Arianna Giuseppin

Quando le chiedo come mai, tra pittura, ceramica, restauro, abbia scelto come attività principale quest’ultimo, che è quello che si svolge più nell’ombra, che non dà, di solito notorietà, Arianna mi risponde che questo però “ti riserva emozioni forti, ti fa assaporare concretamente il gusto della scoperta, reso più forte dall’attesa, dal disvelarsi a poco a poco di quello che vai cercando. Parti da qualcosa di precario, da un particolare e, avvalendoti della tua intuizione, di ipotesi supportate da ricerche, della collaborazione di altre persone e di mezzi tecnici, vai avanti ed arrivi a quello che cercavi ed allora questo qualcosa di fragile, di strutturalmente debole, viene affidato alle tue cure; è come avere un bambino da accudire e tu ne senti forte la responsabilità e ti ci impegni, come ho detto prima, corpo e anima. A perfezionare e completare queste sensazioni interviene poi l’esperienza indimenticabile della riscoperta del colore originario che, con l’operazione paziente di pulitura, riprende, a poco a poco, vita e risplende pieno, corposo ai tuoi occhi ed allora sei invaso dall’emozione, che è stupore ed entusiasmo insieme. Questa è una sensazione che si rinnova sempre, anche se quella che mi è rimasta più impressa è legata alla ricomparsa, grazie al solvente, del caput mortum (colore violaceo) del manto di una Maestà.

Comunque ogni intervento ti dà qualcosa, ti arricchisce, anche se tra le mie esperienze, una delle più importanti, è quella legata all’Abbazia benedettina (sec XIV) di Mogliano, dove con altri colleghi ho lavorato al restauro di un ciclo di affreschi (Giudizio Universale) che si sono rivelati di alta qualità e di grande interesse artistico. Certo in un lavoro così pieno di sorprese, mai banale o di routine, ci sono anche dei ma: puoi stare per lungo tempo lontano da casa, non avere sempre tempo per te stessa e per quelli che ti stanno vicino; è successo anche a me, ad un certo punto ho avuto l’impressione di essere troppo coinvolta emotivamente, di essere completamente assorbita dal lavoro e allora ho deciso di prendermi una pausa di riflessione, ho scelto, per contrasto, di fare un lavoro sedentario, d’ufficio che però mi ha fatto capire che restaurare è ciò che desidero di più, anche se penso che mi dedicherò, per non ricadere nell’errore iniziale, al restauro delle tele, che potrò eseguire in laboratorio, a casa. Per concludere vorrei dire che la mia è stata una scelta appagante, che rifarei, come del resto ho dimostrato, e che consiglio, del resto il numero dei restauratori è in aumento, anche se spesso sono invisibili; consiglierei poi di visitare, per cogliere appieno i risultati e il significato di questo lavoro, alcuni luoghi che ho citato o che indicherò, come l’Abbazia di Mogliano, il Castello di Susegana, quello di Cison di Valmarino, o più semplicemente, a Portogruaro, di alzare gli occhi sulla loggia Marzotto, o sull’affresco di casa Gaiatto in via Garibaldi”.

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