Sgombro subito il campo da eventuali equivoci: per me è difficile recensire “laicamente” questo “Diaz – Don’t clean up this blood” di Daniele Vicari, perchè se è vero che da un punto di vista razionale vi sarebbero diversi elementi da mettere in luce o da criticare, sia esteticamente che stilisticamente (1), è altrettanto vero che da un punto di vista emotivo ha colpito profondamente la mia sensibilità politica. Ricordo infatti con estrema lucidità quei giorni del vertice “G8” di Genova di luglio 2001, ed uno dei rammarichi più grandi è proprio di non aver preso parte alle manifestazioni del Genoa Social Forum che ivi si tennero. Chiusa la parentesi personale, vengo al film.
La trama è incentrata su un fatto ben noto: l’irruzione e lo sgombero dei 93 manifestanti no global che dormivano nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli di Genova, la sera del 21 luglio 2001, tra le ore 22 e mezzanotte, da parte di 346 poliziotti, oltre a 149 carabinieri incaricati della “cinturazione” degli edifici.
Un’irruzione dettata da ragioni di “vendetta istituzionale”, più che di ordine pubblico (il vertice si era infatti concluso e i manifestanti stavano defluendo dalla città). I 93 manifestanti furono picchiati selvaggiamente (63 feriti, di cui 3 gravi), senza che avessero opposto alcuna resistenza, quindi arrestati, e molti poi torturati nella caserma di Polizia di Genova Bolzaneto (240 persone passarono di lì), prima del trasferimento al carcere di Voghera.
Vicari opta per dare un taglio “non politico” alla vicenda, ma alla fine il risultato è molto più politico di mille comizi o prese di posizione “alla Ken Loach”.
Non vengono infatti narrati (se non per brevi frammenti o scorci), né le discussioni o le decisioni prese dai paesi “G8” in quel vertice, né le obiezioni che nel merito mossero i manifestanti. Non vengono approfondite o raccontate né l’ipocrisia delle dichiarazioni dei leader politici partecipanti agli incontri, né quelle dei partiti che si opposero a tali dichiarazioni e decisioni.
L’escamotage per far passare tutto questo in secondo piano è consueto, ma non per questo meno riuscito: raccontare “dal basso” quanto accaduto “sul campo”, attenendosi strettamente alle ricostruzioni giudiziarie e processuali degli avvenimenti, filtrato dagli occhi di alcuni membri del “Genoa Social Forum” e delle forze di Polizia.
Da un lato i manifestanti, di varie tipologie: tanto i volontari dell’organizzazione, medici, avvocati, giornalisti e pensionati dello SPI-CGIL quanto gli anarco-insurrezionalisti, rivoluzionari comunisti o le semplici “teste calde”.
Dall’altro i poliziotti, accettabili quelli “pensanti” (ma ligi agli ordini), e odiosi quelli “fascisti”: in primis i dirigenti “dalle mani pulite” degli uffici decisionali, ma anche i “celerini” senza scrupoli o i tipi della DIGOS, principali autori delle torture.
Il conseguente intersecarsi di storie, agevolato da un fitto e ripetuto montaggio alternato, pieno di flash-back e flash-forward, inframezzato dalle immagini di repertorio dell’epoca e sottolineato dalle splendide musiche di Teho Teardo, permette di avvicinarsi, lentamente ma inesorabilmente, ai personaggi del film, sempre mantenendo una “laica” distanza dalle loro azioni, decisioni e conseguenti comportamenti.
Comportamenti che se risultano discutibili nel caso dei manifestanti, sono indubbiamente coerenti nel caso della polizia, se non per i tratti tragicamente grotteschi delle dichiarazioni rilasciate alla stampa (ad es. le ferite pregresse dei manifestanti o le molotov da se medesimi nascoste e ritrovate).
Il regista (e di conseguenza lo spettatore) non giudica gli eventi, ma non lesina a mostrarli, da cui l’abbondante ed inesorabile profluvio di violenza, fisica e psicologica, che pervade la pellicola, violenza a tratti cruda, ma mai fine a se stessa.
Quest’idea “di distanza” del regista, unita ovviamente alla scelta di riprendere con precisione quanto accaduto nella scuola durante l’irruzione (2), è il principale merito dell’opera, anche se nel contempo potrebbe giustificare la principale e legittima critica che a Vicari è stata mossa: quella di non aver voluto denunciare fino in fondo le responsabilità politiche dei “decisori a monte” di quanto accaduto.
In tale senso il film funziona brillantemente, non tanto dunque per la condivisione politico-ideologica che vi si può o meno rilevare, ma perchè di fronte al racconto è impossibile rimanere indifferenti e, se si è persone minimamente sensate, non prendere una posizione di merito e di parte. (3) Questa è anche la ragione principale per cui le didascalie finali risultano particolarmente emblematiche.
Ultima nota di merito per gli attori più significativi: su tutti spiccano Jennifer Ulrich (meravigliosa!) e Fabrizio Rongione (angosciante), poi un raramente ottimo Claudio Santamaria, molti discreti altri comprimari (Elio Germano, Renato Scarpa, Ralph Amoussou, tra i più capaci, ma anche tutti gli interpreti dei poliziotti), e l’inquietantissimo Mattia Sbragia, nel ruolo di Armando Carnera / Arnaldo La Barbera, il fu “superpoliziotto”, fedelissimo di De Gennaro.
Da vedere e da mostrare, anche ai bambini, perché possano capire il mondo in cui crescere.
(1) in particolare alcune ardite scelte registiche: si va dalla camera a mano alle panoramiche, con risultati alternativamente efficaci; inoltre talora ho notato un’eccessiva insistenza retorica in certi sguardi e dialoghi, ma sono pecche veniali, compensate da altre scene (l’arrivo di Carnera, Alma e l’ufficiale medico di Bolzaneto) semplicemente bellissime.
(2) curiosa in questo senso la penuria di immagini “ufficiali” al riguardo, in contrapposizione alla reiterata esposizione del corpo di Carlo Giuliani in Piazza Gaetano Alimonda.
(3) A tal proposito è impossibile non constatare l’attualità del ragionamento in relazione alla vicenda del TAV in Val Di Susa, artefice potenziale di una cesura politica che a mio parere è ormai indispensabile.
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