A colloquio con un viaggiatore… Etiopia

Uno degli incontri più stupefacenti è stato certamente quello con la tribù Mursi, l’ultima ad essere stata scoperta e che è rimasta isolata più a lungo. Qui le donne, che mi sono parse particolarmente diffidenti, si adornano, inserendo nel labbro inferiore, che viene così spinto in fuori, un piattello di terracotta, ottenendo deformazioni vistose.

Ho incontrato poi i Karo (circa 2000 individui) con il corpo dipinto e adorno di piercing, ed ho pensato che non abbiamo inventato niente e ci siamo limitati a copiare, riducendoli a mode, comportamenti che rispondono a precisi modelli culturali.

Continuando il viaggio, abbiamo attraversato su piroghe scavate nei tronchi d’albero, il fiume Omo e siamo arrivati dai Galap. Qui è accaduto qualcosa che mi ha fatto riflettere. La mia compagna di viaggio aveva distribuito ai bambini penne e lamette (particolarmente gradite quest’ultime agli adulti che si radono anche la testa), ma non ce n’erano per tutti; uno dei bambini “fortunati”, camminando, ha perso il suo piccolo tesoro, la lametta appunto, ma quello che lo seguiva l’ha raccolta e gliela ha restituita. Mi è sembrato un gesto di estrema lealtà e correttezza. Sempre riguardo ai bambini, che qui diventano autonomi molto presto, mi ha colpito il fatto che non piangono mai, forse perchè, penso io, non c’è niente da chiedere.

E’ presso gli Hammer però che ho assistito a qualcosa di veramente eccezionale, un rito di iniziazione, chiamato “il salto del toro”, a cui si è sottoposto un giovane sui 20 anni, che già possedeva 2 capi di bestiame (altra condizione indispensabile), per potersi sposare. Ricordo che qui esiste la poligamia e non so dire se quello era il primo matrimonio. Il rito ha avuto più momenti. Dapprima sono entrate in azione le donne, con capelli a caschetto, unti di una miscela di grasso e di terra rossa, che hanno cominciato a cantare una specie di litania ripetitiva che, a poco a poco, è diventata ossessiva e coinvolgente.
Cantando, le donne si sono avvicinate agli altri uomini, già iniziati e si sono fatte frustare (ho saputo poi che più i segni lasciati  sono profondi più loro acquistano importanza e diventano desiderabili); poi è entrato in scena l’iniziando, che portava i capelli lunghi, mentre tutti gli altri erano rasati; attorno a lui si sono stretti quindi gli adulti, nascondendolo alla vista e compiendo rituali sessuali. Poi è stato il momento del giovane  che per sostenere la prova di coraggio e abilità, ha dovuto camminare, per ben 6 volte, tre da una parte e tre dall’altra, sulla schiena di 7 tori.
Per permettergli di salire sulla groppa degli animali alle due estremità della fila erano stati collocati 2 vitellini. Se non avesse superato la prova sarebbe stato allontanato dal villaggio, anche se avrebbe potuto, dopo un certo lasso di tempo, ritentare nuovamente. L’impresa del giovane è riuscita.

Particolarmente affascinante è stato anche l’incontro con i Borana, l’etnia più grossa, la cui attività principale è l’allevamento del bestiame. In questo territorio ho visto, sia pur dall’alto, per l’ora tarda, prossima al tramonto, che arrivava inesorabilmente verso le 18:30, un lago salato, racchiuso nel cratere di un vulcano spento. Lo spettacolo è stato straordinario. Ho saputo che il sale, per queste popolazioni rappresenta moneta di scambio, ma che lavorare per estrarlo, a mano naturalmente, è qualcosa di infernale per la fatica e  distruttivo per la salute. Sempre qui ho potuto ascoltare i pozzi cantanti: in periodo di siccità, quando le pozze d’acqua superficiali si seccano, vengono utilizzati dei pozzi molto profondi e per portare l’acqua in superficie, gli uomini scendono nel pozzo e formando una specie di scala umana, attingono l’acqua che si passano l’un l’altro e facendo questo, per darsi il ritmo, cantano. Questa è stata una delle ultime tappe del nostro viaggio, poi è iniziato il rientro ad Addis Abeba.

Di questo viaggio penso che mi resterà vivo il ricordo (oltre che dei paesaggi, dei colori, dei suoni, dei comportamenti, della lunghezza delle notti), dell’incontro con alcune persone: il bambino di cui ho già parlato, una ragazzina, particolarmente intraprendente e spavalda del villaggio Turmi che ho convinto a vaccinarsi contro la poliomelite, alcune figure di volontari che ho visto all’opera, ed anche la mia stessa guida, dalla mentalità sbrigativa e pratica, che avrebbe preferito che l’obelisco di Axum fosse rimasto in Italia “a fare pubblicità al suo paese”.

Guido Rossi e Gigliola Bittolo Bon

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