Ricordi di scuola…

Ai miei tempi si facevano gli esami anche in terza elementare.
Mi ricordo ancora la paura del giorno prima e come mi preparai alla grande prova.

La mattina dell’esame, per prima cosa andai da Corazza, la bottega di alimentari che c’era allora in centro a Bagnara; qui comprai tre pennini a castello, perché allora si scriveva ancora con il cannello e l’inchiostro, e due carte assorbenti, una bianca ed una azzurra. La mamma aggiunse, come sostegno, due cioccolatine da dieci £, quelle quadrate con la carta stagnola dorata, con appiccicata sopra la figurina di uno dei sette nani.
Naturalmente, per l’occasione, mi ero fatta anche il bagno e vestita a festa con tanto di grembiulino nero, collettino bianco e nastro rosso.

Ero pronta, avevo preparato tutto con cura, meticolosamente; ma le gambe continuavano a tremare.

Mi rincuorai un po’, entrando in classe, vedendo che i miei compagni erano tutti emozionati come me. Poi l’esame incominciò; oltre al mio maestro ce n’erano di commissione altri due. Prima prova Italiano (tre pensierini); seconda prova Matematica (un problema ed alcune operazioni)… A quel punto mi accorsi che la paura, a poco a poco, mi abbandonava e la tensione si scioglieva lasciando il posto ad una strana gioia che si trasformava quasi in euforia, perché più mi rendevo conto di riuscire a farcela, più aumentava la mia contentezza; non sbagliai una risposta e avrei continuato a rispondere volentieri ancora, ancora…, senza fermarmi, tanto ero caricata, e ci rimasi male quando non mi lasciarono finire di recitare a memoria una poesia, perché “bastava” dissero.

Non era però sempre tempo d’esami, e la vita scolastica era punteggiata spesso da momenti di svago, da attività leggere e piacevoli: prendete ad es. la proiezione delle “filmine” (così chiamavamo allora le pellicole di 8mm), era una “cosa grande” per noi bambini, una vera festa.
I preparativi erano accurati ed attenti: gli insegnanti sceglievano l’aula più grande, che potesse ospitare comodamente tutte e 5 le classi, si faceva buio ed inevitabilmente si alzavano gridolini di paura, prontamente zittiti; poi lo spettacolo incominciava.

Si trattava perlopiù di documentari, però alla fine, immancabile c’era sempre una comica di Stanlio e Ollio e le risate si sprecavano.

Indimenticabili poi erano anche le letture di racconti o romanzi fatte dal maestro. Ricordo ancora quella de “I Promessi sposi”. Lui prima ci leggeva il brano prescelto, poi ce lo spiegava, lo approfondiva, aggiungeva nuovi particolari, in maniera così precisa ed efficace che i personaggi diventavano vivi, si imprimevano indelebilmente nella nostra mente.

Tra le attività che preferivo c’era poi il canto. Quanta serietà ci mettevamo nel prepararci a quei cori! Mi rivedo ancora, assieme ai miei compagni, ritta in piedi, tesa ad aspettare l’attacco per poi cantare. Ma c’era tutta una procedura da rispettare: il maestro ti faceva fare un passo avanti ed incominciava a farti provare; ti dava il la; te lo faceva ripetere più volte, continuava con la scala (do-re-mi-fa-sol…). E tu ripetevi docile, cercavi di imitarlo, a volte sbagliavi, fino a che sentivi la tua voce che usciva con la giusta tonalità ed era fatta! Eravamo talmente bravi che, quando fu inaugurato l’oratorio di Gruaro, cantammo noi l’Inno di Mameli, davanti a tutte le autorità.

Erano tante le attività ricreative che ci venivano proposte. Il gioco dei mimi era il mio preferito anche se quando mi venne presentato per la prima volta, quella parola, mimo, non mi disse niente, suonò solo misteriosa; ma quando il maestro mi sussurrò all’orecchio ciò che dovevo fare, in quel caso la lavandaia, la cosa mi entusiasmò e mi misi all’opera.

Strinsi le labbra per ricordarmi che dovevo stare zitta e iniziai. Un fazzoletto in testa, un grembiule legato in vita, un cesto in mano: la trasformazione era avvenuta. Presi un mio compagno per un braccio e finsi di sgridarlo perché era sporco; mimai di spogliarlo e di mettere nel cesto i vestiti, e con il cesto in mano, facendo finta che fosse pesante, mi incamminai come se andassi al lavatoio. Qui mi inginocchiai e cominciai a strofinare i panni con energia… e chissà per quanto tempo avrei continuato se il maestro non mi avesse fermato, ritenendo raggiunto lo scopo.

La scuola era il centro di molte nostre esperienze di vita; qui, avvenne anche il mio primo contatto con la morte. Ricordo ancora in modo nitido come ciò avvenne: era morta una donna anziana, che tutti noi conoscevamo e che abitava, in una baracca, non lontano dalla scuola. Il maestro pensò che fosse giusto che si andasse a rendere omaggio alla defunta e ci accompagnò alla povera casa con l’intenzione di farci raccogliere in silenzio, senza farci entrare; ma quando arrivammo ci ritrovammo la defunta composta nella bara proprio davanti alla porta. Come descrivervi quel momento. Immaginate l’ingenuo stupore e la curiosità di noi bambini davanti a quella inaspettata visione di morte, curiosità e stupore presto distratti da una mosca che girava sopra a quel viso scarno ed immobile. Alcuni si spaventarono, altri, come me, non riuscivano a staccare gli occhi da quella scena, ma tutti quando ci allontanammo incomiciammo a parlare di quello che avevamo visto e concludemmo col dire che la donna era vecchia ed era naturale che se ne fosse andata per sempre.

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