Milano 1996).
* 1998: Globalization: The Human Consequences (trad. it.: Dentro la globalizzazione, Roma-Bari 1999).
* 2000: Liquid Modernity (trad. it.: Modernità liquida, Roma-Bari 2002).
* 2001: Community. Seeking Safety in an Insecure World (trad. it.: Voglia di comunità, Roma-Bari 2001).
* 2002: Society Under Siege (trad. it.: La società sotto assedio, Roma-Bari 2003).
* 2004: Wasted Lives. Modernity and its Outcasts (trad. it.: Vite di scarto, Roma-Bari 2005).
* 2005: Liquid Life (trad. it.: Vita liquida, Roma-Bari 2006), Laterza
* 2007: Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Trento, 2007
* 2007: Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza
* 2008: Paura liquida, Laterza

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