Ci attendiamo una revisione dell’articolo 147 del diritto civile, chiaramente superato e vecchio, soprattutto là dove recita che “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole”. A breve, con ogni evidenza, si potrà finalmente leggere che “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi di mantenere e inculcare i propri principi alla prole”, magari con totale soppressione della anacronistica frase successiva: “tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.”
È forse un caso che questo “appello al sillabario delle libertà”, contro il “sillabario di Stato”, con parole che ammiccano al dettato del papa “liberale”, avvenga in quel determinato contesto e a pochi giorni dalla celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, la cui proclamazione indusse Pio IX a dichiararsi “prigioniero in Vaticano” e a rifiutarsi di uscirne?
Non è forse lo stesso brodo di cultura quello sul quale si muove l’azione della nostra intellighenzia governativa, quando si esibisce nel gioco dei bussolotti a proposito del festa sì/festa no per il 17 marzo?
Ma il pensiero “liberale” del magistero ecclesiastico di metà Ottocento sembra informare qualsiasi azione (pubblica) del Nostro Cavaliere: dalla costatazione dell’uso criminoso della televisione di Stato da parte di Biagi, Santoro e Luttazzi, ai commenti a proposito della vicenda Englaro, alla Scuola che inculca, è tutto un florilegio di exempla in sintonia con l’enciclica del Sillabo.
Ai tanti altri errori che sconvolgono la nostra vita, pian piano si cerca di rimediare con accorta lungimiranza: e sono tutti errori naturalmente già segnalati tre mezzi secoli fa nella stessa pia enciclica, a beneficio di tutto il gregge, per “rimuoverlo dai pascoli velenosi”.
Leggiamo ad esempio nel testo di Pio IX:
“[…]In questo tempo si trovano non pochi i quali, applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo […] non temono di caldeggiare l’opinione, […] dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio […]”, [che ritiene] “la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società, ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera”.
Dicevano bene Gregorio XVI e Pio IX: siamo al “delirio” e alla “perversità di depravate opinioni”.
È ora dunque necessario, per la salute morale del popolo, mandare avanti le falangi della giustizia giusta, e sotto la guida di una nuova Giovanna d’Arco(re), “cominciare a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle […], e favorire le scuole private. […Poi] consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori di quelle di Stato.” [E magari dare] “dei premi, […] a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private…”.
Ma gli ingredienti di questa “ricetta di bassa cucina” sono noti fin dal 1950: Piero Calamandrei ce ne aveva anticipato elementi, quantità e tempi di esecuzione, prontamente posti in essere dallo statista milanese.
“Può venire in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. – scriveva ancora Calamandrei– Ed è anche un po’ vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c’è qualcosa di più alto […]. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà”.
Ecco allora il motivo per cui si dichiara la scuola pubblica “liberticida” e la Costituzione inadeguata: perché non fa comodo che quest’ultima diventi realtà.
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